Tra Sette e Ottocento la lettera assume una centralità unica nella cultura europea, fino a diventare uno dei generi più rappresentativi di un’epoca definita non a caso civiltà della conversazione. Luogo di scambio intellettuale, strumento di formazione e spazio privilegiato per la costruzione della soggettività, la lettera è insieme documento e testo letterario, mezzo pratico di comunicazione e terreno di sperimentazione narrativa.
L’atto epistolare nasce da una condizione di distanza: il mittente scrive perché l’altro non è presente, ma proprio la scrittura consente di colmare questa assenza. La lettera possiede un potere paradossale: rende presente chi è lontano, fa risuonare la sua voce nel momento stesso della lettura. L’idea della “voce del testo”, cioè di un dialogo che il lettore instaura con la parola scritta, trova nella lettera una delle sue forme più evidenti. Francesco Petrarca, parlando dei libri come “amici segreti”, anticipa questa dimensione dialogica, che nel Settecento si amplifica grazie alla diffusione della corrispondenza e alla sua funzione sociale e intellettuale.
Lo scambio epistolare, rispetto al dialogo orale, è sfasato nel tempo e vulnerabile: ritardi, perdite, lacune, fraintendimenti ne scandiscono la storia. Alessandro Manzoni ne offre un esempio nei Promessi sposi, quando l’autore riflette sulla possibilità che un messaggio scritto venga travisato o non giunga a destinazione. Anche Ippolito Nievo, a metà Ottocento, osserva come due corrispondenti diano per scontato un contesto condiviso che un lettore esterno non coglierebbe, trasformando la lettera in una “conversazione tra sordi”. Questi riferimenti mostrano che la lettera è un mezzo fragile, esposto all’errore, ma proprio per questo intensamente umano: essa conserva tracce di esitazioni, omissioni, impliciti che appartengono alla vita reale.
La sua diffusione nel Settecento non riguarda solo la comunicazione privata: la lettera invade il terreno della finzione narrativa, influenzando lo sviluppo del romanzo moderno. Il romanzo epistolare, genere polifonico per eccellenza, offre una pluralità di voci che si rispondono, si contraddicono, si rispecchiano, costruendo un mondo narrativo composto di sguardi soggettivi. Parallelamente, molte lettere d’autore – come quelle di Giacomo Leopardi – rivelano progetti poetici, riflessioni teoriche, bisogni affettivi: uno spazio dove la scrittura è meno controllata e più immediata, ma nondimeno letteraria.
La lettera è anche strumento privilegiato di confronto con l’alterità. Nel secolo dei viaggi e dell’esperienza cosmopolita, essa diventa il luogo in cui il viaggiatore registra l’incontro con mondi nuovi. Alessandro Verri, scrivendo al fratello da Parigi, restituisce la vitalità degli ambienti illuministi e descrive le “tempeste razionali” dei salotti francesi; allo stesso tempo, la lettera diventa per lui un diario intellettuale, un modo per conservare l’impatto della novità e per costruire una rete di relazioni che prosegue oltre il viaggio. Non a caso, nella Encyclopédie, la voce “viaggio” è inserita sotto “educazione”: conoscere l’altro significa allargare il proprio orizzonte, superare i pregiudizi nazionali e nutrire un pensiero più consapevole.
Francesco Bacone, negli Essays, ricorda che il viaggiatore deve mantenere nel tempo i rapporti nati lungo la strada, trasformando le conoscenze occasionali in legami durevoli attraverso la corrispondenza. Da qui deriva l’idea della lettera come filo che unisce luoghi e persone lontane, tessendo una rete europea di scambi culturali.
Nella nostra contemporaneità, osserva Armando Petrucci, la lettera scritta a mano è destinata a scomparire, soppiantata dall’informatica. Ma proprio questa obsolescenza ci ricorda quanto il genere epistolare abbia rappresentato, per secoli, uno dei mezzi più efficaci per esprimere la voce individuale, costruire il dialogo e mantenere viva la relazione con l’altro.
Dossier: "Verità e bellezza dei carteggi letterari"
Un viaggio letterario alla riscoperta di alcuni grandi carteggi del Novecento
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