In questo libro si parla di Egizi, di Galileo, di cubismo, di società, di storia e di evoluzione umana. In questo libro, soprattutto, si parla di intelligenza artificiale: che, come spiega bene la sua autrice, è frutto di cambiamenti di antropologici, industriali, socioeconomici.
Si intitola Il futuro è già qui (Mondadori), l’autrice è Barbara Gallavotti, biologa, divulgatrice, conduttrice televisiva, autrice di diversi importanti saggi di biologia e medicina. Un libro che racconta l’intelligenza artificiale e, fin dall’inizio, mette in chiaro che questa evoluzione tecnologica non è spuntata dal nulla: «Per lo sviluppo di una tecnologia come l’IA – spiega Gallavotti – sono necessari diversi fattori: le capacità e le conoscenze da una parte, ma anche la convinzione e la volontà di poterla realizzare, dall’altra. Il desiderio di riprodurre qualcosa di simile a un essere vivente o di creare una macchina con cui dialogare lo abbiamo sempre avuto, fin dall’antichità. Pensiamo agli scienziati ellenistici e arabi, poi agli automi del ‘700 durante l’Illuminismo. Però alle capacità tecniche doveva unirsi anche la convinzione di poterlo fare, che non ci fossero blocchi morali a questa idea. Questo processo ha richiesto secoli. Non solo: abbiamo dovuto capire come funzionano gli organismi viventi, il cervello umano, che il pensiero deriva dal cervello, e infine sviluppare l’informatica. Così siamo arrivati all’intelligenza artificiale di oggi».
La Scienza di scegliere
Nero su bianco 13.12.2025, 17:05
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Maria Pia Belloni: Lei usa una frase interessante: «Tra il 1500 e il 1600 l’uomo ha smesso di aver paura di comprendere la natura».
Barbara Gallavotti: Sì, è la nascita del pensiero scientifico moderno, l’idea di capire veramente come funzionano la natura e i fenomeni naturali, senza preconcetti. Ad esempio, abbiamo capito che non esiste la generazione spontanea: per molto tempo si pensava che insetti e vermi nascessero spontaneamente dalla carne in putrefazione. Poi qualcuno ha fatto un esperimento semplice: ha messo un pezzo di carne in un barattolo coperto da una retina. La retina impediva agli insetti di deporre le uova e così la generazione spontanea non avveniva più. Non è che prima mancassero le retine per coprire i barattoli, mancava l’idea di osservare spassionatamente una cosa, per cercare di capirla. Questo approccio, che dobbiamo in buona parte a Galileo, ci ha portati fino ad oggi.
Se vogliamo proprio pensare all’intelligenza artificiale vera e propria, il punto di partenza potrebbe essere il 1950, quando Turing scrive un famosissimo articolo in cui definisce quali caratteristiche potrebbe avere, cosa dovrebbe fare una macchina per poter essere definita “intelligente”. Però a Turing ci si è arrivati.
E da lì in poi invece, quali sono state le tappe fondamentali nello sviluppo dell’intelligenza artificiale?
Un momento fondamentale è stato la conferenza del 1956 all’Università di Dartmouth, dove si decise di chiamare “intelligenza artificiale” ciò che si voleva sviluppare nelle macchine, un nome che subito ha creato equivoci e timori di concorrenza con l’intelligenza umana. Un’altra tappa importante fu nel 1958, quando Frank Rosenblatt del MIT immaginò il “perceptron”, un piccolo strumento di calcolo simile a una cellula cerebrale: lì sono state gettate le basi per i programmi che imparano tramite esempi, come l’IA di oggi. Solo che ai tempi la tecnologia non permetteva di mettere insieme tanti di questi “neuroni” artificiali e costruire qualcosa in grado di svolgere un compito complesso come può essere ad esempio riconoscere un volto umano: una cosa che il nostro cervello fa molto facilmente, e che per una macchina è complicatissimo. A quel punto, ci si arriva quando, negli anni Ottanta, vengono sviluppate le cosiddette reti neurali multistrato, vale a dire neuroni artificiali posti in architetture complesse che ricordano un po’ quelle del cervello umano. Infine, negli anni 2000 è arrivata la potenza di calcolo necessaria. Tutto ciò ci ha portato al 30 novembre 2022, quando è stata rilasciata la prima versione pubblica di ChatGPT-3.5, che ha reso l’IA visibile a tutti.
Quindi l’IA vera e propria è qualcosa degli ultimi tre anni, ma volendo si può farla risalire fino a settant’anni fa circa.
