Letteratura

Le metamorfosi di Marco Steiner

L’inferno bianco del manicomio: viaggio a bordo della nave dei folli. Prima ed ultima meta: l’isola di San Servolo a Venezia

  • 31 maggio, 15:18
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Di: Lucrezia Greppi 

Un matrimonio. Risate felici, note festose e persone danzanti. Chissà se quell’allegro chiacchiericcio non abbia disturbato Niobe, la ninfa trasformata in pietra che dal cortile di San Servolo invocava assoluto silenzio, per poter ancora ascoltare le voci dei suoi quattordici figli, quelli uccisi da Artemide e Apollo, e dei loro discendenti, i pazzi reclusi nel manicomio veneziano. A pochi passi dalla sua statua, volteggiava una spensierata sposa, che poteva essere una delle tante donne qui traghettate, se solo il destino non avesse spezzato la loro gioia riducendole in frammenti. Schegge di vita, raccolte da Marco Steiner in Isole di ordinaria follia (2019) e La nave dei folli (2022), consultando l’archivio del Museo del Manicomio e spiegando le vele alla fantasia. Visitare la «casa de’ Pazzi» nel giorno in cui, a pochi passi, si celebrava un matrimonio, è stata un’esperienza surreale: passeggiare liberamente nel giardino che meno di cinquant’anni fa vedeva brancolare anime perdute è già di per sé tristemente suggestivo; ma solo dopo aver letto il dittico della follia firmato da Steiner, si può comprendere appieno lo spirito di chi guardava al di là di quel muro, che divideva la società “civile” dai “pazzi”, rei di un destino avverso o di una vita controvento.

«Inizio a muovere un dito, solo un dito, lo appoggio timidamente, / ho paura di sfiorare quel bianco. / è soltanto una nota. / Alzo la testa e la seguo, buca il soffitto, sgretola il tetto. / È tutto azzurro lassù. / Riesco a guardarmi intorno, c’è un altro mondo possibile, posso perfino vedere il mare, un’altra nota e tutto si sposta, le pareti si sgretolano. Alzo il dito, cerco il silenzio, ma la nota continua a vibrare, è affilata, penetra il muro e mi prende per mano, mi trascina fra le stelle / […] in un mondo nuovo, un’isola impossibile, le coste lontane della nave dei folli» (L’organista in Isole di ordinaria follia)

È tutto racchiuso qui: la poetica di Marco Steiner, che riecheggia l’ultimo romanzo di Jack London, e i leitmotiv dei due racconti: la disperazione, bianca come le mura del manicomio, gli abiti dei dottori e le camicie di forza; la speranza, blu come il cielo e il mare che attorniano l’isola; il silenzio, in cui si trincerano i folli e saggi prigionieri, perché è inutile parlare a chi non può e non vuol capire; e la nave, reale e immaginaria, su cui prima erano esiliati, e attraverso cui ora, appropriatisi del timone, salpano verso l’ignoto, alla ricerca di un’altra vita. L’organista di Isole di ordinaria follia è il perfetto erede di Darrell Standing, il protagonista de Il vagabondo delle stelle (1915): il prigioniero che riesce a immergersi in «uno stato di sogno», per liberarsi dalla camicia di forza in cui è costretto e “distruggere” le mura del carcere americano di San Quentin. Grazie ad una pratica ascetica che nel libro di London è chiamata «piccola morte», Standing evade e vive attraverso il corpo di altre persone, abbattendo le barriere del tempo e dello spazio. Metamorfosi liberatoria che Steiner adotta per dare una seconda chance ai condannati di San Servolo. 

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L’ingresso del manicomio di San Servolo nei primi del ‘900

Questa opportunità, che nel mondo reale fu negata a molti “alienati”, lo scrittore la offre in particolare a quattro personaggi di Isole di ordinaria follia, che ritroviamo a bordo de La nave dei folli: l’organista, chiamato Petar Nakić, dal nome del celebre organaro veneziano; Guglielmo, il fabbricatore di bussole; Lilith, la peccatrice costretta a prostituirsi per amore, che si trasformerà in una donna consapevolmente passionale; la professoressa di lettere, che prenderà il nome di Elisa e rivedrà finalmente l’amore che la aveva fatta impazzire. Il futuro «equipaggio fantasma» è accomunato dal fatto che tutti i suoi membri, quand’erano relegati sull’isola, osservavano quel muro che li divideva dal mare della libertà: Petar, grazie al suono delle note prodotte dall’organo di Pietro Nachini, può «persino vedere il mare»; Guglielmo, osserva la «striscia di mare» che ora è «dietro al muro» ma in cui prima navigava e vagava, con quelle bussole che lo facevano accedere a «un mondo diverso»; Lilith, che raggiunto il suo folle e amato Viktor, passa «intere giornate a guardare il muro»; la professoressa, che osserva, dalla sua «finestra bagnata» di lacrime, il «grigio lontano del mare». 

