La dogana, Flavio Sala, ce l’ha un po’ nel destino, perlomeno quello artistico. Questa volta però a varcare il confine non è lui nei panni del Roberto Bussenghi dei Frontaliers, ma i tanti anglicismi che pervadono la lingua italiana. Le parole inglesi prese a prestito nel nostro quotidiano scandiscono il testo del suo nuovo singolo Sdoganation, in rotazione su Rete Tre e disponibile anche su Spotify e YouTube.
Un brano fresco, con un ritornello facile da memorizzare, come è giusto che sia un aspirante tormentone estivo, in cui influencer, call, lifting, dissing e il resto del vocabolario d’importazione perseguitano il protagonista. Ci siamo fatti due chiacchiere con il suo autore e interprete. Tutto è nato con la produzione del disco Sdoganation [album e singolo al momento sono due produzioni separate]:
«Alla fine di questo album il produttore, Filadelfo Castro, e il produttore esecutivo Micaele Birra mi hanno detto: “Siccome canti anche bene, non vogliamo fare un brano originale?” Ma facciamolo, santo cielo, perché no? Così chiamano Stefano Paviani, paroliere e autore che ha lavorato anche per Laura Pausini, Marco Carta e Ivana Spagna».
Come è stato lavorare con lui?
«Ci siamo trovati subito su argomenti come Fantozzi, i comici, Brian di Nazareth. Lui adora le freddure, le battute, le cose che dicevo lo facevano ridere. Siamo partiti da un tormentone estivo, quindi un ritmo facile, poi è uscita questa cosa degli anglicismi e dello scrivere una canzone in cui li tiriamo in ballo tutti. Tutto è iniziato dalla battuta che gli ho fatto, ovvero che l’influencer si cura con le supposte. A lui è piaciuta e da lì siamo partiti».

Flavio Sala presenta “Sdoganation” (Serotonina, Rete Tre)
RSI Cultura 30.05.2025, 09:45
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Con la tua compagnia teatrale svolgi anche un’opera di conservazione del dialetto ticinese. Con questa canzone vuoi lanciare un messaggio di tutela della lingua italiana o la stiamo mettendo giù troppo dura?
«È esattamente questo, ma in chiave leggera. È una satira su questo continuo mettere l’inglese dappertutto, quando abbiamo una lingua che funziona benissimo e che andrebbe preservata».
Parliamo di Sdoganation, ma dell’album. Un disco di riletture o, per usare un anglicismo, di cover: qual è il senso dell’operazione?
«Sdoganation è partito da questa idea, con i produttori, di fare la spola fra Svizzera italiana e Italia, soprattutto la Lombardia. Ci sono canzoni popolari ticinesi come La canzone dell’aviatore, ripensata in maniera punk, che sembra una cosa anni ’80 di quelle che piacciono a me. C’è Ci vuole orecchio di Jannacci, mentre con Enzo Iacchetti abbiamo rifatto E la vita, la vita, che è l’unica in cui ho cantato con la voce di Bussenghi perché bisognava darle una connotazione più forte. Con i Vad Vuc abbiamo fatto Jingle Balls in dialetto. Poi c’è Yanez: avrei dovuto cantarla con Davide Van De Sfroos, che però era troppo impegnato in quel periodo, così è uscita solo con la mia voce. Ma è un brano di cui sono molto soddisfatto. In generale non c’è nessuna canzone fotocopia dell’originale».
Porterai il disco dal vivo?
«Ci sarebbe l’intenzione di creare una band e di portare in giro questi brani, ma bisogna vedere se riusciremo a farlo. Le giornate sono solo di 24 ore e si sono accavallate un sacco di cose tutte bellissime, negli ultimi mesi, ma che una sopra l’altra possono creare molto stress. Mi piacerebbe però dare spazio a questa idea, anche perché ci abbiamo messo della passione, del tempo. Sono cose che vengono fatte molto seriamente, anche se sono fatte per ridere».