Ricordo e implicazioni

Bataclan, dieci anni dopo: il rumore del silenzio

A dieci anni dagli attentati del Bataclan, la Francia si confronta con la memoria del trauma e le implicazioni geopolitiche. Tra commemorazioni, tensioni sociali e nuove narrazioni, l’Europa riflette su sicurezza, identità e sfide culturali

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Di: Mat Cavadini 

C’è un prima e un dopo. Chi c’era lo sa. Chi ha visto le immagini, ascoltato le testimonianze, sentito il silenzio che è seguito, lo intuisce. Il Bataclan non è solo un teatro parigino: è diventato un simbolo, un punto di rottura, un luogo dove l’Europa ha perso l’innocenza. Dieci anni dopo, la Francia si ferma, ricorda, discute. Ma sotto la superficie delle commemorazioni, si muovono domande più profonde: cosa abbiamo imparato? E cosa abbiamo dimenticato?

Il 13 novembre 2015 non è stato solo un attacco terroristico. È stato un attacco alla vita notturna, alla musica, alla libertà di stare insieme. Il Bataclan era pieno, rumoroso, vivo. In pochi minuti, è diventato il contrario di tutto questo. Da allora, Parigi ha cambiato pelle. Le pattuglie armate, le telecamere, le leggi antiterrorismo: tutto è diventato più rigido, più sorvegliato. Ma anche più fragile. Perché la sicurezza ha un prezzo, e spesso lo pagano i legami sociali, la fiducia, la libertà.

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10 anni dopo gli attentati di Parigi

Millevoci 11.11.2025, 10:05

  • Keystone
  • Marcello Fusetti e Francesca Margiotta

Il Bataclan non ha colpito solo la Francia: ha scosso l’intera Europa, mettendo in discussione il suo modello di convivenza, la sua apertura, la sua fiducia nel futuro. Da Bruxelles a Berlino, da Roma a Stoccolma, il senso di vulnerabilità si è diffuso come un’onda lunga. I confini sono diventati più rigidi, i controlli più serrati, le politiche migratorie più restrittive. Ma insieme alla paura, è emersa anche una domanda collettiva: come difendere i valori europei senza tradirli? La libertà di espressione, la pluralità culturale, il diritto alla festa e alla dissidenza sono diventati terreni di scontro, ma anche di resistenza. Il Bataclan ha mostrato che l’Europa non è solo un insieme di trattati e istituzioni: è anche una comunità emotiva, capace di piangere insieme, ma anche di rialzarsi. E forse, proprio in quella ferita condivisa, si nasconde una nuova possibilità di unità.

Dieci anni dopo, la memoria è ovunque. Nei giardini commemorativi, nei libri, nelle serie TV, nei racconti dei sopravvissuti. Ma non è una memoria pacificata. Alcuni la vogliono silenziosa, rispettosa. Altri la vogliono visibile, raccontata, elaborata. La serie Des Vivants, girata proprio al Bataclan, ha diviso: c’è chi l’ha vista come un atto di coraggio, chi come una ferita riaperta. La memoria, si sa, non è mai neutra. È politica, è personale, è conflittuale.

Sul piano geopolitico, il Bataclan ha agito come un detonatore. La Francia ha intensificato la sua presenza militare in Medio Oriente, ha riformato i servizi di intelligence, ha riscritto le regole della sicurezza interna. Ma il jihadismo non è solo una minaccia esterna: è anche una crepa interna, che attraversa le periferie, le scuole, le carceri. La Repubblica francese, con il suo ideale di laicità e universalismo, si è trovata a fare i conti con le sue contraddizioni. E l’Europa, nel frattempo, ha visto crescere muri, sospetti, populismi.

Il Bataclan, oggi, è ancora lì. Si fanno concerti, si beve, si balla. Ma qualcosa è cambiato. Non solo nel teatro, ma nel modo in cui guardiamo il mondo. Dieci anni dopo, non si tratta solo di ricordare. Si tratta di capire come vivere con quella ferita, senza lasciarla diventare una prigione. Perché il terrorismo vuole proprio questo: che ci chiudiamo, che ci dividiamo, che dimentichiamo chi siamo. E allora, forse, il vero atto di memoria è continuare a vivere liberamente.

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