La ciurma di Indio, il protagonista de La nave dei folli, è in realtà ben più affollata: c’è anche Niobe, colei che riusciva a «vedere colori diversi nel mare profondo» e che non aveva mai visto (il capitano afferma che vivere coi pazzi è come «entrare nel tunnel di un caleidoscopio», «nei mondi dai colori che nessuno saprebbe immaginare»); il giovane psichiatra che prenderà il nome di Bruno, colui che già ci invitava a «mollare gli ormeggi e partire» e che allo shock insulinico e alle scosse elettriche preferisce la cura dell’ascolto e della parola; il settimo figlio, quell’Acqua in continua trasformazione, che assume anche le sembianze di un corvo (l’animale guida del veliero dei matti, «l’unico in grado di entrare nelle terre dei sogni, di sbirciare il futuro e capire le anime» scrive Steiner in Un mare troppo lontano); e la stessa Isola, quel «quaderno vergato d’inchiostro di spuma» che si può leggere solo se ci si perde in un «riflesso di luna» e si vagabonda in un «mondo di nuvole e stelle». 

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Fotografia di Marco D’Anna in Isole di ordinaria follia

«La camicia di forza mi avvolse le braccia e la schiena, mi ritrovai avvolto in un altro silenzio, il nuovo silenzio questa volta era bianco. Non c’era più il buio, non potevo più bere e nemmeno fumare, c’era solo quel maledettissimo bianco» (Indio in La nave dei folli)

Il viaggio di Indio, figlio di un marinaio che gli ha insegnato ad andare «oltre i confini delle inutili certezze dietro alle quali tanti presuntuosi si trincerano perché non sanno mollare gli ormeggi», ha inizio quando ha una visione – di un corvo e di una luna parlante – e soprattutto nel momento in cui trova il coraggio di scalfire la «pagina bianca» di un quaderno che titolerà La nave dei folli. Diario di bordo – Resoconto di un viaggio apparentemente impossibile fra liquide memorie e abissi di oceani infuocati. Il taccuino vuoto consegnatogli da un amico psichiatra; il canovaccio di una storia straordinaria che racchiude e raccoglie i frammenti di milleuno incompresi, che prima cercavano il buio, l’oblio e il silenzio, ed ora finalmente ritrovano la loro voce e la forza di scrivere un finale diverso per la loro storia. Il capitano e la sua ciurma riescono ad andare al di là di quell’«invalicabile muro di mattoni» solo quando incontrano qualcuno disposto a «condividere il vuoto». Allora, non risuoneranno più i tristi versi di Montale («me n’andrò zitto tra gli uomini che non si voltano»), ma la cupa saggezza di Dino Campana («solo il dolore è vero») e di Emil Cioran («non si è tristi dopo una confessione di tristezza»). Solo così riescono a vincere i «mostri vestiti di bianco», quelli che li vorrebbero zitti, spenti e dispersi, come “navi di cristallo” e “candele” che lentamente e inesorabilmente spariscono dalla loro vista; sono loro i veri mostri, quelli che non seppero andare oltre «a quelle mani rugose, alle unghie uncinate, alle bocche voraci, ai denti acuminati, agli occhi spiritati»; quelli che non compresero che i folli erano all’apparenza “mostruosi” «per restare vivi negli abissi dove nessun altro può vivere».

Lilith ed Elisa, con le loro «tuniche bianche» che «si appiattivano su corpi che ormai avevano perso ogni forma e rilievo», insieme a Indio, Guglielmo e Petar, partono infine per l’ultimo viaggio: non sono più anime perse; sono sì prosciugate dal dolore, ma coi loro artigli si aggrappano alla speranza di un’altra vita, diversa dall’abbandono. Quell’oblio, nel «mare della dimenticanza», non è più deciso da altri, ma sono loro a scegliere, liberamente, di viaggiare verso l’ignoto. E chissà se in questo incerto navigare, non abbiano fatto ritorno nella loro isola, trasformandosi in quella sposa leggiadra e felice, osservata da una finalmente serena Niobe. 

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Marco Steiner

Sinceramente 24.03.2014, 01:00

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