Ci sono libri lunghi che si leggono d’un fiato e a volte d’un fiato si dimenticano. Come certe opere di Murakami, che si potrebbero leggere all’infinito, domandandosi infine se hanno lasciato un segno o solo il desiderio che procedano in eterno, senza lasciarne alcuno. Ce ne sono altre, come Gli increati di Antonio Moresco, che si è tentati di abbandonare ma si continua a leggere per quel certo grado di vertigine, di astratto spaesamento, che la loro ossessiva ridondanza tematica e stilistica produce dentro il nostro animo. E ce ne sono alcune, come la Recherche di Proust o L’uomo senza qualità di Musil, alle quali invece si vorrebbe aderire senza mai uscirne, poiché il loro mondo è così comodamente e appassionatamente abitabile che sembra inverosimile, leggendole, ne esista un altro fuori da quelle pagine.
Poi ci sono le opere lunghe, i lunghi romanzi, in cui la perfezione stilistica e narrativa è tale, la ricchezza di dettagli e personaggi talmente avvolgente e ipnotica, che si rallenta a bella posta la lettura per tornare a gustare ogni singolo passaggio. Opere che a volte, malgrado la mole, si rileggono addirittura da capo: come se nella loro stratificazione non cessassero di riservare sorprese e novità. Sono quelli che potrebbero venire chiamati i capolavori dei capolavori, cioè quelle rarissime opere in cui quantità e qualità trovano un miracoloso sodalizio, e dentro le cui viscere non si smette mai di scoprire nuovi universi, nuove suggestioni, nuove dilatazioni del pensiero e del sentimento.
Fra queste perle della rarità una in particolare merita probabilmente menzione: il romanzo di quasi mille pagine, fitte fitte, dense dalla prima all’ultima riga, Grande seno, fianchi larghi dello scrittore cinese Mo Yan, nato il 17 febbraio 1955, Premio Nobel per la Letteratura nel 2012.
Belli e dannati
Geronimo 07.11.2012, 01:00
Un libro di cui non mi pare – come dello stesso autore – si sia parlato quanto di romanzieri abissalmente minori che pure sono assurti – per le inspiegabili ragioni della confusa epoca in cui viviamo – agli onori della cronoca. Ma che verosimilmente, se mai si possa tracciare un Olimpo delle grandi opere della contemporaneità, svetta ai primissimi posti di ogni possibile classifica.
Classico nell’approccio, originalissimo nella raffigurazione delle scene, dettagliatissimo nella presentazione degli stati d’animo e delle più intime passioni dei personaggi, Grande seno, fianchi larghi è in pari tempo una ricostruzione della Storia della Cina novecentesca e un colossale omaggio alla madre dello scrittore. Vita rurale e primitiva, guerre contro i giapponesi, morti e nuovi nati, generazioni che si succedono l’una all’altra alla ricerca di una condizione di sopravvivenza dagli stenti e dalle decimazioni prodotte dalle guerre, la fanno da padroni dalla prima all’ultima pagina. E nulla viene trascurato: né l’importanza di quel mondo macroscopico che è il mondo della politica e delle sue spietate regole di dominio né l’infinita ricchezza di quel mondo microscopico che è l’essenza delle nostre vite.
Così ecco che tutto si riconnette, dal grande al piccolo, dal pubblico al privato, dall’epico all’intimistico, in un colossale affresco in cui la vita umana sembra vibrare in tutte le sue corde come un prodigioso strumento musicale ancora da inventare. Un’arpa? Certamente, se persino i petali dei fiori effondono le proprie risonanze in questo romanzo. Una grancassa? Senza dubbio, visto come rimbombano i grandi scontri epici fra battaglioni. Una chitarra elettrica? Fuor di dubbio, considerate le vibrazioni che il dolore, il sangue, la morte effondono lungo le mille pagine del libro. Un violino? Indubbiamente, se all’apparire dei dialoghi il cuore dei personaggi sibila tutte le sue variazioni sentimentali. E incredibilmente ciascuno di questi strumenti converge nell’unico strumento che è la prosa di questo gigante della narrativa.
Un gigante che avevamo potuto conoscere già con il suo libro più noto, Sorgo rosso, ma che Grande seno, fianchi larghi, a detta di chi vi scrive, proietta ad altezze probabilmente insuperate da gran parte dei migliori autori della contemporaneità. Peccato solo – diciamolo sommessamente – che questi miracoli letterari, malgrado il Premio Nobel, invece di svettare in classifica per mesi e anni, svettino solo nei cuori dei pochi ardimentosi a cui la prospettiva di leggere mille pagine appare più appassionante che inquietante.