Fumetti

Il volto di Bonvi

Trent’anni dalla morte del grande disegnatore italiano, autore delle “Sturmtruppen”, che amava diventare protagonista delle sue storie a fumetti. E anche trasformarsi in Jack London...

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  • © eredi Bonvicini
Di: Alberto Brambilla 

Prima che esistessero i social network, era difficilissimo per i lettori di fumetti conoscere il volto dei loro autori preferiti. Bisognava andare alle fiere, agli incontri, ai firmacopie… Qualcuno ogni tanto compariva in fotografia sulle riviste, qualcun altro in caricatura, per mano di un disegnatore amico.

Uno solo era una presenza fissa nelle proprie opere, uno solo donava costantemente il proprio viso ai suoi eroi. Biondo, bello, bellissimo, si era trasformato mille volte in alter ego di carta. Personaggi incredibili e fuori dal comune, così come incredibile e fuori dal comune è stata la sua vita. O almeno, il modo in cui la raccontava.

Bonvi nel suo studio

Bonvi nel suo studio

  • © eredi Bonvicini

La vita surreale di Bonvi inizia con i primi vagiti, dato che per il Regno d’Italia era nato due volte: Franco Fortunato Gilberto Augusto Bonvicini fu registrato all’anagrafe di Modena il 31 marzo 1941 e il giorno seguente a quella di Parma, così che la sua famiglia potesse richiedere due tessere annonarie. Così come fu incredibile la sua fine, il 10 dicembre 1995, esattamente trent’anni fa. Ma ci arriviamo dopo.

Da ragazzo faceva gruppo con tutta una serie di artisti modenesi che negli anni Sessanta avrebbero lasciato quella “piccola città, bastardo posto”: due su tutti, Victor Sogliani, futuro bassista dell’Equipe 84, e Francesco Guccini. Il servizio militare lo spedì in Friuli, dove – raccontava – invase la Jugoslavia a bordo di un carro armato. Al ritorno, l’amico cantautore lo presentò a un regista pubblicitario, Guido De Maria, che era alla ricerca di un disegnatore: al colloquio di lavoro che gli avrebbe cambiato la vita, il Bonvi esordì dicendo che in effetti, più che ai cartoni animati e ai fumetti, in quel periodo era interessato a studiare la possibilità di impiantare colture idroponiche su Marte… De Maria resse il gioco e i due divennero amici per la pelle; insieme realizzarono moltissimi caroselli di Salomone, pirata pacioccone, e soprattutto crearono il buffo detective Nick Carter per la trasmissione di enorme successo Gulp! I fumetti in t.v.

Tutto il percorso terreno del fumettista è costellato di episodi di questo tipo, alcuni veri, altri inventati di sana pianta, molti esagerati nel racconto che faceva di sé. Aveva sete di avventura e, se non riusciva a viverla sulla pelle, inchiodato al tavolo da disegnatore a realizzare le Sturmtruppen, Nick Carter o le Cronache del dopobomba, piuttosto se la creava, utilizzando gli strumenti di cui era maestro: la parola e il disegno.

Tra il 1969 e il 1970, mentre su Paese Sera era iniziata da poco la pubblicazione delle sue strisce antimilitariste su un assurdo esercito tedesco, sull’effimero giornale Off-Side uscì una serie di racconti autoconclusivi, raccolti anni dopo nel libro Incubi di provincia. Storie brevi, spesso con il finale a sorpresa, in cui il protagonista aveva immancabilmente l’aspetto dell’autore.

Lui derubricava l’utilizzo del proprio volto a mera questione di comodità. Intervistato dal critico Giulio Cesare Cuccolini su Il fumetto n. 14, datato maggio 1974, spiegava che «è molto più facile, quando ho bisogno di qualche espressione, scendere in strada, entrare in una di quelle cabine dove puoi ottenere quattro foto per cento lire, fare alcune espressioni o boccacce, ritornare nello studio e copiarle. Un modello mi costerebbe più caro – e non sarebbe disponibile alle tre di notte».

Impossibile, però, non pensare che, nel tizio che decide di dare la caccia ai mostri invisibili che gli inibiscono le voglie, o nello squilibrato che vuole dirottare un tram verso Cuba e, così facendo, scuote dal torpore piccolo borghese gli altri passeggeri, Bonvi si immedesimasse sul serio. Erano personaggi dotati di una carica esplosiva anticonformista troppo forte perché non li sentisse suoi.

Lo ammise lui stesso: «tutto quanto uno fa è sempre una proiezione di se stesso, positiva o negativa, dei suoi desideri irrealizzati, delle sue ansie, delle sue aspettative. Se leggi le mie storie t’accorgi in definitiva che sono sempre io il protagonista».

