Anniversari in musica

Scott Weiland: impostore, incompreso, indigesto

10 anni senza il cantante di Stone Temple Pilots e Velvet Revolver. Icona rock anni ‘90, la sua sincerità artistica fu messa in dubbio di continuo

  • 32 minuti fa
Scott Weiland
  • Imago / Capital Pictures
Di: Andrea Rigazzi 

Uno che «quando era fatto era simpatico, ma da sobrio sembrava portare il peso del mondo». Un «buffone» e «poseur». Uno costruito, insomma. Così Mark Lanegan, semidivinità del rock alternativo, descrive Scott Weiland nella sua biografia, Sing Backwards and Weep. Basterebbero queste valutazioni per chiuderla qui e andare tutti a casa, ma no, noi ci incaponiamo e vogliamo andare oltre le etichette, ancorché appiccicate da autorevoli fonti.

A distanza di 30 e più anni dal debutto ufficiale con gli Stone Temple Pilots (Core, 1992), la storia di Scott Weiland appare come una polemicuzza (ché parliamo pur sempre di roccarolla) che ha continuato ad alimentarsi. Perché sì, è vero, la band di San Diego salì sulla carrozza del grunge nel momento dell’apoteosi: loro, che quando ancora si chiamavano Mighty Joe Young facevano funk-rock, profittarono della congiuntura ma lo fecero con singoli forti e dotati di una loro personalità.
Il loro successo non fu digerito da tutti: all’epoca in tanti, fra stampa e colleghi, li bollarono come degli intrusi, dei vili copioni. Come Billy Corgan degli Smashing Pumpkins, che poi rivedrà il suo giudizio fino a salutare Weiland come «una delle voci della nostra generazione». Altri tempi, in cui la purezza artistica era virtù da sbandierare, indagare per poi magari sconfessare.

Se ascoltati senza i tappi del pregiudizio nelle orecchie, i dischi degli STP sono sì una potente mistura di melodia e distorsioni in linea con le mode dell’epoca, ma si capisce che i riferimenti stavano anche altrove. Non per niente Robert DeLeo, il bassista, cita funk, jazz e soul fra gli ascolti che l’hanno formato e indica in James Jamerson della Motown il suo modello.

Per non parlare dello stile canoro di Weiland, tacciato di essere un volgare imitatore di Eddie Vedder dei Pearl Jam. Logico che, trattandosi del cantante, del frontman, a lui toccassero onori e oneri del rappresentare la squadra. Ma mentre EdVed aveva radici nel folk e nel punk, le corde vocali di Weiland recapitavano un rauco impasto di rock ’60-’70 e glam di David Bowie. Il resto era spirito dei tempi.

Quella di Weiland era una voce versatile, tant’è che in carriera si è misurato con generi lontani da quello di provenienza. In 12 Bar Blues, prova solista del 1998, è a suo agio tra atmosfere pop-jazz, in un album che si avvale dei servigi al piano di un giovane Brad Mehldau, mentre in “Happy” in Galoshes (2008) c’è la mano del produttore elettronico Paul Oakenfold nella rilettura di Fame del Duca Bianco.

Di quella nidiata degli anni ’90, forse, Weiland è stato quello più a suo agio nei panni della rockstar, con tutti gli eccessi, le esasperazioni e le maschere del caso. Presenza scenica invidiabile, attento allo stile (avviò pure una linea di abbigliamento maschile che portava il suo nome), le sue dipendenze ne hanno compromesso seriamente carriera e rapporti nelle band. Dentro e fuori un paio di volte dai Pilots (con cui vinse un Grammy), l’esperienza con i Velvet Revolver (un Grammy anche con loro) chiusa dopo pochi anni, sempre a causa della sua instabilità. Nei Velvet Revolver suonavano Duff McKagan e Slash, due che in carriera hanno avuto a che fare con un certo Axl Rose, per dire.

L’ultimo viaggio fu con gli Wildabouts, band con cui girava in tour per pagarsi le bollette: i divorzi e gli stravizi lo avevano mandato in malora. Nel 2015 il rocker versava in una fase di devastazione personale e artistica. Entrambi i genitori gli confidarono di essere gravemente malati, gli era impedito di vedere i figli per via dei suoi problemi, che lo rendevano un padre inaffidabile, e la voce era un flebile ricordo del periodo d’oro.
Fino all’epilogo, consumatosi per overdose nel sonno in un parcheggio del Minnesota, una notte dei primi di dicembre. Un animale da palcoscenico come lui moriva solo, nella cuccetta di un tourbus, attorno alla cinquantina. Solo il rock’n’roll sa essere così cattivo, con certi suoi figli.

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Supergrunger - Stone Temple Pilots (Il mattino di Rete Tre)

RSI Cultura 20.10.2023, 11:12

  • BRIGANI-ART/HEINRICH
  • Andrea Rigazzi

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