L’analisi

Dalla frustrazione al fanatismo: come le masse costruiscono i loro tiranni

La fragilità del pensiero libero di fronte alla promessa dell’identità

  • Oggi, 13:30
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Monday demonstrations in East Germany (1989–1991) helped bring down the Berlin Wall

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Di: Gabriella Caramore, scrittrice, ha curato varie trasmissioni per Rai Radio 3, tra cui “Uomini e Profeti”

Chi fa la storia? Certamente i potenti, quelli che poi troviamo nei libri scolastici, e che tanto facilmente si trasformano in prepotenti. Nella fase di veloce e inquietante transizione che stiamo vivendo vediamo passare sullo schermo del presente una teoria di protagonisti che spudoratamente mostrano la loro imbarazzante pochezza insieme alla loro sconvolgente potenza. 

Ma poi ci sono i popoli, quelle entità astratte che nei libri di storia non troviamo mai tratteggiati nella loro capacità o incapacità di incidere sul reale, ma li troviamo considerati come un insieme, un oggetto amorfo, che non si sa come e perché plasma i confini e le trasformazioni del mondo. Ogni popolo è fatto di tanti volti e intrecci e drammi e soluzioni e piccole e diverse storie. Ma è vero anche che accade spesso che queste differenze si smorzano e si occultano, acquistando peso e potere di decisione soltanto quando i singoli si aggregano diventando “massa”.

La massa è informe. Acquista spessore solo nel numero. La massa è anonima. Prende nome solo dal capo nel quale si rispecchia. La massa è priva di identità. Proprio per questo è affamata dell’identità che solo il tiranno le può offrire. La massa si scopre senza desideri. L’autocrate gliene offre di altisonanti. La massa è incapace di essere incisiva. Il despota gliene offre l’opportunità. D’altronde, senza la massa il tiranno è forza vuota. La massa gliela riempie. Perciò si forma un corto circuito micidiale tra il potente di turno e le masse di cui si circonda. L’uno circuisce, incanta, solletica le altre. E viceversa. Si rispecchiano l’uno nelle altre in una sorta di deformazione binaria. Il tiranno seduce nascondendo sotto una maschera falsità, promesse vane, illusioni da saltimbanco. La massa si lascia sedurre, avida di avere ciò che non ha, o di mantenere stretto ciò che ha già, chiudendo gli occhi al dolore dell’altro, godendo degli inganni, di un prestigio che è solo pantomima, rinunciando a un proprio pensiero libero e consapevole, mettendo a tacere ogni ragionevole sospetto.

Nella massa gli individui si contagiano l’un l’altro, si infettano di esaltazione, si accorgono che senza la loro compatta unanimità il tiranno non avrebbe nessun potere, per cui stringono con lui un inconsapevole ricatto. Io ti do il mio consenso incondizionato. Tu mi dai quella identità che senza di te non potrei mai acquisire. Uomini senza qualità, si potrebbe dire, gli uni e gli altri, con sogni di sgangherata onnipotenza, che prima o poi finiranno miseramente, come sono sempre finiti i sogni dei tiranni. Dal 20 gennaio 2025 abbiamo sotto gli occhi il fenomeno Trump, 47° presidente degli Stati Uniti d’America. Con il suo linguaggio rozzo, i suoi slogan altisonanti, i suoi gesti volgari, i suoi programmi approssimativi e menzogneri, la sua arrogante ricchezza ha abbindolato la metà del popolo americano, convincendola con slogan facili e seduttivi. Make America great again: in questa visione si sono rispecchiati non solo i grandi magnati dell’industria e della finanza, non solo una parte della ricca e media borghesia che per difendere i propri privilegi non muoverebbe un dito per aiutare un migrante, un povero, uno sfruttato, un malato, un essere di un altro colore. Ma anche parte delle categorie sociali più ricattabili, più facilmente inclini a sognare un sogno altrui, purché appaia luccicante come una chimera. Sono quelli che patiscono le frustrazioni più profonde, quelli che credono di più nell’ostentazione e nella simulazione, visto che quel po’ di democrazia che era stata loro concessa non è servita a proteggerli dall’indigenza e dall’umiliazione.

