Società

La grande noia

Da difetto temuto a rivoluzione silenziosa: la noia è gestazione, resistenza al mito dell’efficienza, soglia dell’essere

  • 2 ore fa
Che noia
  • ©Keystone
Di: Mat Cavadini 

Ci hanno insegnato a temere la noia, a scacciarla come un difetto, un tempo morto da riempire con distrazioni. Eppure, proprio in quel vuoto che ci spaventa, si nasconde la possibilità di un gesto radicale. Oblomov, in fondo, è un simbolo di rifiuto: non caricatura dell’inerzia, ma figura che smaschera l’ossessione per l’efficienza, che mostra come il fermarsi possa essere un atto di resistenza.

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Accidia

Laser 19.07.2022, 09:00

«Tutta l’infelicità degli uomini deriva dal non saper restare tranquilli in una stanza», scriveva Pascal. L’incapacità di sopportare il silenzio ci condanna a un eterno inseguimento di stimoli, ma proprio la stanza chiusa, la pausa che ci costringe a restare, diventa la soglia che ci obbliga a guardare dentro. La noia non è assenza, ma possibilità: è il momento in cui il pensiero si accende, in cui il vuoto si rivela fertile.

E quando la noia si fa grande, quando avvolge tutto e rende insignificante ogni occupazione quotidiana, essa non ci annienta: ci rivela. Heidegger scriveva «La grande noia ci rivela l’essere nel suo insieme»: ci strappa dalle abitudini e ci mette di fronte alla domanda radicale, quella che nessuna distrazione può cancellare: perché c’è qualcosa piuttosto che niente? Non è un fastidio da eliminare, ma un varco verso la verità.

Così, tra l’inerzia che diventa rifiuto (Gončarov), il silenzio che si trasforma in pace (Pascal) e l’esperienza che spalanca l’essere (Heidegger), la noia si rivela come rivoluzione silenziosa. È la pausa che ci restituisce il tempo, il respiro che rompe il ritmo, la fenditura che apre lo spazio vuoto del puro essere. In un mondo che ci vuole sempre intrattenuti, annoiarsi diventa un atto politico, creativo, esistenziale. Non è un difetto da correggere, ma una possibilità da abitare.

La noia è poesia che interrompe la corsa, stanza chiusa che diventa universo, silenzio che ci permette di ascoltare. E forse, oggi, annoiarsi è il gesto più radicale che possiamo compiere: essere.

Walter Benjamin, nell’Angelus Novus, osservava che «la noia è l’uccello incantato che cova l’uovo dell’esperienza». In quell’apparente immobilità, in quel tempo sospeso che sembra improduttivo, si prepara la possibilità di un sapere nuovo, di una visione diversa del mondo. La noia diventa così il contrario della sterilità: è incubatrice di senso, matrice di trasformazione. Non è fuga, ma attesa; non è vuoto, ma gestazione.

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