Curiosità e trend

Il cibo di domani

Ecco cosa potremmo mangiare per salvaguardare il nostro futuro

  • 2 febbraio 2023, 23:26
Cibo di domani vermi
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Di: Emma Berger e Alice Tognacci

Che l’industria agroalimentare sia un settore determinante per la crisi climatica non è una novità. Infatti, l’agricoltura e tutto quello che è legato ad essa – come produzione degli alimenti, distribuzione dei prodotti, e packaging alimentare - si situa tra i ranghi più alti per quando riguarda l’emissione di gas serra, lo spreco di acqua e la pressione sulle risorse di terra. Secondo una ricerca dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) condotta per il periodo 1990-2015, questo settore produce un terzo di tutto il gas a effetto serra emesso da origini umane. Di queste, quasi la metà provengono dall’allevamento di bestiame volto alla produzione di carne e latticini. Aggiungiamo il fatto che la popolazione mondiale sta aumentando, e con essa anche il consumo di carne globale.
La FAO stima che entro il 2050, i milioni di tonnellate di carne prodotta saranno 465 (contro i 280 del 2008), mentre quelli del latte passeranno dai 580 del 1999-2001 ai 1043 nel 2050.
Come gestire dunque questa domanda crescente che fa pressione su risorse sempre più limitate? La risposta non è unica ed è il risultato di diverse correlazioni tra aspetti politici, sociali e tecnologici.

Una soluzione per aiutare l’ambiente? Allargare i nostri orizzonti culinari

Tra le soluzioni ce n’è una a cui non si pensa spesso quando si parla di gestione della crisi del settore agricolo, ovvero quella di allargare i nostri orizzonti culinari, o meglio, introdurre alcuni alimenti nuovi che non fanno parte della nostra tradizione, ma che possono far fronte ai problemi legati al cambiamento climatico. Non sono alimenti completamente sconosciuti all’essere umano; al contrario, diverse culture e regioni del mondo già li mangiano da migliaia di anni.

Un esempio di cibo del futuro: gli insetti

È notizia recente quella della Commissione europea che autorizza la distribuzione della farina di grillo domestico (Acheta domesticus). Questa farina sarà sottoforma di farina parzialmente sgrassata e sarà parte integrante di una serie di prodotti da forno come pane, crackers e grissini, ma anche zuppe, bevande e dolciumi (qui la lista completa). Potremo trovare questo alimento anche in Svizzera poiché generalmente tutti i prodotti alimentari introdotti nel mercato europeo in base al Regolamento relativo ai nuovi alimenti sono commerciabili anche nel territorio svizzero. La Svizzera è stata il primo Paese europeo a mettere in commercio nel 2017 cavallette, larve delle tarme della farina e grilli, ma la vendita non era stata particolarmente entusiasmante, tanto che alcuni supermercati hanno deciso di toglierli dal proprio assortimento. Quella della farina potrebbe però essere il punto di svolta: sia per superare la barriera culturale che ci limita a mangiare un insetto intero, sia perché può essere integrata a molti alimenti ampliando la varietà di prodotti che vanno oltre al semplice snack.
Dobbiamo quindi avere paura di questo prodotto così diverso dai nostri alimenti tradizionali? No, o perlomeno, è giusto informarsi sull’alimento per andare oltre il “disgusto” e capirne meglio le sue potenzialità. Secondo un dettagliato rapporto della FAO, infatti, gli insetti rappresenterebbero un antidoto contro la fame nel mondo e ridurrebbero la dipendenza mondiale dagli allevamenti intensivi dovuta alla crescente popolazione. L’organizzazione distingue i benefici ambientali da quelli legati alla salute, e li presenta con ampie analisi.
Innanzitutto, il loro allevamento emette meno gas a effetto serra. Per dare un esempio e rendere l’immagine più concreta: la produzione di un chilogrammo di manzo è responsabile del rilascio di 2850 grammi di gas serra, mentre per un chilogrammo di insetti se ne rilasciano 2. Anche il loro sfruttamento delle risorse è limitato: se per un grammo di proteine di manzo sono necessari 112 litri d’acqua, per uno di insetti ne servono solo 23, mentre per quanto riguarda la terra, i metri quadrati utilizzati per un grammo di manzo sono 254, quelli per gli insetti invece sono 18. Questo perché il loro allevamento non è necessariamente legato alla terra e al suo disboscamento. Sono efficaci anche a convertire un dato peso di alimenti in massa corporale; infatti, per un chilogrammo di grilli bastano 1,7 kg di nutrimento (che può essere organico), mentre quelli necessari a un chilogrammo di carne sono maggiori: 10 kg per il manzo, 5 kg per i maiali e 2,5 kg per i polli.

Allevamento insetti

Allevamento di cocciniglia, un insetto originario dell'America centrale che vive sulle piante cactacee come parassita. È l'insetto con cui si produce uno dei coloranti naturali più diffusi al mondo: il rosso carminio.

