«Quando le persone ci vedono dal vivo io sento uno smuoversi, un sobbollire, che non riesco a leggere invece su dei dati di Spotify. Credo che sì, l’arte in generale sia un gesto di denuncia, di critica, di rivoluzione. Dipende dalla spontaneità che sta dietro a questo gesto. Ci sono vari tipi di scelte: la nostra è quella di affidarci a quello che sentiamo di dover fare come necessità creativa e artistica, non a quello che la gente ha bisogno di sentire». (Leo Pusterla, Terry Blue)
È la quarta volta che Terry Blue passa da Confederation Music e, di nuovo, la storia è diversa, come se il cambiamento (oltre alla missione e alla vocazione artistica) fosse il carburante di questo sodalizio pieno di novità e prospettiva.

L’ultimo album di Terry Blue è Lakewoods (Another Music Records/Safe Port Production), un disco sperimentale, magnificamente strano e lontano dal folk più primitivo del precedente Chronicles of a Decline. Elettronica più prominente, utilizzo dell’effetto reverse e una voce, quella di Leo Pusterla, più nascosta nel mix e usata anche come strumento musicale: il nuovo corso stilistico di Terry Blue, oltre ad essere determinato dal contributo sempre più importante di Eleonora Gioveni, è favorito anche dalle opportunità offerte dallo studio di registrazione casalingo di Safe Port Production come, naturalmente, da una sempre crescente consapevolezza di ciò che si sta facendo di come lo si fa. «Siamo diventati diverse persone un’altra volta» racconta Pusterla, «La formazione dei Terry Blue è variata, è tornata a essere una sorta di collettivo. Su Lakewoods abbiamo incluso nel processo di composizione e arrangiamento diversi musicisti: Christian Gilardi al flauto, Matteo Mazza alla batteria, Zeno Gabaglio col suo violoncello e Andrea Manzoni al pianoforte. L’anima siamo restati io ed Eleonora, però per le occasioni più importanti non vogliamo più fare a meno di questi compagni di viaggio perché sono incredibili e hanno davvero rivoluzionato il sound di Terry Blue».
Lakewoods è un album meno autoreferenziale dei precedenti, forse l’opera più politica realizzata finora. Lo sguardo di Terry Blue è rivolto più verso l’esterno che l’interno, verso le contraddizioni del mondo che ci circonda.

In questo disco volutamente oscuro e stridente (come i tempi in cui viviamo) i Lakewoods, i boschi di lago che abbandoniamo in gioventù e verso i quali poi torniamo, ci accomunano.
