«Le tre grandi religioni teistiche – ebraismo, cristianesimo, islam – hanno la loro radice comune nella promessa abramitica e, di conseguenza, nella speranza della terra in cui si possa vivere, nella speranza della restaurazione del paradiso terrestre. Ma anche nel più forte movimento antireligioso del nostro tempo, il marxismo, è questa eredità abramitica a rappresentare il vero impulso originario e al contempo la promessa che lo rende affascinante. Anche qui il punto di partenza è la ricerca della redenzione, la ricerca di un umano non più alienato ma che ha ritrovato se stesso».
È un Joseph Ratzinger inedito quello che traspare nel Tomo XIII dell’Opera Omnia curata da Gerhard Ludwig Müller - intitolato “In dialogo con il proprio tempo” - che la Libreria Editrice Vaticana presenta in questi giorni. Colui che da più parti è stato definito come «l’inflessibile prefetto della Congregazione per la dottrina della fede» mostra in alcune interviste inedite rilasciate prima dell’elezione al soglio di Pietro aperture che smentiscono la lettura che di lui nel corso degli anni hanno dato i media a vario titolo. È nel 1983 che, conversando per l’“Anno santo della Redenzione” con il Passauer Bistumsblatt, riflette sulle radici delle tre religioni teistiche affermando apertis verbis che l’impulso originario che ha mosso il marxismo risiede nella stessa eredità abramitica. E cioè la ricerca di una umanità nuova, scevra da alienazioni e schiavitù.
Da sempre la Chiesa cattolica si è adoperata per risollevare, fare nuove, le sorti delle popolazioni più deboli e vessate. Non a caso in Sudamerica è nata una teologia della liberazione che delle istanze di crescita e progresso degli ultimi si è fatta amica. Ratzinger, che è stato dipinto come colui che ha censurato le spinte di questa teologia, si mostra invece consapevole del ruolo che la stessa Chiesa può avere nel progresso anche sociale dell’umanità. Ne parla nel 1988 quando, da sette anni prefetto dell’ex Sant’Uffizio, dialoga con L’Osservatore Romano spiegando come la Chiesa deve sì stare nelle problematiche del mondo facendo però un passo indietro dalla politica tout court. Dice: «Se opera bene, vorrà cedere la responsabilità politica quanto prima, affinché non venga oscurata la specifica e inconfondibile pretesa del Vangelo. Proprio i poveri sono consapevoli che hanno bisogno della Parola di Dio non meno che del pane».
Certo, non tutto del marxismo piaceva al Papa emerito. Ma se sa avere toni anche critici sul marxismo, come fa dialogando con Jaime Antúnez Aldunate su El Mercurio (1987 – 1994) promuovendo «un’interpretazione del mondo basata esclusivamente sulle forze materiali», altrettanto sa riservare parole precise al suo contrario, a quella «filosofia radicale del mercato» che «predomina un pensiero meccanicistico materialista, in cui la libertà dell’individuo diventa parte integrante di un sistema meccanico complessivo che funziona con leggi affidabili». «Il liberalismo puro – continua - non può superare il marxismo. Abbiamo bisogno, come dimostra l’Enciclica morale del Papa (Giovanni Paolo II, ndr) di una concezione della libertà legata alla verità. Abbiamo bisogno di un’immagine dell’uomo che sia legata a Dio. Altrimenti non potremo orientarci tra la Scilla dell’anarchia e la Cariddi del totalitarismo».
È stato Papa Francesco con la sua Laudato Si’ a riflettere in modo ampio e approfondito sulla necessità della cura del creato, riservando nel corso del suo pontificato anche qualche critica alla globalizzazione laddove genera indifferenza. E Ratzinger sa non essere da meno. La sua critica è alla globalizzazione delle informazioni che annulla le differenze rendendo tutto indistinto. Dialogando nel 2000 con Patrick Bahners e Christian Geyer su Frankfurter Allgemeine Zeitung spiega come il paradosso del nostro tempo risieda proprio in «un’uniformità mai vista in precedenza». Dice: «Uno che venisse paracadutato da un aereo in volo farebbe fatica a capire se si trova in Giappone, in Sudafrica, in Nordamerica o in Europa, e a questa uniformità fa riscontro la globalizzazione delle informazioni, del modo di pensare e delle condizioni di vita».
Da sempre Francesco ha rifuggito l’idea che la Chiesa debba fare proselitismo, che il suo primo compito sia quello di convertire chi non crede. Nello stesso tempo non sembra esserci nella sua visione l’idea di una Chiesa che viva fuori dal mondo, lontana dalle situazioni più difficili, dalle sfide sociali più impegnative e rischiose. Tutt’altro. Così Ratzinger, la cui visione di «Chiesa minoranza» ingloba punti di vista precisi. Dice nel 2002 a «Die Welt»: «La Chiesa come minoranza deve fare di tutto per mantenere vivi e operanti i suoi grandi valori. In questo senso forse non tutto è nelle nostre mani. Ma in nessun caso dobbiamo ritirarci in un confortevole ghetto e dire: ora stiamo fra noi. Anche in una posizione di minoranza, la Chiesa, come a suo tempo ha fatto san Paolo, dovrebbe concepirsi come forza pubblica, che ha una responsabilità pubblica».