  • Alice Tognacci

Un altro elemento molto importante da ritenere è che non sono destinati soltanto all’alimentazione umana, ma anche a quella animale. È importante perché il mangime sarebbe ricavato da un ciclo a basso spreco che parte dagli scarti alimentari e agricoli. Di questo se ne occupa in particolare la mosca soldato nera (Hermetia illucens), che è allevata a partire da rifiuti organici, come letame e liquame animale. In seguito, si trasformano gli insetti in un mangime ricco di nutrienti che si darà poi in pasto al bestiame. La mosca soldato nera, con la mosca domestica e il verme della farina convertirebbero insieme 1.3 miliardi di tonnellate di rifiuti organici all’anno. Questo concime potrebbe sostituire in parte la farina di pesce e di soia, mangimi costosi e dannosi per l’ambiente. Una preoccupazione da parte degli osservatori è che l’allevamento degli insetti venga diretto unicamente o quasi al mangime animale. Bisogna quindi stare attenti ed evitare che questo rafforzi e non limiti gli allevamenti intensivi tradizionali.
Come abbiamo anticipato, i vantaggi non si limitano all’aspetto ambientale, poiché gli insetti offrono numerose proprietà nutritive. Questo alimento è infatti ricco di proteine, grassi polinsaturi (i famosi omega-3 e omega-6), vitamine, ferro, calcio, fosforo e fibre. La grande varietà di insetti (1900 specie commestibili!) porta anche a una varietà di valori, ma se ci concentriamo su quelli in commercio da noi, possiamo dire che per una porzione di 100 grammi di grillo domestico e di tarme della farina si arriva fino ai 25 grammi di proteine, mentre per la locusta fino ai 18 grammi. Valori che si possono benissimo comparare a porzioni di proteine animali. La vitamina B12, vitamina essenziale per lo sviluppo dei globuli rossi nel midollo osseo, e spesso assunta da vegetariani e vegani tramite integratori, è presente anche negli insetti. Il grillo domestico ne contiene 5,4 microgrammi per 100 grammi, cifra dignitosa se comparata per esempio con i 3 microgrammi del salmone cotto.
Non essendo ancora commercializzati in massa rimangono un prodotto piuttosto costoso, come fa notare Lorenzo Albrici, chef del ristorante stellato Locanda Orico, in una puntata de Il Faro del TG. Lo chef ha espresso anche il suo scetticismo rispetto agli insetti, che per il momento non ha intenzione di introdurre nelle sue creazioni culinarie.
È comunque bene conoscere le loro potenzialità e cercare di superare la riluttanza verso questi alimenti, anche perché, da millenni, in altre culture, gli insetti sono già pasto tradizionale per almeno due miliardi di persone; non saremmo quindi noi i primi a provarli!

cavallette cibo

Le chapulines, piatto tipico messicano, sono delle piccolissime cavallette che si mangiano da maggio fino a fine estate/inizio autunno.

  • Alice Tognacci

Le meduse, un superfood che sovraffolla i mari

Se non puoi contenerle, mangiale”. Questo lo slogan di alcuni ricercatori per invogliare la popolazione occidentale a riconsiderare la medusa come alimento. La medusa, come gli insetti, nasconde diverse proprietà nutrizionali e aspetti benefici per l’ambiente. In primo luogo, il numero di meduse in mare sta crescendo in maniera impressionante a causa del riscaldamento e all’acidificazione delle acque marine (causata dall’assorbimento di CO2 presente nell’atmosfera). Questo è un problema sia per il turismo sia per le acquacolture, in difficoltà per la morte dei pesci causata dalle stesse meduse.
Convertirle in cibo può essere quindi una risposta a questo problema. Esse sono costituite per il 95% di acqua e dal 5% da sostanze organiche, ma non per questo sono povere di nutrimenti. Contengono tra i 20 e 53 grammi di proteine su 100 grammi di peso secco, molti minerali quali sodio, potassio magnesio, cloro, zinco, selenio e silicio (tra i 16 e i 60 grammi) e quasi tutte le vitamine. I grassi e le calorie sono trascurabili (tra gli 0,4 e 1,8 grammi di grassi e tra gli 1 e 5 grammi di calorie).
Ci sono preoccupazioni riguardo alla presenza di macro e microplastiche all’interno delle meduse, ma secondo alcuni esperti mondiali di meduse, questo non dovrebbe essere un problema: le meduse sono un organismo multistrato e i residui si situano nei suoi strati più superficiali, parti, queste, non edibili.
Anch’esse sono parte integrante dell’alimentazione di alcuni paesi asiatici e si possono mangiare, per esempio, essiccate sottoforma di chips, ma anche in insalata, trasformate in spaghetti e fritte.

