Ha suscitato clamore una recente celebrazione liturgica nella basilica di San Pietro a Roma, presieduta dal cardinale statunitense Raymond Burke, figura di spicco del tradizionalismo cattolico. Il porporato, noto per le sue posizioni conservatrici, ha officiato una Messa secondo il rito romano antico, la cosiddetta Messa tridentina, con l’approvazione di Leone XIV. L’evento si è svolto nell’ambito del quattordicesimo pellegrinaggio Summorum Pontificum, che dal 2012 riunisce fedeli legati alla forma extraordinaria del rito romano: la liturgia latina e gregoriana celebrata secondo l’ultima edizione del Messale tridentino, promulgato nel 1962 da Giovanni XXIII.
La celebrazione ha attirato l’attenzione di numerosi media internazionali, tra cui il New York Times, che ha evidenziato come l’iniziativa abbia riacceso l’entusiasmo tra i cattolici tradizionalisti, molti dei quali si erano sentiti emarginati nel tempo del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Tuttavia, non sono mancati gli interrogativi, anche tra gli osservatori ecclesiali, sul senso di questa concessione da parte di Leone: un gesto che, per alcuni, appare come un passo indietro.
In realtà, non si tratta di un episodio isolato. Anche durante il pontificato di Francesco, i tradizionalisti hanno avuto occasione di celebrare all’altare della Cattedra. Inoltre, diversi cardinali, non necessariamente appartenenti all’area conservatrice, hanno concesso spazi liturgici alla forma extraordinaria. Emblematico è il caso del cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente dei vescovi italiani, che il giorno prima della Messa di Burke ha presieduto i vespri in rito antico nella basilica di San Lorenzo in Lucina. Anche la sua partecipazione ha suscitato reazioni contrastanti, soprattutto tra i settori più progressisti della Chiesa.
Zuppi, tuttavia, non è nuovo a iniziative del genere, motivate principalmente dal tentativo di superare le polarizzazioni ecclesiali. Fin dall’inizio del suo incarico a Bologna, ha cercato di valorizzare la tradizione senza rinunciare all’innovazione, promuovendo dunque una visione inclusiva. La sua linea sembra essere chiara, superare le divisioni includendo tutti. Non a caso, nella prefazione al libro di Francesco Lepore Bellezza antica e sempre nuova. Il latino nel mondo di oggi, ha scritto: «Il latino non appartiene a nessuna fazione. È patrimonio comune e fonte di bellezza».
Anche Leone XIV ha espresso una posizione simile in una recente intervista al sito americano Crux: «Non intendo alimentare divisioni nella Chiesa. Il mio compito è preservare l’unità», ha detto, delineando così un tentativo di riconciliazione tra opposti, volto a sanare le ferite apertesi dopo anni di contrapposizioni tra tradizionalisti e progressisti, senza rinunciare al cammino sinodale. E così papa Francesco, che ha anch’egli più volte condannato le polarizzazioni, nonostante i media lo abbiano spesso etichettato come esponente della sinistra ecclesiale. Il suo approccio, aperto ai margini, mirava a includere senza escludere.
Che dire allora? Senz’altro una cosa, e cioè che il ritorno del rito tridentino non rappresenta tanto una restaurazione del passato, quanto un’apertura. Verso chi? Verso coloro che sono legati alle forme liturgiche più antiche, nonostante il Concilio Vaticano II abbia indicato una nuova strada. Con Leone, in sostanza, la volontà di coabitazione tra tradizione e futuro, in cui nessuno viene lasciato fuori, è strada percorribile.
Il ritorno della messa in latino
Alphaville 06.11.2025, 11:45
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