Letteratura

Helena Janeczek: come si diventa complici del male

“Il tempo degli imprevisti”, ultimo romanzo (destrutturato) della scrittrice italiana, ci porta nel cuore dell’Europa del Novecento, nel periodo che precede lo scoppio del secondo conflitto mondiale. E pone domande che ancora oggi rimangono senza risposta

  • Ieri, 17:00
Helena Janeczek, 2024

Helena Janeczek, 2024

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Di: Nero su bianco / Maria Pia Belloni / MrS 

Helena Janeczek è tornata, legando con sartoriale abilità di ricerca e di scrittura due epoche storiche molto simili: la prima è quella che precede la Seconda guerra mondiale e gli orrori del nazismo; la seconda è la nostra, quella che stiamo vivendo, un contesto storico dove c’è ovunque puzza di esplosivo. 

Dopo il premio Strega conquistato con il raffinato e potente La ragazza con la Leica, l’ultima fatica di Helena Janeczek è una raccolta di quattro racconti collegati da un filo invisibile, scritti con un linguaggio pennellato di intelligente ironia, dove a raccontarci la Storia con la S maiuscola è un coro di personaggi incredibili, alcuni noti, altri meno. Che inseguono ideali, manie, o forse semplicemente si crogiolano nelle loro follie. Un grande lavoro, soprattutto, di ricerca storica. 

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Dal Trauma della Shoah ai nazionalismi di oggi 

Nero su bianco 22.11.2025, 17:05

  • Imago Images
  • Maria Pia Belloni

Helena Janeczek: A me, di base, piace moltissimo fare ricerca. Fare ricerca per questo libro mi ha anche fatto bene, perché erano gli anni del Covid. Quindi, vista la scarsa possibilità di fare cose interessanti nel mondo là fuori, facevo questi viaggi nel tempo, procurandomi ogni sorta di libri, materiali, eccetera. E poi, questo è un modo per capire prima, nella mia testa, il mondo che voglio raccontare e i personaggi che voglio raccontare, che sono parte di quel mondo. Un mondo che è un piacere conoscere, anche se le storie non sono piacevoli. 

È importante per me conoscere bene il mondo, perché solo così poi la narrazione diventa qualcosa di vivo, di attinente a qualcosa che non somiglia al nostro modo di vivere odierno, ma in cui riconosciamo qualcosa che ancora ci parla: per l’invariabilità di certe caratteristiche dei rapporti umani, oppure perché – appunto – alcune problematiche che sembrano del passato si ripresentano sotto nuove forme. Ad esempio, quelle legate alla posizione delle donne nella società, sulle quali abbiamo fatto dei passi avanti, ma non abbastanza. Insomma, cose in cui poi ognuno, leggendo, può trovare degli spunti di riflessione e di confronto.

Il tempo degli imprevisti.jpg
  • Guanda

Maria Pia Belloni: Dentro Il tempo degli imprevisti ci accompagna un linguaggio musicale, ricco, mosso. Ci sono descrizioni che sembrano farci quasi toccare i mobili, i vestiti dai personaggi che lei ha intercettato, e che descrive attraverso la parola e gli occhi di altri, che stanno loro attorno. Sono personaggi eccentrici e per questo spesso divertenti, anche se le storie di fondo sono tragiche. Personaggi appassionati, pieni di ideali e di manie, loro malgrado testimoni di un tempo: quello che precede gli orrori del nazismo. E c’è una correlazione con il tempo incerto e un po’ storto che stiamo vivendo anche noi, dove si torna a parlare di trincee, di crimini di guerra, di totalitarismi…
Quando scriveva questo libro, aveva già la percezione che ci avrebbe dato la sensazione di guardare un affresco del nostro contemporaneo?

Sni. Insomma, sì e no. Nel senso che, come dicevo, questo libro ho cominciato a scriverlo sotto il Covid, che è stato in qualche modo un’esperienza assolutamente eccezionale, che forse non abbiamo ancora ben capito, assimilato. Che ci ha cambiato molto di più di quanto forse abbiamo realizzato, certo. Però al tempo stesso c’è un parallelo con l’influenza spagnola, che non è stata registrata come qualcosa di così catastrofico in sé, perché era scoppiata durante la Prima guerra mondiale. Tra l’altro, una delle star di questi racconti, che è Franz Kafka, se la beccò, e quasi ci lasciò le penne. La spagnola, come il Covid nelle sue forme più violente, provocava polmoniti bilaterali... Quindi, già questa era una cosa che in qualche modo mi aveva colpito.

