Afrobeats

Il suono della Nigeria ridisegna il mainstream

Storia, impegno sociale e cultura pop. Dai tamburi yoruba a Spotify, la traiettoria di un genere che ha trasformato l’Africa in epicentro culturale

  • Oggi, 13:02
artisti afrobeats nominati ai Grammy 2024
Di:  Emanuela Musto 

C’è un ritmo che attraversa il continente africano e che, negli ultimi decenni, ha conquistato il mondo intero. È l’Afrobeat, nato dall’incontro tra i tamburi tradizionali yoruba, il jazz e il funk e reso celebre da Fela Kuti, musicista e attivista che ha trasformato la musica in un’arma politica. Oggi, quell’eredità si è evoluta nell’Afrobeats - con la “s” finale - un genere che ha messo la Nigeria sulla mappa della cultura globale, diventando colonna sonora di club, festival e classifiche internazionali.

La voce della protesta

Negli anni ’70, Fela Kuti non era soltanto un musicista: era un profeta armato di sax e percussioni. Le sue canzoni, lunghe e ipnotiche, erano manifesti contro la corruzione e le dittature militari. L’Afrobeat era ritmo e trance, ma soprattutto coscienza politica. In un continente segnato da contraddizioni e lotte per la libertà, la musica diventava linguaggio universale di resistenza.

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Fela Kuti

Africa 70 28.06.2025, 11:35

  • Keystone
  • Sergio De Laurentiis e Riccardo Bertoncelli

L’Afrobeat di Fela Kuti e dei suoi contemporanei non si limitava a intrattenere: era un giornale cantato, una cronaca musicale delle ingiustizie sociali. Nei testi ricorrevano temi come la corruzione dei governi, la brutalità della polizia, la disuguaglianza economica, la necessità di emancipazione del popolo africano.

Brani come Zombie denunciavano l’ottusità dei militari, mentre Water No Get Enemy celebrava la resilienza e la forza vitale della comunità. L’impegno sociale era parte integrante della musica: ballare significava anche prendere posizione, e il ritmo diventava un modo per resistere e per immaginare un futuro diverso.

Afrobeats: la metamorfosi pop

Tra i protagonisti di questa rivoluzione c’è Burna Boy. Con il suo album Twice as Tall, premiato ai Grammy, ha dimostrato che l’Afrobeats non è più un fenomeno locale, ma un linguaggio universale. Burna Boy ha collaborato con artisti come Ed Sheeran e Stormzy, portando la sua voce dalle strade di Lagos ai palchi di Glastonbury e persino alla finale di Champions League a Istanbul. La sua musica è un ponte tra Africa e mondo, capace di fondere radici e modernità.

E poi c’è Rema, il volto più giovane e digitale. La sua Calm Down, in collaborazione con Selena Gomez, è diventata la canzone Afrobeats più ascoltata di sempre negli Stati Uniti. Rema incarna una generazione che vive tra Lagos e Los Angeles, tra TikTok e Spotify, e che ha fatto della musica un linguaggio globale. Con lui non si parla più soltanto di genere musicale, ma di un fenomeno culturale che plasma moda, danza e linguaggi giovanili.

Accanto ai grandi nomi maschili, come non citare Tiwa Savage (considerata la regina dell’Afrobeats), Yemi Alade e Tems - tra le figure più innovative della nuova generazione, vincitrice di un Grammy e protagonista di collaborazioni con Drake e Beyoncé. Artiste che hanno contribuito a portare il genere sulla scena internazionale, dimostrando che la nuova onda nigeriana è plurale e femminile quanto maschile.

La sua diffusione capillare ha anche dato alla diaspora africana una voce nuova e potente, capace di attraversare oceani e di radicarsi nelle metropoli europee e americane. Nei club di Londra e nei festival di New York, il ritmo nato a Lagos diventa collante identitario: un linguaggio comune che permette alle comunità afrodiscendenti di riconoscersi e di affermarsi. Non è solo musica, ma un atto di presenza culturale che ribalta stereotipi e restituisce orgoglio. L’Afrobeats ha trasformato la nostalgia della migrazione in energia condivisa, creando spazi di appartenenza dove la diaspora non è più periferia, ma centro pulsante della scena globale.

Ma il suo successo è legato anche (e soprattutto, direbbero i maligni) alle collaborazioni strategiche con star mondiali. Burna Boy ha lavorato con Beyoncé nel progetto The Lion King: The Gift. Davido ha portato la sua voce accanto a quella di artisti latini e americani Chris Brown e Nicki Minaj. Wizkid ha firmato con Drake la hit One Dance, che ha dominato le classifiche globali. Questi featuring non sono semplici operazioni commerciali: sono il segno che la musica africana - nigeriana in particolare - è ormai parte integrante del mainstream globale.

Certo, nella sua evoluzione non non sono mancate le critiche: se quella di Fela Kuti era musica di protesta e denuncia sociale, l’Afrobeats contemporaneo ha spostato l’attenzione su temi più leggeri come amore, festa e successo. Questo cambiamento ha acceso un dibattito. C’è chi rimpiange la dimensione militante e chi invece vede nell’Afrobeats la forza di rendere l’Africa protagonista della cultura pop globale, rafforzando l’identità afrodiscendente in Europa e negli Stati Uniti. Non è solo suono: è estetica, è moda, è linguaggio, è cultura. I videoclip mostrano Lagos come metropoli pulsante, le coreografie diventano virali sui social, gli abiti degli artisti influenzano passerelle internazionali.

Oggi, la Nigeria non è più periferia culturale, ma epicentro di un movimento che ridefinisce il concetto stesso di pop internazionale. E se il futuro della musica mondiale avrà un certo ritmo, è probabile che sarà scandito dal battito nigeriano.

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