Sì, ma intendiamoci: non è che prima non esistesse. Il programma AlphaFold, che ha ricevuto il Nobel per la chimica nel 2024, rappresenta una rivoluzione nella comprensione di come funzionano le proteine e nel disegno di nuovi farmaci, era stato rilasciato in forma avanzata già nel 2018. E poi, per fare un altro esempio, tutti noi avevamo già nel cellulare dei programmi che utilizzavano l’intelligenza artificiale per mettere in ordine le immagini. Solo che queste capacità – che corrispondono a saper elaborare velocemente tantissimi dati – non ci inquietavano, perché sono diverse da quello che abbiamo noi. Chat GPT ci ha in qualche modo fatto fare un po’ un salto sulla sedia, perché fa qualcosa che pensavamo di fare saper fare solo noi umani: per esempio, dialogare fluidamente. E questo, in qualche modo, qualche crisi d’identità ce l’ha creata… anche se oggettivamente, se si guarda al funzionamento del programma che mette le parole una di seguito all’altra a seconda della probabilità che in quel contesto si trovino una di seguito all’altra, è ben diverso da come funzioniamo noi: quando dico a una persona “ti amo”, non glielo dico perché, in quel contesto, dopo ti, probabilisticamente viene amo. Glielo dico per motivi completamente diversi.

Quali sono i rischi e le opportunità dell’IA, oggi?
Oggi utilizziamo quella che viene chiamata “intelligenza artificiale ristretta”, cioè programmi specifici che non possono prescindere dal controllo umano. La grande preoccupazione è che si arrivi a programmi con capacità simili al cervello umano, che quindi possano prendere decisioni autonome: questa sarebbe la cosiddetta intelligenza artificiale generale, o super-intelligenza artificiale, che al momento – sia chiaro – non esiste. I programmi attuali possono essere usati bene o male: per esempio, per migliorare le prestazioni dei lavoratori, oppure per sostituirli. Un problema che rimane è che questi programmi sono sviluppati solo da poche aziende private…
Come possiamo regolamentare l’IA?
Molti, tra cui il premio Nobel italiano Giorgio Parisi, propongono di costruire strutture di ricerca pubblica sovranazionali, ispirate al CERN. Questo permetterebbe di fare ricerca pubblica su questi strumenti e condividere nella comunità scientifica il loro funzionamento e sviluppo. È fondamentale capire come un programma di IA arriva a una risposta, quali percorsi segue, a quali informazioni dà priorità. Finché la ricerca è così concentrata in poche mani private, è difficile ottenere queste informazioni.
Come l’IA può essere utile nella vita quotidiana?
Un esempio interessante è l’app per i trasporti pubblici di Zurigo. Quando esci di casa, fai partire il tuo biglietto e l’app ti segue, calcolando esattamente quanti mezzi pubblici hai preso, dove sei andato a piedi, se hai ripreso un autobus… Calcola se ti conviene fare un biglietto giornaliero o singoli biglietti. Sembra banale, ma è molto complesso, perché deve integrare moltissimi dati in tempo reale. A fine giornata, l’app calcola quanto devi pagare per l’utilizzo che hai fatto dei mezzi. Questo sistema funziona in tutta la Svizzera, anche sui treni, con l’app delle FFS.
Come possiamo partecipare a questa trasformazione tecnologica senza subirla passivamente?
Il futuro è già qui, nel senso che quello che facciamo e chiediamo oggi determina come sarà il nostro futuro, lo stiamo inventando adesso. Dobbiamo spingere al massimo la nostra intelligenza naturale: più arrivano tecnologie sofisticate, più è necessario tenere acceso il cervello. Un esempio interessante riguarda il gioco del go: un programma di IA ha battuto tre volte il campione mondiale, ma nella quarta partita ha vinto l’umano, perché ha capito dalla macchina delle strategie di gioco a cui non aveva mai pensato. Questo è il modo giusto di usare l’IA: per farci venire idee nuove, per vedere cose che da soli non avremmo visto. Ma su quelle idee dobbiamo poi costruire il nostro pensiero, tenendo sempre il cervello in azione.
Cosa legge, oltre ai saggi scientifici?
Leggo sempre molto volentieri romanzi: ho studiato al liceo classico, in Italia, e la letteratura è sempre stata il mio grande amore. Peraltro, con l’intelligenza artificiale la formazione umanistica diventa sempre più importante, perché c’è bisogno di persone che sappiano definire davvero qual è il ruolo dell’essere umano.
Per chiudere, ci può consigliare un libro?
Una delle ultime cose che ho letto, anche per esercitare il mio tedesco, è La visita della vecchia signora di Dürrenmatt. Non è narrativa, è teatro, però è un’opera meravigliosa.
Barbara Gallavotti (1./5)
In altre parole 13.01.2025, 08:18
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