Poi c’è il tema che attraversa un po’ tutti i racconti, e cioè il relazionarsi ai nazionalismi, alle identità in conflitto, conflitti che si notano particolarmente nelle zone di confine: un tema che si poteva toccare nelle nostre società, e che poi è esploso con la guerra di invasione dell’Ucraina e più di recente con quella su Gaza, e molte altre guerre che vediamo meno nel nostro radar, ma  che si appoggiano all’idea che un gruppo o una nazione debba prevalere su un altro – con tutti i mezzi.

Tutti i personaggi sono carichi di una grande vitalità: lei ha citato Kafka, ma c’è ad esempio anche la figlia di Ezra Pound, poetessa gentile, cresciuta in altri luoghi e tra altri affetti rispetto a quelli che componevano la sua famiglia d’origine. Anche in questo caso, i tratti di questo personaggio sono descritti con una delicatezza e una sensibilità rare.

Io tengo tanto all’aspetto di leggerezza e di ironia che c’è, in minore o maggiore misura, in tutte le quattro storie, e che a me sembra importante. Mi sembra che serva a dare una dimensione di quei limiti umani che tutti abbiamo, e che ci rendono anche amabili. Sono le debolezze che un certo tipo di discorso molto violento, assertivo, normativo, non sopporta.

L’ultimo racconto è dedicato a Trieste, città che Mussolini scelse nel 1938 per proclamare le leggi razziali. E sembra emergere un legame con i suoi romanzi precedenti, come Lezione di tenebra, dove affronta il tema del trauma ereditato, della trasmissione intergenerazionale di esperienze pesanti e dolorose come l’Olocausto. Anche considerando il fatto che lei è figlia di sopravvissuti ad Auschwitz. Oggi, secondo lei, il trauma del popolo ebraico passato attraverso l’Olocausto è un tema da scandagliare, da far capire ulteriormente, o è un tema da lasciar perdere, perché oggi l’antisemitismo è tornato purtroppo d’attualità e quindi c’è il pericolo di creare delle spaccature ancora più profonde?

Domanda molto impegnativa. Oggi bisogna riflettere su, ad esempio, cosa fare del Giorno della memoria. E ovviamente questo, ha anche a che fare con il tipo di sguardo su quell’esperienza, di chiunque possa eventualmente intervenire sul tema. Io penso che sia importante proprio studiare, ed è sostanzialmente quello che ho fatto nel mio percorso di scrittura, dopo aver scritto un libro di – come viene chiamata – post-memoria, cioè di memoria sì indiretta, però molto presente, e molto invasiva nel vissuto di una prima generazione, di chi ha genitori scampati a una catastrofe di tali dimensioni. 

Questo è già un mio modo di vedere la cosa, da sempre: io ho sempre pensato che quello che abbiamo cercato di apprendere, come lezione collettiva, dagli orrori del nazifascismo in generale e dal genocidio del popolo ebreo in particolare, e tutte le violenze, la gerarchia della violenza razziale… secondo me è una cosa che andrebbe restituita nella sua complessità. E poi io penso che, ad esempio, un film come quello di Jonathan Glazer, La zona di interesse, fa una cosa che non è stata fatta abbastanza, e che io in un certo senso ho cercato di fare proprio con l’ultimo dei racconti, che ho ambientato in questa Trieste a ridosso delle leggi razziali, cioè raccontare come persone normali diventano complici di qualcosa come un genocidio. La domanda importante, da un punto di vista etico, è: come si diventa carnefici, come si diventa complici, come ci si comporta di fronte alla violenza inferta ad altri?

Lei ha una risposta a questa domanda?

Faccio la scrittrice proprio perché non voglio risposte generali, ma guardare il particolare, come si comportano le persone umane. E le persone umane si adattano. A volte si adattano perché credono in qualcosa: il fascismo è stato per lungo tempo un movimento che ha veramente avuto un consenso enorme, anche tra gli ebrei italiani. Per cui c’è gente che sostanzialmente è complice della propria malasorte, perché ha creduto sin dalla Prima guerra mondiale che Trieste fosse italiana, che bisognasse appunto sostenere i vari Cesare Battisti e compagnia, quindi si identifica nella causa italiana, sostiene in maniera accesa il regime di Mussolini – che appunto, come sappiamo fino a un certo momento è un regime dove gli ebrei italiani iscritti al partito ebbero ruoli importanti – e poi c’è questa doccia fredda delle leggi razziali. Quindi questo è un racconto di persone normalissime, che magari prima ritengono giusto fare una delazione riguardo agli avversari del regime, e poi si trovano bersagliati da quello stesso regime.

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