«Mi piacerebbe moltissimo andare in vacanza… ma ora non ne ho la forza»: questa frase suona un po’ assurda, vero? Eppure me l’ha detta qualche giorno fa la mia amica Tiziana Masoch, traduttrice e attivista.
Ora che la conosco da un po’ e siamo amiche, a me non ha stupito, perché Tiziana usa la carrozzina. Ma prima di conoscerla non avevo idea di quanta fatica faccia, davvero, quotidianamente, una persona con disabilità. Anche quando vorrebbe solo fare qualcosa di piacevole o di riposante come una vacanza, o andare a un concerto.
Come persona non disabile, posso immaginare alcune fatiche fisiche e emotive legate alla disabilità: per esempio la fatica (o l’impossibilità) di spostare una borsa ingombrante, o il peso emotivo di stare in una stanza con la consapevolezza di avere un corpo diverso da quello di tutte le altre persone presenti.
Ma ci sono altre cose che non immaginavo, non per cattiva volontà, ma proprio per ignoranza e mancanza di riflessione al riguardo.
https://rsi.cue.rsi.ch/cultura/societa/L%E2%80%99orgoglio-di-essere-disabile--2210688.html
Quello che non immaginavo è che se una persona con disabilità vuole andare a mangiare in un ristorante deve contattare chi lo gestisce per chiedere informazioni dettagliate sull’accessibilità del locale, per esempio le misure delle porte e dei bagni, e spesso anche fotografie e video. E rischia comunque di trovare brutte sorprese: gradini non rilevati, porte troppo strette. Quindi prima di un’uscita al ristorante c’è un viavai infinito di email e telefonate, per cercare di minimizzare il rischio. «Il lavoro “nascosto” che una persona disabile fa, è quello altamente consigliato di “controllare l’accessibilità reale ed effettiva dei luoghi” in ogni senso. Non raramente, infatti, anche gli eventi che si dicono accessibili non lo sono completamente o non rispondono completamente ai bisogni di ciascuno. Quindi non di rado noi siamo abituati a informarci, in ogni caso, in ogni ambito di vita, dalla cultura, ai viaggi, al tempo libero. Ciò che facciamo è un cercare informazioni, per rendere l’esperienza il più libera e piacevole possibile quando la viviamo, e prevenire problemi e proporre soluzioni, nel caso. Siamo dei “problem solver” programmati per non stupirci più di nulla», commenta Denise Carniel, attivista e conferenziera ticinese.
Se questo succede in un ristorante, figuriamoci in un hotel.
Quello che non immaginavo è che nei treni regionali ci sono «>2» (più di 2) posti riservati a persone in carrozzina, e nei treni internazionali sono spesso solo 2 (SBB, In viaggio senza barriere).
Quello che non immaginavo è che ai concerti ci sono pochissimi posti riservati a persone con disabilità – il numero è a discrezione di chi organizza, non c’è una percentuale minima prevista per legge. Se hai una disabilità, di solito non puoi prenotare attraverso i canali pubblici, e sul sito non ci sono quasi mai informazioni legate all’accessibilità. Devi contattare direttamente l’organizzatore, via email (ancora una volta), e sperare che la manciata di posti non sia già stata presa d’assalto. E poi una persona con disabilità può andare a un evento solo con un’unica persona che la accompagna, perché i posti per le persone con disabilità di solito sono in una specie di ghetto, lontanissimi dal palco, in un piccolo palco leggermente rialzato, e possono ospitare un numero limitato di persone. Ilaria Crippi, ricercatrice e attivista disabile, nel suo libro Lo spazio non è neutro (Tamu, 2024) spiega che «molte volte le persone disabili devono affrontare procedure complicate o antipatiche discussioni per ottenere accesso a un luogo, a un mezzo di trasporto o a un evento. Non tutte hanno lo stesso livello di competenze comunicative e organizzative, energie, tempo, strumenti culturali, ecc. per riuscire a navigare queste estenuanti complessità». E continua: «Se è abbastanza immediato comprendere l’effetto materiale di una barriera (escluderti dalla fruizione di un contesto), i suoi effetti psicoemotivi restano troppo spesso invisibili».
https://rsi.cue.rsi.ch/cultura/societa/%C3%88-un-complimento-o-mi-stai-oggettificando--2262766.html
Quello che non immaginavo è che i sussidi e le certificazioni di disabilità non sono qualcosa di fisso, che chiedi una volta e poi sei a posto per il resto della tua vita: vanno continuamente richiesti e riverificati, con procedure burocratiche lunghe e estenuanti. Una persona con disabilità passa ore della propria vita a richiedere servizi e aiuti che spesso non sono ben comunicati, e che vengono conosciuti solo attraverso il passaparola. Anche per questo è così importante, per una persona con disabilità, fare rete con altre persone. «Che le persone disabili debbano caricarsi di questo sforzo ogni singolo giorno della loro vita, per una quantità di incombenze quotidiane che le persone non disabili svolgono senza neanche accorgersene, è dato per scontato, è del tutto normalizzato», commenta ancora Crippi.
Questo incessante lavoro è invisibile e non riconosciuto. In inglese ha un nome: “hidden labour of disability”, che si può tradurre come “lavoro nascosto della disabilità”. «Consiste in tutte quelle cose in più che le persone disabili devono fare in una società abilista», ovvero che discrimina le persone con disabilità, spiegano le Witty Wheels, ovvero le sorelle Elena e Maria Chiara Paolini, attiviste e formatrici (Che cos’è l’hidden labour of disability, 2020). E fanno altri esempi: «Il recruiting degli assistenti personali, reso più complicato dalla gente abilista che crede che sia un “lavoro di basso livello” in cui non si richiede efficienza e professionalità e che alle persone disabili si possa offrire senza problemi una performance lavorativa scadente. Imparare a essere un datore di lavoro a livello amministrativo prima ancora di avere l’età per finire gli studi, perché la gestione degli assistenti conta poche organizzazioni di supporto. Farsi supportare da un avvocato per tutti quei casi in cui ci sono stati abusi di potere; cercare medici decenti quando ne incontro di abilisti e quindi si rende fondamentale cambiarli per non rischiare un’assistenza medica di basso livello; passare un pomeriggio a togliere esperienze legate alla disabilità dal curriculum o sostituire varie espressioni che potrebbero far capire che ho lavorato nel campo dei diritti delle persone disabili con altre più vaghe per evitare di far pensare ai selezionatori che sono disabile e quindi di essere scartata».
«Gli eventi pubblici in Ticino e in Svizzera sono regolamentati tramite le leggi della sicurezza e dalle norme vigenti a livello internazionale, e più particolarmente dalla legge sui disabili. In linea teorica l’accessibilità dovrebbe essere garantita, ma al lato pratico ancora troppe volte questo aspetto viene sottovalutato. Va detto che una cultura generale sta fiorendo nella società tutta grazie a una presa di posizione dal basso, e sono ottimista che, anche tramite associazioni di categoria come ProInfirmis, le cose migliorino: è un processo lento, troppo, ma costante. Sono ottimista», commenta Carniel.
La responsabilità perché le cose cambino, però, non può restare solo delle persone con disabilità. Dobbiamo operare un cambiamento, adesso, insieme.
RG 12.30 del 05.09.2024: Il servizio di Michèle Volontè sull’iniziativa per l’inclusione
RSI Info 05.09.2024, 12:44
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Ferrovie e disabilità (1./3)
Millevoci 25.01.2023, 09:30
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