Storia ebraica

Il diario svelato, Etty Hillesum e la spiritualità della non violenza

A ottantadue anni dalla morte, il “Diario” di Hillesum continua a svelare la profonda vicenda umana di una giovane donna che, anche ad Auschwitz, trovò la forza di un amore agapico e di un altruismo radicale

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Etty Hillesum: operatrice di pace

RSI Cultura 25.09.2018, 07:56

Di: Francesco Lepore, è esperto di lingue antiche e tematiche religiose

Solo ripercorrendo l’intera e complessa vicenda umana della giovane olandese di origine ebraica, deceduta ad Auschwitz, si potrà comprendere appieno il suo folgorante messaggio di amore agapico, altruismo radicale, spiritualità della non violenza.

È ricorso recentemente l’ottantaduesimo anniversario della morte di Esther - più nota col diminutivo di Etty - Hillesum ad Auschwitz. Per l’esattezza, il 30 novembre. In quel giorno, infatti, del 1943, stando almeno alla verisimile ricostruzione della Croce Rossa olandese, la giovane ebrea di Middelburg si spegneva nel famigerato campo di concentramento nazista: aveva appena 29 anni. Ma Etty, in realtà, era «già morta mille volte in mille campi di concentramento».

Era stata lei stessa a scriverlo in una nota diaristica del 29 giugno 1942, dopo aver udito le notizie sempre più persistenti di un’imminente deportazione di tutti gli ebrei olandesi «in Polonia passando per il Drenthe» e appreso, da un comunicato radio della BBC, che fino ad allora erano già stati uccisi settecentomila ebrei in Germania e nei territori occupati. «Se rimarremo vivi - così Etty alla stessa data -, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto» (Diario 1941-1942, edizione diretta da K. A. D. Smelik, trad. it. di C. Passanti - T. Montone - A. Vigliani, Adelphi, Milano 2013², pp. 667-668).

Composto di undici quaderni - gli ultimi, relativi al 1943, le furono sottratti e bruciati poco dopo l’arrivo ad Auschwitz al pari dei pochi altri libri portati con sé: le piccole Bibbie in varie lingue, la grammatica russa, le opere di Tolstoj - e pubblicato per la prima volta nel 1981, per giunta parzialmente, col titolo Het verstoorde leven (“La vita interrotta”), il Diario, che Etty aveva vergato dall’8 marzo 1941 al 13 ottobre 1942 su consiglio del proprio terapeuta, maestro e amante, lo psicochirologo junghiano Julius Spier, ha squarciato il velo dell’anonimato sulla complessa vicenda umana della giovane olandese e fatto conoscere al mondo la potenza del suo messaggio di amore agapico, altruismo radicale, spiritualità della non violenza. Un ulteriore contributo in tal senso è stato offerto dall’epistolario hillesumiano, che, relativo agli anni 1941-1943 e costituito da ottantacinque lettere, ha visto la luce, in edizione completa originale comprensiva del Diario, nel 1986.

In versione integrale italiana il Diario e le Lettere sono comparsi separatamente per i tipi Adelphi, l’uno nel 2012, le altre nel 2013. E proprio per la casa editrice milanese è uscita in luglio, tradotta dall’olandese, la biografia monumentale Etty Hillesum. Il racconto della sua vita, che, composta dalla giornalista e scrittrice Judith Koelemeijer dopo sette anni d’intensa ricerca, è apparsa per la prima volta ad Amsterdam, presso Balans, nel 2022.

Un’opera, questa, fondamentale, per comprendere meglio significato e valore degli scritti hillesumiani, ai quali Koelemeijer, attraverso documenti d’archivio, testimonianze, carteggi e fotografie - le relative note e bibliografia coprono ben centodue pagine sulle complessive seicentodieci -, riesce a dare un ampio sfondo. Le notizie autobiografiche, di cui sono disseminate il Diario e le Lettere, trovano così una loro contestualizzazione e spiegazione nel dipanarsi della minuziosa narrazione/ricostruzione diacronica della vita di Etty: dal contesto familiare emotivamente instabile e compromesso, cui sono da ricondursi gli stati di personale depressione, peraltro comune ai fratelli maggiori Jacob (Jaap) e Michael (Mischa), agli studi universitari in giurisprudenza; dalla passione per la letteratura russa, in particolare Dostoevskij e Tolstoj, alla militanza nei circoli studenteschi della sinistra antifascista; dalle spregiudicate e numerose relazioni sentimentali - cui ella stessa accennò con una metafora eucaristico-rilkiana: «Ho spezzato il mio corpo come pane e l’ho distribuito agli uomini» (Diario 797) - all’incontro decisivo con Spier, «ostetrico della» sua «anima» (Diario 772), che la iniziò alla lettura meditata della Bibbia, soprattutto il Nuovo Testamento, del De imitatione Christi e di autori cristiani come Agostino e Meister Eckart; dalla sofferta decisione di lavorare con il controverso Consiglio ebraico quale dattilografa prima, assistente sociale poi, al servizio volontario per gli internati nel campo di transito di Westerbork, dove, fermamente contraria alla fuga e desiderosa di condividere il destino del suo popolo, decise di restare.

Da lì, il 7 settembre 1943, Etty Hillesum sarebbe stata deportata ad Auschwitz, non senza aver lanciato dal treno una cartolina, recuperata l’indomani, con le oramai celebri parole: «Abbiamo lasciato il campo cantando». Parole, che, come quelle, presenti nel Diario e nelle Lettere, sull’amore per i nemici e sul rigetto totale dell’odio, trovano la loro ultima ragion d’essere nel profondo cammino interiore, intrapreso dalla giovane negli ultimi due anni di vita, e nella sua «esperienza spirituale fiorita - come rilevato dal filosofo Marco Vannini - fuori da steccati confessionali e scaturita non da una dottrina o da un’indagine su Dio, ma da un’inattesa relazione viva con Lui».

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