Che cos’è il “realismo magico”? L’etichetta è talmente bella che può permettersi il lusso, come talvolta accade, di non avere alcun significato. In realtà in fondo a questa espressione ossimorica qualcosa di sensato esiste eccome: per esempio che una realtà senza magia è una realtà mutilata e che un mondo esposto alla sola dimensione razionale è un mondo, oltreché a sua volta mutilato, davvero triste e malinconico.
Dubito però che Gabriel Garcia Marquez, a cui l’etichetta è stata così spesso applicata, amasse particolarmente essere confinato in tale figura: il “realista magico”. Come per Carver, a cui la definizione di “minimalista” faceva venire l’orticaria, l’autore colombiamo era infatti troppo fantasioso, estroso e ludico per apprezzare il riduzionismo della terminologia critica.
Detto questo, torniamo pure al nostro assunto. Se “realismo magico” è una di quelle definizioni-grimaldello, come “minimalismo”, per scardinare qualsiasi tipo di poetica o di visione letteraria del mondo, che cosa conserva di fondamentale, di davvero eloquente, per spiegare l’universo romanzesco di Garcia Marquez? La domanda sembrerebbe particolarmente sensata se rivolta ai suoi capolavori più noti, da Cent’anni di solitudine a Cronaca di una morte annunciata a L’amore ai tempi del colera. Ma noi la formuleremo partendo da un racconto meno conclamato e tuttavia altrettanto cruciale: Dell’amore e di altri demoni. In questo straordinario romanzo breve, infatti, si presentano gli elementi e le caratteristiche peculiari della scrittura “marqueziana” più che in molti altri suoi libri. Anzi, forse, in termini di “realismo magico”, si presentano in forma così palese, così esibitamente voluta, da riuscire persino più efficaci di quelli più paludati delle opere maggiori.
In primo luogo, se “realismo magico” significa anche caricare la realtà di un elemento di imponderabilità, in questo romanzo la “magia” è né più né meno che un dato di realtà fondamentale. Poiché, come in qualsiasi Medioevo storico, essa è lo strumento per dare un nome all’imponderabile. E qui è probabile che si annidi la ragione più intima dell’importanza di Garcia Marquez nelle lettere contemporanee: egli ha capito, meglio e più a fondo di molti altri, che il mondo in evoluzione, il mondo che esce dal primitivo per gettarsi nelle fauci del progresso e della modernità, è un mondo che in realtà conserva in sé valori irrinunciabili, tra cui appunto l’affidamento all’imponderabile, al magico, al sacro, all’innominabile.
Per cui Dell’amore e di altri demoni, storia di una ragazzina divorata, insieme al suo medico curante, dal “demone” dell’innamoramento, non è solo un libro paradossale, caricaturale, carnascialesco, iperbolico – come lo sono in genere i racconti di Garcia Marquez – ma è soprattutto un libro nostalgico. Attraverso i suoi personaggi e la natura inesplicabile di molti suoi eventi, noi scopriamo leggendolo che rimpiangiamo il tempo in cui la primitività non ci era nemica ma alleata, il primordiale non ci era ostile ma amico, l’irrazionalità non ci era estranea ma connaturale.
Gabriel García Márquez: scrittura e magia
RSI Cultura 24.02.2017, 09:35
Si apre così, con quel romanzo, un universo di persone, di cose, di oggetti, di pratiche, di consuetudini, di mestieri e di utensili che vivono in assoluta intimità con l’antico e nell’antico. E si dischiude una terminologia che, lungi dall’essere solo espressione di una vocazione parossistica o giullaresca di Garcia Marquez, è viceversa la chiave senza la quale non riconosceremmo il “piccolo mondo antico” di cui il colombiamo parla.
Terminologia soltanto? Non diremmo. Garcia Marquez, se è, come si dice, il padre del “realismo magico”, lo è in primo luogo perché ha saputo costruire accostamenti (spesso sinestetici o ossimorici) che oltre a ricongiungerci con mondi primitivi ci sollevano alle altezze di una mentalità che abbiamo dimenticato di aver posseduto e di saper possedere.
Solo un esempio, che vale come cifra di tutto il suo stile paradossale: “Trasferita nel cortile degli schiavi, Sierva Marìa imparò a ballare prima che a parlare, imparò tre lingue africane al contempo, a bere sangue di gallo a digiuno e a intrufolarsi in mezzo ai cristiani senza essere vista né udita, come una creatura immateriale”.
Insomma, “realismo magico” può voler dire che la vita è sempre magica se la si sa osservare con lo sguardo goliardico di Garcia Marquez. Ma anche che la gioia del vivere è probabile che conservi la propria magia soprattutto in quella realtà ormai perduta che è il nostro passato remoto, la nostra ostinata primitività.