Lo sguardo sognante all’orizzonte, una sola meta per il suo tram: Cuba, L’Avana, la libertà

Lo sguardo sognante all’orizzonte, una sola meta per il suo tram: Cuba, L’Avana, la libertà

  • © eredi Bonvicini

In questi fumetti, però, soltanto chi conosceva di persona Bonvi poteva accorgersi della sovrapposizione tra autore e personaggio. Il gioco fu finalmente esplicitato in L’ora dello schizoide, pubblicato su Horror 11 nel 1970 e disegnato a quattro mani con l’amico Magnus: il nostro nottetempo è aggredito dai suoi personaggi e cerca aiuto telefonando al collega, che però è a sua volta assalito dai più pericolosi Kriminal e Satanik, che Magnus disegnava su testi di Max Bunker. In quattro pagine, i due fumettisti raccontavano così la maledizione di chi fa il loro lavoro, essere schiacciati dalle proprie creazioni, e lo facevano mostrandone le conseguenze sulla propria pelle.

Pochi anni dopo – siamo nel 1973, sulla rivista Psyco – il fumettista collaborò con Guccini per una serie a fumetti, Storie dello spazio profondo, con protagonisti un robot pedante e un avventuriero scalcinato e molto affascinante. «Ovviamente Bonvi si tenne la parte più bella e a me lasciò la parte del robot», ricordava il cantautore qualche anno fa. L’umano era un tipo tipicamente bonviano, anarchico e indipendente, fanfarone e simpatico, e la sua faccia gli si adattava alla perfezione.

Il robot e l’essere bonviano di Storie dello spazio profondo

Il robot e l’essere bonviano di Storie dello spazio profondo

  • © Francesco Guccini e eredi Bonvicini

Per Bonvi, però, l’Avventura aveva un nome e un cognome: quelli di Jack London. Provava un’ammirazione sconfinata per lo scrittore americano, e sicuramente il fatto che London avesse girato mezzo mondo, impegnandosi nei lavori più disparati – dal pescatore di ostriche clandestino allo strillone, dal cacciatore di foche al pugile, dal cercatore d’oro all’assicuratore –, che avesse partecipato alla corsa all’oro in Yukon e vissuto peripezie da romanzo, giocava un ruolo importante.

Così, quando nel giugno 1974 sul Corriere dei Ragazzi pubblicò l’episodio di Nick Carter intitolato La pista dei molti soli, non riuscì a resistere alla tentazione: in quella storia, il detective e i suoi aiutanti, spediti all’estremo nord del continente, incontravano un uomo biondo, affascinante, che li guidava nelle gelide terre canadesi. Era London, ovviamente, ma al tempo stesso era Bonvi, che incarnava la versione romantica che aveva del romanziere.

L’immedesimazione fu ancora più forte in quello che è uno dei capolavori assoluti del fumettista, L’uomo di Tsushima, vero e proprio romanzo a fumetti pubblicato nel 1976 da Sergio Bonelli nella collana Un uomo un’avventura. Le vicende della flotta russa sbaragliata da quella giapponese venivano raccontate da London, che a sua volta le aveva sapute dallo spirito di un ufficiale zarista tramite una medium brasiliana. Bonvi, dando il suo volto allo scrittore, poteva così sovrapporre la sua figura di autore a quella del narratore interno, un vero e proprio alter ego, infondendolo del suo spirito anarchico, della sua incapacità di sottostare alle gerarchie, della sua imprevedibilità. E soprattutto, della sua profondissima empatia nei confronti degli altri esseri umani, mandati al macello dallo zar solo per distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni della Russia.

Il London-Bonvi di L’uomo di Tsushima.

Il London-Bonvi di L’uomo di Tsushima.

  • © eredi Bonvicini

Fu questa profonda umanità a causare la morte del fumettista, il 10 dicembre 1995. Da qualche tempo si era trasferito a Castel del Rio, sull’appennino bolognese; era andato a raggiungere Magnus, che vi si era ritirato in eremitaggio per completare il suo Texone. L’amico era malato di cancro e non aveva fondi per curarsi, così Bonvi decise di vendere una serie di stampe autografate e, per pubblicizzarle, sarebbe dovuto intervenire alla trasmissione Roxy Bar di Red Ronnie. Nella periferia di Bologna, però, si perse. Si fermò per chiedere informazioni in una tabaccheria e, attraversando la strada, fu investito da un’auto. Si spense in ospedale poche ore dopo.

Il 13 dicembre ci fu il funerale, al cimitero della Certosa di Bologna.
Mentre la bara veniva calata nella fossa, De Maria accese un mangianastri. La voce di Edith Piaf risuonò nel cimitero, cantando: Non, je ne regrette rien. In quel momento, su Bologna iniziò a cadere una fittissima nevicata. Un finale da film, per quella storia incredibile che Bonvi aveva fatto della sua vita.

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Bonvi nel suo studio

Bonvi: a trent’anni dalla morte di un geniale irregolare del fumetto

Konsigli 10.12.2025, 17:45

  • © eredi Bonvicini
  • Sergio De Laurentiis

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