Società

L’italiano non è un orpello

L’italiano resiste tra algoritmi, anglicismi e nuove alleanze romanze. Lorenzo Tomasin smonta i luoghi comuni e rilancia il valore del plurilinguismo: «O c’è, o non c’è la Svizzera»

  • Oggi, 08:30
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Di: Red. 

In un’epoca in cui le lingue sembrano impoverirsi sotto la pressione dell’inglese globale e dell’intelligenza artificiale, l’italiano in Svizzera si trova a un bivio: sopravvivere come reliquia identitaria o rinascere come risorsa culturale. È questo il cuore del dibattito che ha animato l’incontro “Italiano in Svizzera: fino a quando sarà ancora una risorsa culturale e identitaria”, tenutosi alla Biblioteca cantonale di Locarno, promosso dal Forum per l’italiano in Svizzera.

Tra le voci più lucide e appassionate, quella di Lorenzo Tomasin, professore di Filologia romanza all’Università di Losanna e socio ordinario dell’Accademia della Crusca. Tomasin non si limita a difendere l’italiano: lo colloca al centro di una riflessione più ampia sul plurilinguismo, sull’identità svizzera e sulle sfide del nostro tempo. «Il plurilinguismo non è un lusso, non è un orpello, non è un elemento accessorio della società svizzera… è un punto fondamentale senza il quale la Svizzera non esiste», afferma con fermezza.

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Il ruolo dell’italiano in Svizzera

Alphaville 08.08.2025, 11:05

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  • Natascha Fioretti

La Svizzera, ricorda Tomasin, è una “Willensnation”, una nazione che esiste perché vuole esistere, non per una lingua comune. In questo mosaico di idiomi, l’italiano è una tessera preziosa, ma fragile. «O c’è, o non c’è la Svizzera», dice, ribadendo che la pluralità linguistica è la condizione stessa della coesione nazionale.

Ma il plurilinguismo costa. «Essere plurilingui implica costi maggiori, investimenti, sforzi… anche a livello scolastico e culturale», ammette Tomasin. Eppure, questi sforzi generano vantaggi civili, sociali, persino sanitari. «La necessità di scrivere tutto in più lingue si rivela come misura di igiene civile», osserva, con una formula che trasforma la traduzione in strumento di democrazia.

Il nemico, però, è subdolo. Non è solo l’inglese, che «tende ad essere pigramente sostituito alle nostre lingue nazionali», ma la pigrizia stessa. La rinuncia allo sforzo linguistico, alla fatica dell’apprendimento, è ciò che Tomasin teme di più. Anche l’intelligenza artificiale, che prometteva di facilitare il plurilinguismo, si rivela ambigua: «Spesso queste tecnologie rappresentano un incentivo a non imparare più le altre lingue… si trasformano in una minaccia».

E allora, come si difende l’italiano? Tomasin indica una via: la rete tra università, scuola e territorio. «L’università deve fungere da volano per una presenza più capillare e profonda dell’italiano nella società», afferma. È un circolo virtuoso che può rafforzare la lingua non solo nei luoghi dell’istruzione, ma nella vita quotidiana.

Un tema che gli sta particolarmente a cuore è quello dell’intercomprensione tra lingue romanze. «L’italiano, il francese e il romancio sono lingue sorelle… culturalmente, storicamente e strutturalmente portate a interagire», spiega. Eppure, questa fratellanza linguistica è spesso ignorata, sacrificata a equilibri politici che non vedono nell’alleanza latina una risorsa. «Se mettessimo veramente in valore la possibilità dello sforzo comune tra lingue tra loro sorelle… forse daremo maggiori chance sia all’italiano sia al francese sia ovviamente al romancio».

Il messaggio è chiaro: l’italiano non è una lingua da proteggere come un reperto, ma da promuovere come una risorsa viva. Serve volontà politica, investimento culturale, ma soprattutto serve uno sforzo collettivo.

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