Note d’autore

Andrea Laszlo De Simone, l’alieno della musica italiana

Esce “Una lunghissima ombra”, il terzo album del cantautore torinese, artista fuori da qualunque schema o circuito che sia

  • 17 ottobre, 17:01
  • 17 ottobre, 17:54
Andrea Laszlo De Simone
  • IMAGO / ZUMA Press Wire
Di: Patrizio Ruviglioni 

Un alieno orbita intorno alla musica italiana. E ora, ha deciso di tornare tra noi. È Andrea Laszlo De Simone, classe 1986 da Torino, cantautore che - proprio come un extraterrestre - non appena entra in contatto con il mondo degli umani, che in questo caso è l’industria musica e, più in generale, il modo in cui si fruisce e si vive la musica in Italia, crea cortocircuiti. Per forma e sostanza, ha infatti poco a che spartire con i colleghi, a cominciare dai tempi con cui si palesa: Una lunghissima ombra, il nuovo album appena pubblicato, è solo il terzo in 13 anni di carriera, ed esce a otto dal precedente e acclamato Uomo donna (2017) con in mezzo solo Immensità (2020), una sorta di EP con una suite in quattro atti. Subito dopo, aveva detto di fermarsi a tempo indeterminato dai tour, per dedicarsi ai figli piccoli e alle colonne sonore, lavoro che ama e gli è valso la soddisfazione di firmare quella del film francese Le Règne Animal di Thomas Cailley (2023), con cui ha vinto il prestigioso Premio César.

21:07

Intervista ad Andrea Laszlo De Simone (Montmartre, Rete Due)

RSI Cultura 17.10.2025, 16:30

  • IMAGO / ZUMA Press Wire
  • Barbara Tartari

In mezzo, pur restando lontano dai palchi, non ha smesso di pubblicare singoli in proprio e, in un certo senso, di seminare altri cortocircuiti. Con un approccio accorato all’arte e al tempo stesso naïf, è sostanzialmente un selvaggio per gli standard italiani: la promozione è ridotta al minimo, non combatte crociate contro la canzone mordi & fuggi a cui pure, nei fatti, si contrappone, semmai è schivo, antidivo, continua a non eseguire concerti e, soprattutto, ha scatenato un culto enorme e trasversale nei suoi confronti. Al contrario di quanto si possa pensare a primo impatto, registra numeri di buon livello, contando che è pur sempre un artista indipendente (esce con 42 Records) e che non scende a compromessi. Addirittura, ha sviluppato un seguito in tutta Europa, Francia in primis, capofila di una piccola schiera di cantautori che si sta imponendo nel mercato internazionale e che, oltre a lui, include Iosonouncane, Daniela Pes e Giorgio Poi. Eccellenza italiana.

La sua musica risente di questo approccio primitivo e sincero al mestiere. Non ha elementi troppo radicali o sperimentali, anzi, ma è più che altro libera nella resa: è un pop, in sostanza, d’autore, che mischia le grandi composizioni orchestrali, il progressive, la psichedelia e le derive più audaci del Battisti post-Mogol con testi ermetici, onirici, ma comunque intimi. Più che una via alternativa al pop stesso, dunque, ne è una versione “autodidatta”, pura, senza etichette ma non per questo semplicistica. Si può cantare - e infatti dal vivo, finché si è esibito, ci si scatenava - ma la sensazione è sempre di trovarsi di fronte a qualcosa di felicemente diverso dal solito, sgravato da pressione e aspettative. Barocco certo, non come orpello ma come necessità, antidoto ai tempi. Lo era ai tempi di Uomo donna, quando pure l’indie a cui era ascritto era in un periodo di fioritura creativa; lo è a maggior ragione oggi che quella scena è stata lanciata da Sanremo e dai grandi circuiti, che ne hanno amplificato il pubblico ma ridotto la portata innovativa, almeno in parte.

Ecco, De Simone no. È rimasto in orbita semmai, come dice proprio Una lunghissima ombra. Qui, l’idea di fondo è raccontare i pensieri intrusivi che l’attraversano e riguardano la sfera privata - dai figli all’ansia di diventare adulti, ovviamente la morte - come il mondo circostante, tirato in ballo in Colpevole, tra i momenti clou insieme alle ballate Un momento migliore, Quando e la conclusiva Non è reale. Sul piatto, in tutto, 17 canzoni (cinque strumentali, tra cui quattro interludi) a tratti impetuose e a tratti minimale, per un lavoro lungo e denso, che chiede tempo per essere decifrato a fondo e per di più integrato da un film sonorizzato proprio dai pezzi in questione, in rigorosa ordine di tracklist. Lì, scorrono immagini di piccoli quadretti meditativi tra paesaggi rurali e metropolitani, ma anche scene di vita quotidiana. Ne viene fuori un progetto “audiovisivo”, ha spiegato, ambizioso, in cui «ho scelto di rappresentare un “punto di luce” attraverso delle inquadrature fisse della realtà, un “oggetto” attraverso i testi delle canzoni e “le ombre” attraverso la musica».

Potenzialmente, può arrivare a chiunque. In pratica, i fattori che lo separano da un grande successo di pubblico - che al suo autore, s’intende, comunque non interessa - sono per lo più legati all’epoca in cui esce. Se è vero che Una lunghissima ombra non cavalca la nostalgia, infatti, è lecito che un po’ ne faccia venire: il risultato, va detto, è assolutamente contemporaneo ma l’approccio è senza tempo, figlio della lentezza, della voglia di assumersi rischi per realizzare un’opera che, davvero, resti. Per spirito, somiglia più ai grandi dischi progressive degli anni Settanta che al cantautorato di oggi, e per questo lascia un po’ d’amarezza: cinquant’anni fa, sarebbe stato uno standard, oggi è appunto il lavoro di un alieno. Amato da critica e pubblico, certo, ma pur sempre un alieno.

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