Patrick Botticchio è regista e fotografo, oltre che animatore della scena musicale svizzero italiana: ha fatto parte di diverse band e dato vita alla Primitive Records, etichetta discografica specializzata in vinili. La label non è l’unica cosa “primitiva” fondata dal cineasta ticinese: c’è anche la Primitive Films, casa di produzione indipendente. Il suo grande amore è la documentaristica, passione cresciuta negli anni di studio a Barcellona. Ora ha un progetto da portare a termine: il documentario One Man Band & The Monkey, incentrato su quei musicisti che intrattengono il pubblico suonando tutto da sé. Per ultimarlo, ha lanciato un crowdfunding, una raccolta di fondi in rete. Ne ha parlato a Tra le righe.
Un interesse sbocciato proprio in terra catalana: «Ero un amante della musica, suonavo anche in qualche band, e naturalmente ho subito cominciato a frequentare amici amanti sia di cinema che di musica. Di giorno eravamo seduti ai banchi di scuola con le cineprese da 10 mm in mano, la sera andavamo nei vari locali a sentir musica». Durante queste “maratone”, Botticchio e i suoi compagni di scorribande si sono innamorati delle one-man band, «quelle specie di giullari che oltre a suonare più di uno strumento contemporaneamente, spesso creano uno show». Dei menestrelli, che dal blues degli anni ‘20 e ‘30 sono migrati verso il rock’n’roll e oggi popolano la scena punk rock. Esempi se ne trovano anche in Svizzera, come Urban Junior.
15 anni di lavoro e 80 ore di girato fra concerti e interviste, realizzate nella nostra regione come all’estero. Ora è tempo di quagliare. Strada facendo, Botticchio e sodali hanno trovato sempre più punti di contatto con questi uomini-orchestra: «Ci sentiamo molto accomunati a loro perché c’è dietro una ricerca, il non accontentarsi di prendere una chitarra, un’armonica a bocca e cantare e basta. C’è dietro anche una sorta di emancipazione musicale o artistica: “Cerco di fare tutto da solo, ma ci tengo a farlo bene” [...] Ci accomuna questa voglia di libertà creativa, che è anche un business, perché quando passi dai 20 ai 40 anni i progetti diventano più seri a livello economico, magari c’è una famiglia dietro. Quindi c’è sacrificio, a volte c’è anche solitudine, però il tutto spinto da una gran voglia di libertà».