Storia animale

Da cani mordaci a cani sciolti

Al crescere delle aggressioni canine, è necessario puntare sulla responsabilità dei proprietari. Il metodo empatico ma fermo di un educatore comportamentale insegna a capire i cani per costruire relazioni equilibrate

  • Oggi, 12:00
  • 4 minuti fa
_the_Greats_.jpg

"the Greats"

  • The Humane Society of the United States
Di: Elizabeth Camozzi  

«Il problema non è che i cani non comunicano: è che noi non li sappiamo ascoltare – afferma l’addestratore comportamentale Yari Dubini - loro ci parlano dal primo giorno, ma il guaio è che spesso non conosciamo il loro linguaggio e non riconosciamo i segnali».

Negli ultimi anni, anche in Svizzera è emerso un problema che un tempo pareva confinato alle cronache estere: l’aumento degli episodi di morsicature e aggressioni canine, accompagnato da una crescita delle segnalazioni, ha riacceso il dibattito pubblico. Non si tratta di casi isolati, ma di un fenomeno complesso e multicausale: più cani nelle aree urbane, scelte di razza non sempre coerenti con lo stile di vita, formazione dei proprietari spesso insufficiente e controlli ancora frammentari sul territorio.

Alla paura sociale si affiancano richieste di soluzioni concrete, come corsi obbligatori, maggiori ispezioni, responsabilità amministrative, mentre associazioni e professionisti ricordano che la risposta deve bilanciare sicurezza e benessere animale, prevenzione e formazione.

«Con impegno e con l’aiuto della persona giusta e qualificata – asserisce Dubini – si può trasformare anche un cane reattivo e un rapporto difficile in un legame straordinario».

11:53

L'intelligenza dei cani

RSI Info 09.06.2015, 18:00

  • Keystone
  • Il giardino di Albert

La storia

In Svizzera, la storia dell’addestramento cinofilo riflette la metamorfosi sociale del cane: da indispensabile collaboratore rurale a compagno della vita urbana, fino a divenire oggi protagonista dei dibattiti su benessere animale e sicurezza pubblica.

Tutto ebbe inizio con la fondazione della Schweizerische Kynologische Gesellschaft (SKG) nel 1883, a segnare l’avvio di una cinologia organizzata che ha istituzionalizzato la cura, l’allevamento e la formazione dei cani in tutto il Paese.

Nei primi decenni del XX secolo, i cani da lavoro alpini e da guardia – come i Sennenhunde – incarnavano la necessità di addestramento pratico nell’agricoltura e nella montagna svizzera. La selezione razziale e la funzione operativa del cane gettarono le basi di un sapere addestrativo ancorato alla realtà produttiva. Un secondo momento cruciale fu l’istituzionalizzazione dell’uso dei cani per scopi pubblici: polizia, militare, protezione civile. Per esempio, la formazione dei cani da soccorso nella REDOG, fondata nel 1971, testimonia come l’addestramento sia diventato un’attività specialistica e interdisciplinare (From the beginning to today, REDOG).

Parallelamente, l’influenza delle teorie comportamentali (dal condizionamento classico di Ivan Pavlov al rinforzo operante di Burrhus Frederic Skinner) favorì la formalizzazione dei metodi addestrativi. Negli anni più recenti, l’emergere dell’etologia applicata e della sensibilità verso il benessere animale ha promosso un cambio di paradigma: meno «comando-obbedienza», più comprensione del cane come partner relazionale.

Oggi la formazione professionale degli educatori è regolata dalla SKG con programmi-certificazione (Programmi di formazione, SKG), ma persistono le sfide summenzionate - come l’aumento degli incidenti con cani reattivi e la scarsità di controlli uniformi - che richiedono una riflessione aggiornata. In quest’ottica, l’addestramento cinofilo in Svizzera non appare più soltanto come pratica tecnica, ma come specchio della società che convive con il cane, tra cultura, regolazione e responsabilità condivisa.

Sicurezza.jpg
  • Ti_Press

Ascoltare i cani per capire noi stessi

Per l’addestratore comportamentale Yari Dubini la cinofilia non è solo mestiere: è un atto di riparazione.

Fondatore della scuola Cani sciolti di Cadempino, volontario alla Protezione Animali di Bellinzona, dopo la formazione presso il Centro di recupero comportamentale dell’educatore comasco Davide Marroccoli, ha conseguito il diploma cantonale di istruttore cinofilo al Centro professionale sociosanitario medico-tecnico di Locarno e ha collaborato per tre anni con una comportamentalista locale, approfondendo il metodo di Roger Abrantes fondato sull’osservazione oggettiva del comportamento del cane e sul rifiuto di ogni antropomorfismo. «Da bambino ho avuto cani problematici che, per errori di gestione, sono stati dati via. È stato un piccolo trauma: da allora ho deciso che non volevo più vedere un cane allontanato per incomprensione». E da quella ferita nasce la sua missione: «Per me dare via un cane è una sconfitta. Aiutare persone e cani a proseguire insieme è il mio modo di rimettere a posto le cose».

