Cristianesimo

Una nuova cristianità, il grido profetico di Marcelo Barros

Il teologo della Liberazione ordinato prete dall’arcivescovo dei poveri dom Helder Camara denuncia il ritorno al devozionismo e propone una Chiesa sinodale, incarnata e aperta al mondo

  • Oggi, 14:00
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Il teologo Marcelo Barros

  • Caritas Brasileira
Di: Rod 

«La maggior parte delle parrocchie cattoliche in tutti i continenti esprime ancora un cattolicesimo devozionale, tipico dell’epoca delle nostre nonne». Il giudizio, lapidario, è del monaco e teologo della Liberazione brasiliano Marcelo Barros (sul suo sito web le sue ultime pubblicazioni), ordinato prete nel 1969 dall’arcivescovo dei poveri dom Helder Camara. Alla combattiva e sempre interessante agenzia Adista, che dal 1967 segue le vicende cattoliche e religiose da Roma, Barros ha inviato una riflessione teologica che mostra quanto ancora stantia e ferma sia la teologia cattolica – e di conseguenza la pratica religiosa – in diverse parti del mondo. Come scrive Claudia Fanti in un articolo a commento di Barros, nonostante la riflessione teologica più avanzata si interroghi da tempo sulla possibilità di una religione senza dogmi, dottrine, gerarchie e pretese di verità assoluta, oggi la realtà ecclesiale è ancora lontana da tali prospettive di rinnovamento (leggi qui un approfondimento della RSI sul tema).

Il teologo brasiliano sottolinea come, paradossalmente, si sia verificata un’involuzione in molti contesti: «Nelle parrocchie e nelle diocesi in cui, alcuni decenni fa, si tenevano incontri di comunità ecclesiali di base e di circoli biblici oggi si celebrano solo novene ai santi, seguite dal rosario e dall’adorazione del Santissimo Sacramento». Questo ritorno a forme di devozione tradizionali, scrive Adista, sembra indicare una resistenza al cambiamento e un’incapacità di rispondere alle sfide della contemporaneità.

Barros evidenzia come il modello ecclesiale dominante sia ancora profondamente radicato nella logica della cristianità: «Le parrocchie e le diocesi continuano a essere organizzate secondo il modello della vecchia cristianità, con l’organizzazione interna della Chiesa che questo prevede e con la sua spiritualità e la sua missione». In questa visione, la Chiesa è ancora concepita come «sinonimo di gerarchia, una piramide al vertice della quale si trova il Papa, e in cui la sinodalità viene accettata solo nella misura in cui rimanga intoccabile il potere del Papa, dei vescovi e dei sacerdoti».

Questa struttura gerarchica e piramidale ha conseguenze profonde sulla vita ecclesiale. Come afferma Barros, «il clericalismo persiste necessariamente, e non come un abuso del sistema ecclesiastico, come spesso denunciato da papa Francesco, ma, purtroppo, come espressione normale del sistema stesso». In altre parole, il clericalismo non è un’aberrazione, ma una caratteristica intrinseca del modello ecclesiale dominante.

Le conseguenze di questa impostazione sono molteplici e toccano vari aspetti della vita ecclesiale. Ad esempio, Barros sottolinea come sia impossibile «mettere in pratica la proposta di vivere una Chiesa in uscita, a partire dalle periferie del mondo, e organizzarsi sulla base della sinodalità». L’attuale struttura ecclesiale, infatti, non permette una reale apertura e un autentico coinvolgimento delle periferie esistenziali e geografiche tanto care a papa Francesco.

Un altro aspetto problematico evidenziato da Barros è la persistente separazione tra sacro e profano, che impedisce «che la proposta del regno divino come offerta per il mondo abbia una reale importanza». Questa dicotomia rende difficile per la Chiesa incarnarsi realmente nel mondo e rispondere in modo efficace alle sfide sociali, politiche ed ecologiche del nostro tempo.

Il teologo brasiliano critica anche il modo in cui vengono gestite le cosiddette «pastorali sociali» all’interno delle diocesi. Pur riconoscendo il diritto dei vescovi di organizzarle in modo che si orientino all’azione sociale trasformatrice, Barros nota che «se la stessa ecclesialità e la stessa missione sono ancora viste all’interno di una cultura di neocristianità, allora, nella vita quotidiana delle parrocchie e delle diocesi, le pastorali sociali appariranno ancora come qualcosa di esterno e secondario nella vita e nella missione della Chiesa».

Barros affronta anche il tema della spiritualità, sottolineando come il modello di cristianità influenzi profondamente il modo in cui viene vissuta la fede. «Le devozioni, le novene e la spiritualità proposte dalla maggior parte delle parrocchie hanno come fondamento e orizzonte una visione spirituale che separa il cielo dalla terra», afferma il teologo. Questa separazione tra sacro e profano impedisce una reale incarnazione del messaggio evangelico nella realtà quotidiana.

Il teologo brasiliano non si limita a criticare, ma propone anche delle vie di rinnovamento. Suggerisce di «rileggere il Concilio Vaticano II e la Conferenza Episcopale di Medellín che lo ha tradotto e aggiornato in America Latina, a partire da una Chiesa che sia comunione di comunità organizzate in modo sinodale, come minoranze abramitiche profetiche nella diaspora di un mondo laico». Questo approccio richiederebbe un superamento degli schemi e delle visioni ecclesiali della cristianità che ancora persistono.

Barros sottolinea l’importanza dell’ecumenicità, intesa non solo come dialogo interreligioso, ma come dimensione trasversale della fede che va oltre l’ecclesiasticismo. Questa apertura, secondo il teologo, potrebbe aiutare la Chiesa a rinnovarsi e ad assomigliare maggiormente al movimento di Gesù.

In conclusione, Barros invita a sostenere e rafforzare «questi cenacoli di resistenza, queste esperienze ecclesiali che vanno oltre la cristianità, in direzione della costruzione di un nuovo stile di Chiesa e di missione». Solo attraverso queste esperienze profetiche e innovative, secondo il teologo, la Chiesa potrà realmente rinnovarsi e rispondere alle sfide del mondo contemporaneo.

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  • Luisa Nitti

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