Il 9 marzo 1959, a Willow nel Wisconsin, nasceva Barbara Millicent Roberts. La bambola più famosa al mondo. Ideata da Ruth Handler (1916 - 2002), moglie di uno dei co-fondatori della Mattel, una delle case produttrici di giocattoli più grandi al mondo, della quale divenne in seguito la presidente. Ruth, dopo un viaggio in Europa, ebbe l’intuizione che al mercato americano mancasse un modello di bambole che rispecchiassero dei ruoli adulti (infatti la maggior parte delle bambole in commercio rappresentava neonati).
In Europa esisteva già una bambola di questo genere: la Bild Lilli, apparsa in Germania nel 1955, ispirata ad un personaggio dei fumetti creato da Reinhard Beuthien per il giornale tedesco Bild. La Mattel dopo averne comprato i diritti, esordì nel 1959 con una bambola ispirata a Lilli ma ribattezzata Barbie, in omaggio a Barbara, la figlia dei coniugi Handler. Il primo modello di Barbie apparve in costume da bagno zebrato, con la pelle chiara e i capelli neri raccolti in una coda; solo più tardi divenne inconfondibile grazie alla sua chioma biondo platino. Tuttavia nell’America di fine anni Cinquanta Barbie non attirò molte simpatie e, per rimediare alle critiche, la Mattel propose dei modelli più classici di eleganza, ispirati all’alta moda parigina e allo stile dell’allora first lady Jacqueline Kennedy. Ma i tempi, si sa, cambiano in fretta e con loro i modelli di femminilità e, se c’è una cosa che bisogna riconoscere alla politica aziendale del brand Barbie - che piaccia o meno -, è che da sei decenni a questa parte ha saputo seguire le tendenze e le esigenze del mondo femminile.
Dal 1959 la Mattel ha prodotto quasi un miliardo di esemplari rendendo Barbie una vera e propria icona della cultura materiale che domina l’immaginario collettivo. Inoltre fu anche uno dei primi giocattoli, pionieri della comunicazione di massa instillata attraverso i media. Nell’anno del suo debutto, la bambola venne pubblicizzata durante l’intervallo di un programma televisivo per bambini: il Mickey Mouse Club. Dalla televisione, passò poi al cinema, conquistando negli ultimi anni i social network, creando anche una propria App e a partire dal 2015, Barbie diventa perfino una moderna Vlogger, con il proprio canale Youtube per comunicare direttamente con le giovani ragazze.
Intervista a Nicoletta Bazzano
RSI Cultura 12.03.2019, 09:03
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L’ambizione della Barbie, come di ogni giocattolo nell’era della riproducibilità tecnica, è quella di rendersi indispensabile per tutte le teenager del mondo, accompagnando le giovani ragazze verso l’età adulta, proponendo un modello perfetto di femminilità (discutibile agli occhi chi vede nella Barbie uno stereotipo di donna che andrebbe superato). Per assecondare i desideri di una nuova generazione di donne, agli inizi degli anni Sessanta la Mattel introdusse le prime Barbie lavoratrici. Negli anni Ottanta, per abbattere il pregiudizio etnico, furono introdotte le bambole afroamericane e ispaniche chiamate anch’esse Barbie (già nel 1968, a seguito del movimento per i diritti civili degli afroamericani, venne introdotta Christie, un’amica di Barbie). Nel 1985 furono messe sul mercato le prime Barbie CEO e nacque la serie Girls can do anything che omaggiava le grandi donne dell’immaginario femminile come Katherine Johnson, una matematica e fisica oppure Ibtihaj Muhammad, una schermitrice e imprenditrice. Nonostante i tentativi di rappresentare il mondo femminile nella sua eterogeneità, creò molte polemiche negli anni Novanta, un modello di Barbie parlante, che fra le varie frasi registrate esordiva con: “La matematica è difficile!”, il malcontento fu tale, che la Mattel dovette cancellare la frase in questione.
Per evitare il senso di esclusione provato da molte adolescenti (che non si rispecchiavano nell’aspetto fisico e nel modello che la Barbie voleva veicolare) nel 2016 la Mattel rivalutò i canoni di bellezza della sua bambola, promuovendo tre nuovi tipi di fisico: curvy, petite e alta; guadagnandosi la copertina della rivista Time, dal titolo Now can we stop talking about my body?. La popolarità di quello che era ormai divenuto un simbolo, legittimato anche da opere di artisti come Andy Warhol, fece sì che il Museo delle arti decorative di Parigi (sempre nel 2016) l’omaggiasse con una mostra con più di 700 Barbie.
Lo si gradisca o meno, la Barbie resta a tutt’oggi un vero e proprio feticcio quotidiano che ha saputo penetrare la società in tutti i suoi ambiti e sotto vari aspetti; una star multimediale, che ha indossato minigonne e hijab islamici, e che ha prodotto un universo simbolico che pochi altri giocattoli per bambini sono riusciti a creare. Il suo punto di forza è stato quello di plasmare continuamente la propria immagine sui desideri e i sogni delle donne contemporanee, non avendo paura di fare inversione di rotta di fronte a polemiche e malcontenti di una parte del mondo femminile. Un modello plasmato dalle donne stesse, una strategia di marketing che fino ad oggi è stata vincente, basti vedere la serie #MOREROLEMODELS lanciata l’anno scorso e rinnovata quest’anno in occasione della Giornata internazionale della donna, per onorare donne eccellenti nei loro ambiti, attiviste, sportive, donne comuni e con disabilità. Solo il tempo svelerà se questo binomio proseguirà sullo stesso sentiero (continuando a camuffare sotto nuovi scenari, in modo arguto, vecchi stereotipi) oppure se le bambine di domani conosceranno le Barbie solo in un qualche museo, che si degnerà di celebrare quel periodo storico in cui l’industria del giocattolo seppe accogliere le differenze di genere e le critiche di costume pur di rinnovarsi e fare cassetta.