Società

Zehra Doğan

L’arte come denuncia e resistenza

  • 28 maggio, 08:04
Zehra Dogan
Di: Emanuela Musto/Alessandro Bertellotti
Non sono stata io a cercare l’arte, anzi è stata l’arte che mi ha cercato, perché ho vissuto in una situazione nella quale la mia terra è stata oppressa. La mia terra è stata occupata, ho sempre vissuto in una realtà di guerra. Sono del Kurdistan turco, la mia città natale che si trova in Baikonur, cioè a nord del Kurdistan, che è sempre stato un campo di battaglia finché non sono arrivata in Occidente e più precisamente in Germania. Io non ho visto mai un periodo di pace duratura e senza conflitti.

Zehra Doğan è una giornalista e artista curda nota per il suo impegno politico e sociale, e per l’uso dell’arte come strumento di denuncia e resistenza. Nata nel 1989 a Diyarbakır, una delle principali città della regione curda in Turchia, Doğan ha sviluppato un forte legame con la sua identità culturale e ha scelto di raccontare le difficoltà e le ingiustizie vissute dal suo popolo attraverso le sue opere. Opere che, come afferma l’artista stessa ai microfoni di Laser, sono sempre impegnate di attivismo e politica. “Ho sempre vissuto in guerra, quindi con la mia arte e la mia attività artistica cerco di denunciare questa cosa. Cerco di esporre la sofferenza che ho vissuto, come fa ad esempio uno scrittore, quando scrive, cerca di denunciare una situazione. Perciò per me l’arte è anche un’attività politica. Ricorda proprio la politica, la politica che secondo me ha creato quella situazione. Cerco di denunciare tutto questo tramite la mia attività. Anche l’utilizzo della lingua è importante, come una persona che cerca di denunciare le sue sofferenze tramite la sua lingua. Io cerco di comunicare il mio vissuto tramite la mia arte.”

La carriera di Zehra Doğan è segnata da un intenso attivismo giornalistico, che l’ha portata a lavorare per diverse testate e a fondare l’agenzia di notizie curda JINHA, unica nel suo genere in quanto gestita interamente da donne. Tuttavia, è stata la sua arte a renderla una figura internazionale di rilievo. Nel 2016, Doğan è stata arrestata dalle autorità turche con l’accusa di propaganda terroristica. Il motivo del suo arresto? Un dipinto che ritraeva la distruzione di Nusaybin, una città curda devastata dalle forze di sicurezza turche. La sua opera rappresentava edifici ridotti in macerie e carri armati, un’immagine che le autorità hanno ritenuto sovversiva. Questo evento ha segnato l’inizio di un periodo difficile per l’artista, che è stata condannata a quasi tre anni di carcere.

Zehra Dogan distruzione di Nusaybin

Durante la sua detenzione, Zehra Doğan ha continuato a creare arte utilizzando i materiali che riusciva a reperire: lenzuola, coperte, scarti di cibo e persino il suo stesso sangue.

“Sono stata in carcere per due anni. E credevano che io sarei uscita da quel carcere più educata, più brava. Pentita di ciò che avevo fatto prima della galera. Ma io ho proprio scritto con il sangue e con i miei capelli che io non sono pentita. L’ho scritto proprio sul cuscino ed il letto. Non sono pentita di essere in carcere.” Le sue opere realizzate in prigione sono diventate simboli di resistenza e denuncia, attirando l’attenzione della comunità internazionale. La sua situazione ha sollevato numerose proteste e manifestazioni di solidarietà da parte di artisti, attivisti e organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo. Un esempio significativo di supporto è stato l’atto del famoso artista di strada Banksy, che ha dedicato un murale a New York alla situazione di Doğan, amplificando ulteriormente la sua voce e la causa curda. Questo murale raffigura Zehra dietro le sbarre, trasformando la sua arte in un potente messaggio visivo contro l’oppressione.

La liberazione di Zehra Doğan nel febbraio 2019 non ha segnato la fine del suo impegno. Anzi, è diventata una voce ancora più forte nella denuncia delle ingiustizie subite dai curdi e da altre minoranze. Attraverso mostre, conferenze e collaborazioni internazionali, Doğan continua a utilizzare la sua arte per raccontare storie di resistenza e per sfidare il silenzio imposto dalle autorità.

Zehra Dogan Ozdinamik 2017

“Ci sono tanti artisti che lavorano, però forse preferiscono non immischiarsi con la politica. Purtroppo, per quanto mi riguarda, anche dato che sono curda, è molto facile che le mie opere vengano messe al bando o che la mia attività sia considerata come una forma di terrorismo. Questa condizione esiste per una come me. Spero che un giorno anche in Turchia non ci sia più quel dittatore e che io possa tornare a lavorare nel mio paese. È difficile spiegare la sensazione che provo. Difficile esprimere questo stato d’animo quando sono in Europa o nei paesi occidentali. Nelle esposizioni che organizzo tutti si aprono verso di me. Tutti aprono le loro porte. Però allo stesso tempo il mio paese mi caccia e chiude la porta. Non mi permette di rientrare in patria. Questa è una situazione molto difficile per me ed è molto triste. Posso affermare che stavo meglio quando ero in carcere.”

La storia di Zehra Doğan è un esempio eloquente di come l’arte possa trascendere i confini fisici e diventare un mezzo potente per la denuncia sociale e politica. La sua resilienza e il suo coraggio ispirano e ricordano al mondo l’importanza della libertà di espressione e dei diritti umani, specialmente in contesti di oppressione e conflitto.

Io non sono pentita

Laser 23.05.2024, 09:00

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