Letteratura

Catherine Lovey e Romain Buffat: percorsi paralleli dei due scrittori romandi

Intimità e distanza nei romanzi “histoire de l’homme qui ne voulait pas mourir” e “Grande-Fin”

  • Ieri, 17:03
  • Ieri, 17:05
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  • Keystone
Di: Valentina Grignoli 

C’è chi assaggia una porzione di umanità sul pianerottolo di casa, e chi invece deve andare fino al cuore di un altro continente per trovare sé stesso. histoire de l’homme qui ne voulait pas mourir di Catherine Lovey e Grande-Fin di Romain Buffat raccontano storie intime e personali che molto hanno a che vedere con prossimità e lontananza. Fin dove ci si deve spingere per ritrovare la strada di casa? A volte basta bussare alla porta accanto.
Attraverso i due testi, che contengono tracce autobiografiche rendendole universali, scopriamo di vivere in un’epoca dove il contatto umano all’interno delle famiglie è sempre più difficile, una comunicazione sincera sempre più inafferrabile. Due romanzi che contengono mondi e accadimenti completamente diversi, ma allo stesso tempo si sfiorano, per il modo in cui raccontano l’incomunicabilità.

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historie de l’homme qui ne voulait pas mourir (Edizioni Zoe) è esattamente quello che dice di essere. Sandor, che tanto ci ricorda, per provenienza e omonimia, il grande scrittore ungherese-americano Sandor Marai, è il vicino di casa della protagonista, una donna di cui sappiamo poco, destinata a rimanere un mistero. C’è la pandemia sullo sfondo, c’è un mondo ammalato, schiavo del potere del denaro. Sandor è un uomo d’affari generoso e benestante, elegante e affascinante, che si ammala di un tumore apparentemente incurabile; la sua vicina si trova ad accompagnarlo in quel difficile, inaccettabile, incomprensibile cammino che è la malattia. Ma mentre lei si rende conto di quel che sta accadendo, lui sembra non volersene accorgere, e fino all’ultimo nega l’evidenza. Ancor più grave, anche il mondo medico sembra avere identico atteggiamento, in una società che nega totalmente la possibilità della morte. Cosa sappiamo realmente di Sandor? Sta solo negando la realtà, oppure il suo è un atto di coraggio? Dei due protagonisti, quel che scorgiamo e apprezziamo è innanzi tutto l’imbarazzo di trovarsi vicini, e poi il candore di un rapporto dato dall’imminenza e dalla casualità, più che da una reale volontà o comunione di interessi.
Un appunto sul titolo: è in minuscolo per scelta, perché quella che leggiamo, a detta dell’autrice, è proprio storia con la S minuscola. Come quelle che iniziano con «c’era una volta», che è effettivamente la frase con cui si apre il romanzo.

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Se rimaniamo aggrappati al titolo, anche Grande-Fin (edizioni Double Ligne) merita la nostra curiosità: a cosa si riferisce? Grande-Fin significa molte cose: a detta dell’autore, una promessa spettacolare per le lettrici e i lettori che si apprestano al viaggio all’interno di una famiglia apparentemente molto ordinaria, ma anche il luogo, fittizio, in cui questa famiglia vive. Che non esiste sulla carta, o meglio esiste moltissime volte, nel nord vodese, a indicare la frontiera tra un paese e l’altro, il limite. Limite che è anche quello della famiglia di Jerome, il protagonista di questa storia. Una famiglia modesta che vive fuori dal centro urbano, quindi costretta a prendere l’auto ogni volta che si vuole spostare, sempre sospesa tra due mondi separati.

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Il romanzo si apre con la partenza di Jerome da Chicago verso ovest, meta San Francisco. Quello che sta per compiere non è solo un viaggio a tappe in treno attraverso l’America, ma molto di più. Con la complicità del paesaggio che sfreccia dietro il finestrino, come una bobina che si riavvolge all’incontrario, il nostro protagonista ripercorre la storia della sua famiglia, in un parallelo continuo tra la società che scorge al di là del vetro e quella svizzera, tra il destino delle miniere di carbone e le tipografie industriali, tra le grandi distanze e quelle piccole, tra l’auto e il treno. La musica è sempre presente e culmina in un clamoroso concerto di Bruce Springsteen tra le Montagne Rocciose, in questo romanzo che a tratti possiede lo sguardo di una cinepresa, con tanto di zoom, analessi e prolessi, lunghissimi piani sequenza.
Jerome ripercorre quello che sembra essere stato l’ultimo viaggio felice del padre, che li ha abbandonati molti anni prima, a seguito di un preannunciato licenziamento. Ma non solo: ci permette di entrare nei meccanismi di una famiglia qualunque, alle prese con la crisi economica e culturale. A metà strada tra il road movie e il romanzo di formazione, un racconto che allarga lo sguardo oltre i confini di ciò che sembra, verso un mondo non sempre facile da accettare, ma pieno di umanità.

1:05:39

Make America Weird Again

Alice 08.02.2025, 14:35

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  • Michele Serra

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