«Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa [...] della lingua», recita l’articolo 8 della Costituzione federale della Confederazione Svizzera. Eppure è frequente sentire testimonianze come quelle raccolte dalla trasmissione Patti chiari: «C’è chi ogni giorno, sul lavoro, è costretto a tradurre tutto perché colleghi e superiori non parlano una parola della lingua di Dante, pur collaborando con la Svizzera italiana. C’è chi, rivolgendosi al servizio clienti, si sente dire che l’italiano non è tra le lingue ufficiali utilizzate in Svizzera, ma l’inglese sì…» (Italiano, lingua di serie B, 2024). Ricordiamo il recente film Bon Shuur Ticino, diretto da Peter Luisi, in cui si racconta una Svizzera distopica dove viene imposto il monolinguismo, con conseguenze tragiche ma esilaranti. A vigilare sulla pluralità linguistica e culturale della Svizzera, per l’area italofona c’è l’intergruppo parlamentare Italianità.
https://rsi.cue.rsi.ch/cultura/film-e-serie/BonSchuur-Ticino-inno-al-plurilinguismo-o-superficiale-rappresentazione-del-Sud-delle-Alpi--2928198.html
Siamo in presenza di “discriminazione linguistica” quando una persona o una comunità vengono trattate in modo ingiusto sulla base della loro lingua o del loro modo di parlare. Per definire questo fenomeno sono state usate molte espressioni, spesso in inglese: «linguistic profiling [profilazione linguistica], slam ban [messa al bando del gergo], glottofobia, accent discrimination [discriminazione sulla base dell’accento], accentism [razzismo sonoro], ethnic accent bullying [bullismo nei confronti dell’accento etnico], linguistic stereotyping [stereotipia linguistica], razzismo linguistico», ricorda Marina Nasi (Cos’è la discriminazione linguistica e perché è importante riconoscerla, in «Valigia Blu», 2021).
“Linguicismo” è un calco dall’inglese “linguicism”, coniato dalla linguista finlandese Tove Anita Skutnabb-Kangas negli anni ottanta, che ne ha studiato a lungo le implicazioni. “Linguicismo” è anche la parola che ha scelto la linguista e ricercatrice Rosalba Nodari per il titolo del suo recente saggio Linguicismo e potere (Eris, 2025). Come ogni forma di discriminazione, infatti, anche il linguicismo ha a che fare con uno squilibrio di potere: tra lingua e dialetto, per esempio. Ilenia Zodiaco, nella puntata Dialetti, tra discriminazione e popolarità del suo podcast «Malalingua» (2022), ricorda le critiche che ha ricevuto Zerocalcare per aver inserito lunghi stralci in romanesco nella serie animata di Strappare lungo i bordi (Netflix, 2021).
È una forma di linguicismo anche la convinzione che alcune lingue siano più prestigiose e importanti di altre. In alcuni casi questo sfocia nell’imperialismo linguistico, e può arrivare al linguicidio: la lingua spagnola, per esempio, ha cancellato le lingue native nella colonizzazione delle Americhe. Ma anche la lingua thai sta facendo scomparire le lingue minoritarie come il lanna, parlato nel Nord del Paese, e l’italiano imposto in Sardegna, fa sì che il sardo sia spesso percepito come una lingua meno prestigiosa dalle stesse persone che ci abitano e la parlano.
Nodari fa riflettere anche sulle conseguenze materiali ed economiche che l’inglese ha per le nostre vite: promuovere il plurilinguismo è positivo; diventa problematico però se tutte le risorse vengono impiegate per insegnare (quasi) esclusivamente l’inglese, e i Paesi anglofoni non stanziano fondi per apprendere altre lingue. Questo crea un vantaggio economico ingiusto (Nodari, Linguicismo e potere, 2025).
Ma il linguicismo assume anche altre forme, come la discriminazione delle voci acute - femminili - rispetto a quelle maschili, fin dall’antichità. Anne Carson mostra come Sofocle, Aristotele e Aristofane abbiano descritto le donne come esseri dalla voce incontrollata, che emettono suoni giudicati animaleschi o minacciosi. Così la voce femminile veniva espulsa dallo spazio politico e pubblico (The Gender of Sound, in Glass, Irony and God, New Directions, 1995). Questo pregiudizio si estende a figure contemporanee come Margaret Thatcher, costretta ad abbassare e “mascolinizzare” la propria voce per essere percepita più competente e professionale, o Paris Hilton, la cui modalità di fonazione “cricchiata” (in inglese vocal fry) «viene associata a una femminilità frivola, egoista, strafottente, un modo di parlare da sanzionare perché le donne con questo tono di voce verrebbero percepite come meno competenti, meno istruite, meno affidabili» (Nodari, Linguicismo e potere, 2025).
«Questa lingua [l’inglese] che mi ha consentito di frequentare l’università, di scrivere una tesi di laurea, di sostenere colloqui di lavoro, ha l’odore dell’oppressore», scrive bell hooks, docente universitaria e attivista afroamericana (bell hooks e Maria Nadotti, Elogio del margine | Scrivere al buio, Tamu, 2020). Brigitte Vasallo, filosofa e attivista, si collega idealmente al discorso di hooks: «La lingua subalterna deve dissimularsi per esprimersi nella sfera pubblica della modernità, l’unico spazio riconosciuto come spazio della voce politica. È importante puntualizzare che in questo caso “lingua” si riferisce al modo di parlare e non all’idioma, anche se ci sono idiomi in condizione di subalternità» (Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe, Tamu, 2023).
I meccanismi di discriminazione linguistica sono subdoli, perché spesso non sono totalmente coscienti. Questo rende il linguicismo particolarmente diffuso e socialmente tollerato. Spesso si interseca con altre forme di oppressione, come il razzismo, la povertà, la carenza d’istruzione, l’ageismo. «Può limitare l’accesso delle persone all’istruzione, all’occupazione, all’assistenza sanitaria e ad altri servizi essenziali, alimentando così cicli di povertà ed emarginazione» recita il sito di CIRCE, progetto che coinvolge 6 università e affronta il tema del razzismo sonoro. Ecco perché è importante riconoscere le diverse forme di linguicismo, saperle nominare, e quindi attuare politiche attive per contrastarle, come si è tentato di fare in Francia nel 2020, con una proposta di legge contro la “glottophobie” che si è arenata al Senato (Quentin Périnel, «Glottophobie» : pourquoi se moquer des accents régionaux peut vous mener tout droit en prison, in «Le Figaro Emploi», 2024).
Una nave ritrovata e la lingua rispettosa (1./3)
Millevoci 15.02.2022, 09:15
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