Era il luglio 1985 e nel cuore di un’estate di metà anni ottanta compariva nelle librerie statunitensi (per la traduzione in italiano opera di Francesco Durante sarebbe stato necessario aspettare il 1986) Meno di zero, il romanzo di un ventenne californiano di Los Angeles che se ne usciva così da un corso di scrittura creativa: duecento pagine stracolme di nulla. Talmente tanto nulla, niente, “zero esistenziale”, da far pesare il petto e mancare il fiato, tanto da non avere le forze per andarsene da lì, da quell’anestetico grigio. Nel 2023 quello stesso californiano di Los Angeles, divenuto sessantenne, dopo tredici estati di silenzio cartaceo, è tornato in libreria con Le schegge, il romanzo che - forse - chiude il cerchio.
Meno di zero è la storia di un inverno. Quello di Clay, diciotto anni, che torna a Los Angeles dal college per la pausa invernale. E cosa trova? Niente, appunto, perché tutto è niente. Superficie liscia, su cui le emozioni non grippano; tutto scivola inesorabile, senza lasciare traccia, al massimo un po’ d’unto. Un passare trascinato da una situazione all’altra, da una sostanza all’altra, accontentando vuoi l’ormone, vuoi la noia, vuoi la noia con l’ormone. Ma anche l’orgasmo è meccanico, vuoto.
L’orientamento sessuale è l’ennesima opportunità di non scegliere e non essere qualcuno di preciso, ma chiunque. Precisamente come un paio di RayBan Wayfarer che calzano in massa perché sono gli occhiali di tutti, quindi di nessuno; un’unica forma per qualsiasi faccia, che non lasci vedere gli occhi e renda interscambiabili, non mostri gli sguardi perché vuoti. Clay e quelli come lui, che definire amici è concedere troppo alle relazioni e ai sentimenti, raccontano, o meglio lasciano che sia raccontata sulle loro vite una generazione persa, svuotata e abbandonata a sé stessa. Una generazione in BMW, o Porsche, o “basta che costi e beva”, mollata in folle su una discesa californiana. E che girando la testa verso l’auto che viaggia proprio lì di fianco, con quella stessa inerzia senza muscoli, scorge la generazione dei propri genitori, sorridente e beota, coetanea dei propri figli, con l’aggravante del ridicolo e il peso (non percepito) della responsabilità. Famiglie suicidate. Si salvi chi può, sempre che lo voglia.
Bret Easton Ellis contro il liberalismo autoritario
Diderot 18.09.2019, 17:40
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Meno di zero è libro scritto da un ragazzo di vent’anni che osserva se stesso, l’altro ieri. Senza giudizio - che il giudizio non è ventenne - ma con purissimo realismo didascalico. Osserva, racconta. Senza perifrasi, arrotondamenti, ellissi. E senza etichette; non parla di dipendenza, fuga dalla realtà, vuoto esistenziale, anedonia (l’incapacità di provare piacere o soddisfazione), perdita di empatia e mancanza di autenticità; non sta nel vocabolario dei disturbi vari, sociali o della personalità (e ce ne sarebbero…). No, lui è lì, e registra una Los Angeles d’inverno che è l’emblema urbano di una società materialista e anaffettiva, che sembra aver fatto propria, digerendola, la distopia. Nella terra di Hollywood, dell’immaginario collettivo corrotto, qualsiasi cosa è mero intrattenimento in attesa di qualcos’altro.
E il vero dramma, l’irreparabile, non è tanto scoprire un cadavere in un viottolo, una dodicenne legata a un letto nella camera di un “amico” per farne una schiava del sesso per una notte; il dramma è come tutto questo si posi su chi gli è attorno, su chi lo intercetta e su come lo faccia scivolare dagli occhi e dall’anima, sempre che ne sia rimasta una. Ragazzi e ragazze per cui cocaina e psicofarmaci sono una noiosa indispensabile banalità e la sessualità uno spot commerciale tra il primo tempo di un film e il secondo tempo di un altro. Dove sia Clay, in tutto questo osservare, è difficile dirlo; a lato, sul bordo, in mezzo, già oltre. Spacciato. Quel che è sicuro, e i 40 anni in più aiutano in questa sicurezza, è che fosse nel suo autore.

Robert Downey Jr. in "Al di là di tutti i limiti", tratto da "Meno di Zero", 1987
Tutto in Bret Easton Ellis è autobiografico, e continuerà ad esserlo nei successivi quarant’anni e sette romanzi, quando tornerà da Clay e compagnia per raccontarne l’età di mezzo in Imperial Bedrooms (2010), quando regalerà una sceneggiatura fatta e finita con American Psycho (1999) e quando tornerà al punto di partenza, togliendosi la maschera, chiamando Clay Bret e affidandogli il compito di scrivere Meno di zero. Eccolo, Le schegge.
Nel 2023 Bret Easton Ellis torna di nuovo a quell’estate, a quella compagnia, a sé stesso, ai suoi vent’anni e alla Los Angeles degli anni ’80. Torna lì, in quel luogo, e ci aggiunge un delitto, anzi di più. Le schegge è Meno di zero con quarant’anni di editoria in più, è quello studente diventato scrittore e quel ragazzo diventato uomo, grazie a e nonostante Meno di zero.
Mockumentary e seduta di autoanalisi, Le schegge è il niente da cui è tutto partito, il grigio tenue assoluto a cui Ellis aggiunge una tinta, il giallo. È il tentativo di raccogliere i cocci - in inglese il titolo è The Shards - di quell’epoca, di quella società e di quella generazione e se non rimetterli insieme, impresa impossibile anche per un maestro Kintsugi, quantomeno buttarli. In quarant’anni di nulla, meravigliosamente raccontato con sarcasmo, bastardaggine e severità, Bret Easton Ellis è diventato una star della letteratura; ha apparecchiato il cinema e accompagnato la musica da cui tutto era partito (il titolo di Less Than Zero è ispirato dall’omonima canzone di Elvis Costello). E in quel vuoto in cui tutto “fa lo stesso”, in cui si andava al cinema due volte giorno, in cui Shining poteva essere archiviato in due righe “perché è meglio Stephen King”, in cui si spacciavano i VHS pirata di Indiana Jones e il tempio maledetto e in cui lo stereo passava quel che decideva lui, lì, in quei tempi pericolosamente lunghi, Ellis stila la sua apocalisse umana. Con il senno di poi.
Sì, forse con Le schegge Bret Easton Ellis ha chiuso un cerchio. D’altronde cos’è un cerchio chiuso se non uno zero?