Società digitale

La rivoluzione è stata silenziata con una notifica

Il dissenso si scrolla con un dito, la ribellione si monetizza. In un mondo dove tutto è notificato, il vero gesto rivoluzionario è disattivare. Spegnere lo schermo

  • Oggi, 18:00
opera_calling_001_905.jpg
Di: Mat Cavadini 

Una volta la rivoluzione era rottura, corpo, piazza. Oggi è una vibrazione sullo schermo. Un like, una story, un post indignato. Il dissenso non si urla più: si scrolla. E mentre il mondo brucia — tra crisi climatica, disuguaglianze, guerre e algoritmi — noi riceviamo notifiche. E ci illudiamo di partecipare.

La rivoluzione è stata silenziata non con la repressione, ma con la distrazione. Il potere non censura: intrattiene. Ci offre contenuti, feed personalizzati, indignazione a tempo. Ogni gesto di protesta viene subito metabolizzato, trasformato in trend, in meme, in merchandising. Il dissenso diventa brand. E la ribellione, storytelling.

«La politica si è fatta estetica, e l’estetica si è fatta algoritmo» — così scrive Marco Revelli. Non serve più il manganello: basta un’interfaccia. Le piattaforme digitali hanno sostituito le agorà. Ma non sono spazi pubblici: sono ambienti proprietari, governati da logiche di profitto e visibilità. Eppure, è lì che oggi si consuma il conflitto. O meglio: si simula.

14:09
immagine

La rivoluzione è morta?

Alphaville 11.03.2025, 11:30

  • Imago Images
  • Lina Simoneschi Finocchiaro

Pensiamo ai movimenti sociali degli ultimi anni. Black Lives Matter, Fridays for Future, MeToo. Tutti hanno avuto una forza reale, ma anche una dimensione mediatica che li ha resi vulnerabili alla saturazione. Il ciclo è sempre lo stesso: esplosione, viralità, polarizzazione, oblio. Il tempo della rete non è quello della trasformazione: è quello dell’attenzione.

«Il dissenso è diventato un contenuto da monetizzare» — scriveva Evgeny Morozov. Il post indignato, il reel militante, il tweet sarcastico. Ogni emozione viene convertita in engagement. Ogni protesta, in visibilità. Ma cosa resta, dopo? Un algoritmo più preciso, una profilazione più raffinata, un utente più attivo. La rivoluzione, intanto, è stata archiviata.

Non è solo colpa della tecnologia. È il segno di un cambiamento più profondo. La società post-materialista, come la definisce Ronald Inglehart, non cerca più la rottura, ma l’adattamento. Non vuole sovvertire, ma negoziare. La politica diventa gestione, la cultura diventa consumo, la partecipazione diventa interazione.

Per Gaza qualcosa si è mosso, mobilitando le persone. Le piazze sono tornate a riempirsi. Da Londra a Roma, da New York a Tunisi, migliaia di persone hanno manifestato, rompendo il silenzio algoritmico con la presenza fisica. Non più solo post, ma cortei. Non più solo hashtag, ma striscioni. È il ritorno del corpo, della voce, del rischio. La Flotilla per Gaza ha riattivato il gesto radicale della disobbedienza: navigare contro il blocco, sfidare il confine, portare aiuti dove la politica non arriva. E intorno a quel gesto, si è riaccesa una solidarietà concreta, fatta di assemblee, raccolte fondi, presidi. Un attivismo che non si è lasciato metabolizzare. È stato il segno che la rivoluzione, per quanto carsica, può ancora emergere. E che il dissenso, quando torna a camminare per le strade, non può essere scrollato via.

E poi ci sono voci che non si lasciano addomesticare. Artisti come Mario Klingemann, che usa l’intelligenza artificiale per interrogare la creatività umana, o collettivi come !Mediengruppe Bitnik, che sabotano i sistemi di sorveglianza con arte post-hacker. Attivisti digitali come Anonymous, Extinction Rebellion e Fridays for Future, che trasformano la rete in uno spazio di mobilitazione e disobbedienza. Pensatori come Evgeny Morozov, che denuncia la retorica salvifica della tecnologia, e autrici come Serena Mazzini, che smascherano i meccanismi manipolatori dei social network. Tutti usano gli strumenti digitali non per intrattenere, ma per disturbare. Per creare cortocircuiti, per riaprire domande, per disinnescare il meccanismo.

«La vera rivoluzione oggi è disattivare le notifiche» — ha scritto ironicamente un utente anonimo su Reddit. E forse non aveva torto.

La rivoluzione non è finita. Ma ha cambiato forma. Non è più spettacolare, è carsica. Non è più collettiva, è molecolare. Non cerca il potere, cerca lo spazio. E proprio per questo, è più difficile da riconoscere. Ma anche più necessaria.

Perché in un mondo dove tutto è notificato, il vero gesto rivoluzionario è disattivare. Spegnere lo schermo. Tornare a pensare. A scegliere. A disobbedire.

Ti potrebbe interessare