Si arriva a San Andrés Mixquic nel pomeriggio, evitando così di restare intrappolati nella folla di turisti che invade questo quartiere dall’aspetto di villaggio, nel sud-est di Città del Messico. Qui non ci sono i grattacieli di vetro di Polanco, né gli edifici art déco ristrutturati della colonia Roma, per lo più destinati agli affitti brevi. A Mixquic le case sono semplici, il cibo della festa si prepara e si vende in bancarelle coperte da teloni di plastica, mentre cani randagi si aggirano in cerca di avanzi.
La meta di tutti è il cimitero accanto alla cattedrale di San José. Già nel pomeriggio, quando i parenti non sono ancora arrivati, le tombe sono pronte e ornate. Le calendule arancioni, i fiori di cempasúchil, formano tappeti luminosi che ricoprono sepolture decorate con motivi religiosi e laici. Poco a poco, le famiglie arrivano con cesti di vimini, fotografie, dolci, frutta, candele e incenso. Il cimitero si riempie di voci e, dalla chiesa, risuona il suono delle campane. È la vigilia del Día de Muertos, la notte in cui i morti tornano a visitare i vivi.
Chiamato Alumbrado, Illuminato, è il momento in cui l’intero quartiere di Mixquic sembra respirare insieme ai propri antenati. Per chi non vi ha mai assistito, è una scena quasi irreale: l’aria impregnata d’incenso, i fumi, i colori intensi, un insieme di sacralità e tradizione.

Dia de los Muertos: origini azteche della festa
La corrispondenza 31.10.2025, 07:05
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Celebrato in modi diversi in tutto il paese, il Día de Muertos testimonia tradizioni antiche, trasformate nel tempo fino alla versione odierna, che continua a rinnovarsi attingendo alla cultura popolare.
Molto prima dell’arrivo degli spagnoli, le civiltà preispaniche avevano sviluppato una visione della morte come parte del ciclo vitale. Per gli aztechi, la vita era un passaggio tra mondi: dopo la morte, l’anima intraprendeva un viaggio verso il Mictlán, il regno sotterraneo degli dèi dei morti. Nei riti precolombiani si offrivano cibo, fiori e oggetti ai defunti per accompagnarli nel viaggio, come ancora oggi si fa negli altari domestici del Día de Muertos. Le celebrazioni seguivano i ritmi agricoli e si dedicavano a diverse categorie di defunti, tra cui guerrieri, morti naturali o bambini, in momenti diversi dell’anno.
Nel 1521 i colonizzatori spagnoli, guidati da Hernán Cortés e alleati ai popoli indigeni, sconfissero l’Impero Azteco e imposero la religione cattolica, sopprimendo i culti preesistenti. Introdussero il calendario cristiano e le festività di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti. Le cerimonie mesoamericane si fusero con la liturgia cristiana, dando origine a un culto ibrido. Gli evangelizzatori tentarono di sostituire i riti indigeni, ma finirono per obbligare la popolazione a crearne di nuovi nelle uniche date permesse, l’1 e 2 novembre.

Torna il día de muertos
RSI Info 27.10.2019, 17:26
A differenza dell’Europa, dove la morte divenne simbolo di paura e silenzio, in Messico restò una presenza quotidiana e familiare. I vivi continuarono a dialogare con i morti, non con la solennità della Chiesa, ma con l’ironia, la musica e la convivialità di una festa che univa religione e comunità.
Nel XIX secolo, con la nascita dei cimiteri pubblici, i defunti lasciarono le cripte delle chiese per essere sepolti all’aperto. Fu un cambiamento profondo: la morte uscì dallo spazio sacro e tornò nella vita pubblica. Le celebrazioni divennero laiche, occasione di incontro e memoria collettiva. Difficile immaginarlo oggi, eppure verso la fine dell’Ottocento, il Día de Muertos conobbe un declino, rischiando di essere dimenticato.
Negli anni Trenta del secolo scorso, nel Messico post-rivoluzionario, una nuova corrente di pensiero recuperò la tradizione. Il presidente Lázaro Cárdenas, insieme a intellettuali e artisti come Diego Rivera, Frida Kahlo, José Clemente Orozco e Octavio Paz, trasformò il Día de Muertos in simbolo di identità nazionale. La morte divenne immagine, arte, orgoglio. Teschi e ossa comparvero in murales, poesie e piazze. Tuttavia, questa riscoperta creò anche un falso storico: la festa fu presentata come eredità “pura” del mondo preispanico, emarginando il ruolo della Chiesa cattolica, da cui volevano prendere distanza. Nacque la percezione, ancora diffusa, del Día de Muertos come retaggio intatto degli antichi aztechi.
Nell’ultimo secolo, la cultura popolare ha assimilato nuovi elementi, che sono diventati sempre più predominanti. L’immagine della Catrina, la dama scheletrica in abiti eleganti, fu creata dal litografo José Guadalupe Posada a inzio XX secolo, come satira dei messicani che imitavano le mode europee, rappresentava una verità semplice: davanti alla morte siamo tutti uguali. Il suo significato originario era estraneo al Dia de Muertos, ma la figura è diventa uno dei principali simboli della festa. Tra l’altro a lei è dedicata una delle principali parate a del Città del Messico.
Curiosamente, l’idea delle parate a tema Día de Muertos non nasce in Messico, ma a Hollywood: nel 2016, per il film Spectre della saga di James Bond, fu organizzata una sfilata che in realtà non esisteva. Il successo del film spinse la città a renderla reale, moltiplicando le parate dedicate a Catrine, zombi e statue di cartapesta.
Con il tempo il Día de Muertos è diventato un fenomeno globale, sempre più legato al turismo e al commercio. Il film Disney Pixar Coco (2017) ha consacrato la sua estetica nel mondo: con oltre 800 milioni di dollari d’incasso, ha raccontato non solo il ritorno dei morti tra i vivi, ma anche il viaggio di un bambino nel mondo dei defunti. Ha commosso milioni di spettatori, ma ha anche fissato un’immagine dolce e colorata del Día de Muertos, spesso lontana dalle sue radici.
Dichiarato Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO nel 2008, il Día de Muertos è oggi un evento globale, con milioni di turisti e un’economia dedicata. La linea tra tradizione e spettacolo è sempre più sottile.
Quando cala il sole a San Andrés Mixquic, la piazza davanti alla chiesa e il passaggio verso il cimitero si riempiono a tal punto che le persone finiscono per calpestare le tombe. I cellulari illuminano la scena, nel tentativo di immortalare un momento che dovrebbe restare privato per le famiglie. Uscire dal cimitero quando è pieno significa ritrovarsi in una calca che fa temere una ressa pericolosa.
Eppure, qualcosa di autentico sopravvive, e non riguarda le parate o i tour per i turisti. Basta entrare in una casa: ogni famiglia messicana prepara la propria ofrenda, un altare decorato per i defunti. Ci sono i fiori di cempasúchil, i teschi di zucchero, il pane dei morti e le fotografie dei propri cari illuminate da candele. La notte tra il 31 e l’1 tornano le anime dei bambini, tra l’1 e il 2 novembre tutti gli altri. È un rito autentico e irrinunciabile, un incontro tra chi resta e chi è già partito, ma che in queste notti si ritrovano. Lontano da cellulari e sguardi estranei.

Il Dia de Muertos in Messico
Telegiornale 01.11.2021, 21:00