Le alghe, promuoverne il consumo per salute e ambiente

La Commissione europea ha già intercettato le potenzialità delle alghe come alimento salutare e sostenibile, infatti, nel 2022, ha lanciato “EU4Algae", una piattaforma per sviluppare la produzione di alghe e microalghe al fine di promuoverne il consumo. Il loro sviluppo è senz’altro utile sia a livello ambientale come elemento vantaggioso per i nostri mari, sia come prezioso alimento ricco di nutrienti e peculiarità benefiche.
In primo luogo, le alghe sono capaci di “pulire” i mari, assorbendo anidride carbonica e altre sostanze tossiche; in più, sono economiche, dal momento che si riproducono da sole e non hanno bisogno di particolari abilità per la loro coltivazione; e sono promotrici di biodiversità, costituendo un riparo per la popolazione marina.
Da punto di vista alimentare, invece, promuovere il consumo di alghe è consigliato in quanto fonti di vitamine, omega-3 e omega-6, proteine, potassio, magnesio e sono povere di grassi.
Le alghe sono alimenti sempre più presenti nel mercato europeo, anche se continuano ad essere un prodotto piuttosto di nicchia. La più conosciuta tra le microalghe è la spirulina, superfood ampiamente consumato soprattutto sottoforma di integratore. Tra le alghe, invece, possiamo di certo annoverare l’alga Nori (quella usata per il “sushi”); l’alga Kombu, utilizzata spesso nella cucina macrobiotica e durante la cottura dei legumi per renderli più digeribili; l’alga Wakame, simile a “spaghettini” verdi dalla consistenza leggermente gommosa, e la lattuga di mare, già consumata dai pescatori in Sicilia secoli fa.

E la carne coltivata (o sintetica)?

La questione della carne coltivata è delicata e meriterebbe un’analisi più approfondita. Al momento il dibattito è ancora aperto e la ricerca relativamente giovane.
Innanzitutto, la carne coltivata non è da confondersi con la carne “finta”; infatti, quest’ultima è ricavata a partire da alimenti tutti di origine vegetale, mentre quella coltivata è un prodotto di laboratorio e a base di cellule animali. Il processo è complicato, ma in sintesi si inizia dal prelevare dall’animale le sue cellule staminali, per metterle poi in coltura e farle riprodurre e moltiplicare insieme a nutrimenti animali o vegetali. Le cellule man mano crescono riproducendo il tessuto animale e le fibre muscolari, così che il prodotto finale sia la riproduzione di un pezzo di carne.
La produzione della carne sintetica a primo impatto potrebbe sembrare una soluzione al problema dell’inquinamento provocato dall’industria dell’allevamento, in realtà, non è ancora chiaro il vero impatto ambientale che avrebbe il suo intero processo di produzione. Infatti, i bioreattori necessari per la produzione di carne sintetica e la loro temperatura costante di 37°C, insieme alle varie sostanze immesse come la plastica monouso, non sono da trascurare. Secondo Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia e ospite della puntata di Patti chiari "Addio alle carni" infatti, il problema dell’inquinamento dovuto all’allevamento di carne andrebbe soprattutto combattuto con lo sviluppo di piccoli allevamenti sostenibili in sostituzione di quelli intensivi, piuttosto che stimolare il mercato di carni di laboratorio. Questo alimenterebbe anche le piccole produzioni locali, che tengono vivo il settore di un territorio, a discapito della grande distribuzione.
Molti, poi, pensando all’aspetto etico, si dimostrano a favore della carne sintetica perché nel suo processo produttivo non verrebbero uccisi animali né allevati in modo intensivo. Ad oggi, però, il nutrimento utilizzato per le cellule in coltura è siero fetale, prelevato, cioè, dal feto delle vacche gravide dopo la macellazione. Una contraddizione, questa, con la causa animalista. Va detto che ricercatori e aziende hanno studiato alternative a questo siero, per trovarne altri artificiali altrettanto nutrienti e vegetali, ma a oggi non ci sono certezze sull’effettiva e totale componente vegetale del siero stesso. Inoltre, per la proliferazione delle cellule staminali sono necessari degli ormoni sintetici che in Europa sono vietati, ed è per questo che, al momento, la carne sintetica è commerciabile solamente a Singapore e vietata dall’Unione europea. In Svizzera invece la start up Mirai food di Zurigo sta lavorando su bistecche e filetti di manzo coltivati che stanno per entrare in vendita sul mercato di Singapore.
Insomma, siamo di fronte ad una tecnologia relativamente nuova e costosa, ancora bisognosa di sperimentazione.

In generale, l’invito è quello di considerare questi alimenti non come sostituti ai nostri cibi tradizionali, ma come aggiunte che possono portare benefici sia a noi stessi che al nostro pianeta, diventando, quindi, degni supplementi a scelte alimentari sempre più consapevoli.

Fonti:
Agnese Codignola, Il destino del cibo: così mangeremo per salvare il mondo, Feltrinelli, 2020.
ilpost.it
swissinfo.ch
willmedia.it
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