La frustrazione, dunque, è la grande molla che muove le masse. La frustrazione che illude di avere a portata di mano la rivincita, il riscatto, la riscossa. Il frustrato non si preoccupa di scovare la realtà sotto le apparenze. Non si assume la responsabilità di un ragionamento, di una presa d’atto, di una critica. Vuole accorciare le distanze tra il suo stato e il baluginio di emancipazione che gli viene fatto brillare davanti agli occhi. Poche parole d’ordine sono sufficienti a far spezzare, nell’immaginazione, le catene che tengono insopportabilmente avvinghiati alla realtà. L’identità è lì, a portata di mano. Basta obbedire. Ed è fatta.

Molti studi sono stai fatti nel tempo sul rapporto delle masse con il potere. Basta leggere Gustave Le Bon (Psicologia delle folle), o Elias Canetti (Massa e potere), o Remo Bodei (Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze): vi riconosceremo molti tratti della nostra storia.

E d’altronde ciascuno di noi, pur avendole viste mille volte, rabbrividisce ogni volta che vede e ascolta le arringhe del Führer rivolte al popolo tedesco: il volto folle del dittatore, deformato dalle sue parole ancora più folli, e la moltitudine in estasi, che non si accorge di applaudire a un incubo, da cui si risveglierà amaramente solo quando sarà troppo tardi: quando la guerra sarà perduta, assieme all’onore, alla dignità, alla grande cultura tedesca. E credo che noi italiani oggi rabbrividiamo ogni volta che ci troviamo di fronte alle immagini del Duce: che hanno anch’esse tratti di follia, ma insieme anche ridicoli, caricaturali, di modo che aumenta il nostro sbigottimento e imbarazzo di fronte a quelle masse osannanti, bramose di guerra, vogliose di sangue, di prestigio, di rivincita. Il piccolo popolo italiano, sempre un po’ deriso dalle grandi potenze, adesso sì ha un grande alleato, un sontuoso progetto, avrà come gli altri le sue colonie sul selvaggio suolo africano, e un giorno potrà dominare l’Europa. E a ben pochi veniva da ridere. E a pochissimi veniva da piangere. Quando il popolo si fa massa, l’intelligenza dei singoli si obnubila, il pensiero critico si cancella, omologarsi alla stupidità e alla violenza diventa l’imperativo principale.  

Sono tante le forme che può assumere l’inganno. Pensiamo al grande mito del comunismo. Ideologia necessaria nel tempo in cui si è diffusa in Europa in quanto esigenza delle società che andavano verso una modernità compiuta: le classi lavoratrici avrebbero avuto più salario, più riposo, più dignità, più sicurezza. Solo così avrebbero potuto essere più efficienti. Ma quando il grande mito si è trapiantato nella Russia zarista ha potuto farsi “socialismo reale” solo attraverso un grande inganno: la burocrazia, le epurazioni, le delazioni, lo sfruttamento, la miseria, il silenzio. Dopo decenni di disastri, alla morte di Stalin, il popolo, nella sua massa, non voleva credere che il “piccolo padre” fosse l’autore di tante crudeltà. L’essersi sbagliati non era contemplato. L’autoconvinzione doveva essere più forte di ogni consapevolezza. L’errore più autorevole di ogni evidenza.

E oggi? Oggi abbiamo visto con sgomento, sui mezzi di comunicazione, l’impressionante dispiegamento della potenza cinese per ricordare gli ottant’anni dalla vittoria nella seconda guerra mondiale. Una manifestazione volutamente esibita al mondo in cui hanno marciato compatti diecimila soldati, hanno sfilato centinaia di modernissimi veicoli e aerei da guerra, esplicita nel dimostrare simbolicamente che l’immensa massa del popolo cinese è geometricamente coesa nell’adesione e nell’obbedienza a chi la rappresenta. Una massa non scomposta e sguaiata come quella che ha sostenuto Trump, ma diligentemente e pericolosamente convinta degli obiettivi da perseguire.

Le conseguenze di tutto questo le vedremo nel dispiegarsi della storia. Senza mai dimenticare che la compattezza delle masse è sempre e solo di un momento storico. I popoli hanno risorse di intelligenza e di autonomia che prima o poi si ridestano e sanno cogliere la realtà, l’orrore e la speranza.

25:52

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  • Ti-Press
  • Sabrina Pisu

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