Il fenomeno del cosplay, nato nelle comunità di appassionati di anime e manga, sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nella politica contemporanea: è questa la tesi al centro di Cosplayers (Nero Editions) di Mattia Salvia, fondatore della rivista Iconografie. Si travestono i politici (il presidente argentino Milei nei panni di supereroe, Xi Jinping che rifà Mao), si travestono i loro sostenitori.
«Siamo in una fase in cui c’è un grande desiderio di cambiamento, rispetto a come sono state gestite le cose negli ultimi trenta, quarant’anni. Ma allo stesso tempo è come se ci fosse un’incapacità di immaginare come potrebbe essere questa alternativa», spiega Salvia. Questo paradosso genera quello che l’autore definisce un «travestimento» della politica, che si manifesta nello «sfruttamento di memorie del passato» o nel «rifarsi a personaggi storici per mascherare l’incapacità del presente di soddisfare le esigenze attuali».

In che senso, dunque, cosplayers? «Il cosplay nasce inizialmente come “costume play”, cioè gioco in costume», chiarisce Salvia. «I cosplayers sono coloro che si travestono da personaggi di finzione, e agiscono come se fossero quei personaggi». Una pratica tipica delle convention di fantascienza o delle fiere del fumetto, che negli ultimi anni si è sempre più spostata in ambito politico.
«Nell’ultimo decennio vediamo il cosplay associato a contesti politici, con persone che si travestono ad esempio da Luigi Mangione, l’assassino del CEO di United Healthcare. O, naturalmente, da Donald Trump: uno dei primi casi di larga adozione del cosplay politico».
“Cosplayers”
Konsigli 27.11.2025, 17:45
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Ma come si spiega questo passaggio, da pratica di nicchia a linguaggio politico? Secondo Salvia, la chiave sta nella «dinamica del fandom, dell’attaccamento parasociale nei confronti dei propri idoli». Un meccanismo che «nasce nei contesti legati a personaggi di finzione o icone pop, in cui le persone si sentono partecipi di una comunità sulla base del loro attaccamento a un personaggio, come può essere ad esempio Taylor Swift ».
Questa dinamica, prosegue l’autore, «è diventata l’essenza della politica contemporanea». Se in passato la politica riguardava «masse organizzate in partiti e sindacati», con il periodo neoliberale «si privatizza sempre di più, diventa una sorta di bene di consumo, una scelta da consumatore». Di conseguenza, finisce per replicare «le stesse dinamiche di parasocialità rispetto ad altri beni di consumo culturale, come la musica di Taylor Swift».

Comizio MAGA, Florida, 2020
Il rischio, avverte Salvia, è che questa identificazione con un personaggio avvenga «a scapito del ragionamento», annullando la riflessione sui messaggi politici in favore di una mera rappresentazione. Ma quali conseguenze può avere questo fenomeno per la nostra società? «L’esistenza del cosplay politico, il fatto che sia sempre più diffuso, è la testimonianza del fatto che esiste una necessità di cambiamento», afferma l’autore. «Se non ci fossero delle spinte politiche a cambiare l’esistente, non ci sarebbe nemmeno il bisogno di mascherarle con questi stratagemmi».
Allo stesso tempo, però, questi travestimenti «testimoniano il fatto che esiste fondamentalmente un’impossibilità di trasformare queste spinte in un cambiamento politico vero». Citando lo storico del pensiero politico belga Anton Jäger, Salvia spiega che «la nostra società vive un momento di ripoliticizzazione dopo gli anni della cosiddetta fine della storia, che erano completamente depoliticizzati».
Il problema è che «questa politicizzazione avviene in una società che è desocializzata, cioè gli individui sono individui isolati che pensano ancora come consumatori. Semplicemente ora tornano ad avere delle istanze politiche, ma non riescono a esprimerle in termini collettivi, perché mancano le strutture per farlo».
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