Nella sua prima esperienza presso il Centro di recupero comportamentale italiano, viveva H24 con cani mordaci: «Lì mi sono fatto le ossa. Ho imparato che davanti a un cane aggressivo non puoi mostrare paura né sfida: devi essere neutro, indecifrabile. Loro ti leggono, capiscono chi sei». È in quel vivere quotidiano, a contatto con animali considerati irrecuperabili, che Dubini sviluppa una filosofia del rapporto: lavorare sul cane significa prima di tutto lavorare su di se stessi.

L’approccio che ha maturato è frutto di studi e di pratica, ma il vero laboratorio resta il campo. «Le scuole ti danno i nomi delle cose, ma i veri maestri sono i cani. Non puoi pensare di sistemare gli altri se hai lavorato solo col tuo cane». Dubini si occupa soprattutto di cani “difficili”: fobici, reattivi, mordaci. Ma rifiuta l’aggettivo “aggressivo” perché rimanda all’idea di un cane cattivo e, come afferma, «i cani non sono cattivi, dietro l’80–90% dei comportamenti reattivi c’è paura. L’attacco è solo la miglior difesa».

Per l’addestratore, il problema non è tanto nel cane, quanto nel linguaggio reciproco che si è interrotto. «I cani parlano dal primo giorno, ma noi non li ascoltiamo. Sbadigli, coda bassa, orecchie indietro: in alcuni contesti possono essere tutti segnali di disagio che ignoriamo. E quando smettono di parlarci con il corpo, arriva prima il ringhio, e poi l’ultima spiaggia: il morso. Ma prima di arrivarci, ci hanno avvisato tante volte.»

Nel suo metodo, il primo passo è dunque sempre la relazione. I primi incontri si svolgono nel suo campo di Cadempino, un territorio neutro dove il cane non ha riferimenti, con l’obiettivo di comprendere la dinamica quotidiana della famiglia. «Tutto parte da ciò che succede in casa: il cane riflette la nostra gestione. Io lavoro per dare sicurezza, per far capire che siamo noi a gestire l’ambiente, solo così il cane può finalmente deresponsabilizzarsi». Un percorso paziente e strutturato: un mese di regole, meno libertà iniziale ma più equilibrio alla fine. In effetti, confessa: «più libertà non significa più amore. Spesso vuol dire più autonomia, quindi più caos. Come per i bambini: prima insegni i limiti, poi concedi l’autonomia».

Fondamentale è anche la gestione delle risorse - cibo, gioco, coccole - e il rispetto dei ritmi naturali. «I cani hanno bisogno del doppio delle nostre ore di sonno. Quando non riposano, diventano nervosi, stressati, distruttivi. È come se noi dormissimo due ore per notte». Dubini vede spesso gli stessi errori: «cani sempre attivi, sempre coinvolti, come se la felicità fosse nell’essere costantemente stimolati. Ma anche i cani hanno bisogno di quiete, di vuoto».

50:52

Arriva un cucciolo in casa!

La consulenza 09.10.2025, 13:00

  • Imago Images
  • Carlotta Moccetti

Sui metodi coercitivi è netto: “Un cane che ha paura non è educato, è sottomesso. Noi dobbiamo essere leader, non padroni. Il rispetto costruisce fedeltà, la paura costruisce fuga». E con il giusto lavoro, quasi sempre un cane definito problematico è recuperabile: «in tutti i miei anni d’esperienza, solo un cane non sono riuscito a recuperare. Ma anche lui mi ha insegnato che c’è sempre una persona giusta per ogni cane, e in quel caso semplicemente non ero io. Anche se non “guarisce”, può trovare una dimensione con chi lo accetta per com’è». Dubini vede nel suo lavoro un atto di servizio, un mestiere che serve a svuotare i canili, non a riempirli: «se la prima soluzione che viene data quando ci sono problemi è ‘dallo via’, vuol dire che non si sa fare il proprio lavoro».  

E sul fronte normativo, l’addestratore sostiene che i corsi obbligatori per i proprietari sono utili, ma non bastano per evitare situazioni limite. «Il problema è la mancanza di controlli. Quando mancano regole e sanzioni, aumentano anche gli incidenti. Non servono controlli costanti, ma una presenza più visibile. Ci sono troppi cani liberi dove non si può e regole ignorate; i servizi veterinari intervengono dopo i fatti, e con tempi lunghi. Basterebbero invece controlli più frequenti e mirati nelle zone critiche per ridurre i rischi, per ricordare le regole e la responsabilità dei proprietari».

In un mondo in cui i cani vivono sempre più nel nostro spazio, Yari Dubini ci ricorda quindi che la vera educazione non è insegnare a obbedire, ma a capirsi. E che, a volte, per salvare un cane, bisogna prima imparare ad ascoltare il silenzio. Alla fine, tutto si riduce a una forma radicale di accoglienza: «Il cane ti ama anche se sbagli, e quando il proprietario riesce a dirgli ‘anche se sei un disastro, io ti amo lo stesso’, allora tutto funziona e ci si può lavorare. Se manca questa base, allora è meglio affidarlo a qualcuno che lo apprezzi e lo ami davvero per quello che è».

Correlati

Ti potrebbe interessare