Ritratti e storie

Stefano Polato, lo chef degli astronauti

“Nello spazio non si mangia come ci ha raccontato il cinema”

  • 29 novembre, 11:30
09:50

Stefano Polato, lo chef degli astronauti

RSI Food 28.11.2024, 16:36

  • RSI
Di: Alice Tognacci 

Quella di Stefano Polato è una storia di cucina e di cibo spaziale che sfata tanti miti. Anche per gli astronauti, come per noi “comuni mortali”, il cibo non ha soltanto un ruolo nutrizionale, ma ha un’anima, che aiuta a rimanere con i piedi per terra anche in orbita, grazie a quel gusto che sa di casa.

Niente pillole, camici da scienziati, ampolle o cibi del futuro “snaturati”, bensì un casale, un orto, una cucina e il sapere della buona tavola, sana e bilanciata, nelle mani di uno chef che ha intrapreso questa strada in modo inaspettato. «Quando ho ricevuto la prima telefonata di Samantha Cristoforetti non sapevo neanche in realtà chi fosse perché al tempo non la conosceva nessuno. Mi sono trovato a dover parlare di spazio dalla mattina alla sera, collaborare con nutrizionisti, dietisti, tecnologi alimentari, figure che all’interno del mio lavoro fino a quel momento non erano mai state contemplate». Stefano Polato fa il cuoco dal 2006 e il suo percorso è un po’ inusuale, come lo definisce lui stesso: laureato in conservazione di beni culturali, decide di fare un corso di formazione intensiva di cucina, per poi aprire il suo primo ristorante. Dopo altre esperienze a livello ristorativo, riceve una “chiamata dallo spazio” e così inizia la sua collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea. A oggi conta cinque missioni aerospaziali come consulente per la parte culinaria.

Questa è stata la difficoltà maggiore: riuscire a comunicare con il mondo scientifico, io che arrivavo da una cucina abbastanza tradizionale
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Cibo Spaziale

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Il cibo nello spazio: connubio tra cibo e salute

«Credo che un astronauta abbia sentito la necessità di contattare proprio me per il fatto che ho sempre avuto un approccio alla cucina molto legata alla salute», spiega Polato, che è stato un precursore nel suo ambito, puntando l’attenzione al lato salutistico della cucina, sin dagli inizi della sua attività di cuoco. Oggi si parla molto di culinary medicine e di quanto le scelte alimentari influiscano sul benessere della persona, ma fino a una decina di anni fa era un argomento non così dibattuto. Per gli astronauti la parte nutrizionale è cruciale. Come spiega Polato: «ll nostro obiettivo è quello di garantire all’astronauta non solo i grassi, le proteine e le fibre, ma anche tutti quei micronutrienti che aiutano l’astronauta a rallentare l’invecchiamento cellulare precoce al quale inevitabilmente va incontro durante la sua missione nello spazio». 

Durante una missione ci sono momenti di down psicologico molto importanti. Il cibo può avere la funzionalità di boost psicologico per l’astronauta. 

Cosa si mangia nello spazio?

Vedendo il casale dove lavora lo chef Polato, ai piedi dei Colli Euganei in provincia di Padova, ci si allontana immediatamente dallo stereotipo del “cibo in provetta” a cui siamo inclini a pensare se fantastichiamo sull’alimentazione degli astronauti: «Nello spazio non si mangia come ci ha raccontato il cinema. Il cibo che io produco personalmente per gli astronauti deve essere il più vicino possibile ad un piatto appena fatto, quindi la vera sfida è proprio questa: riuscire a fare un piatto che assomigli molto a livello visivo, olfattivo e gustativo ad un piatto espresso».

Sono pasti costruiti su misura e cuciti addosso alla personalità di ogni astronauta quelli studiati da chef Polato. Ogni ricetta è pensata per soddisfare le esigenze dell’astronauta, sia sotto il profilo nutrizionale che gustativo e spesso ci si basa sugli ingredienti “preferiti” che vengono indicati dall’astronauta stesso, quei prodotti, quindi, che lo avvicinavano alle preparazioni più gradite sulla terra. Un modo per sentirsi a casa, insomma, perché «Il cibo - racconta Polato - oltre ad avere la funzionalità energetica di sostentamento, è necessario per appagare l’astronauta sotto il profilo gustativo e farlo stare bene a livello mentale durante la sua missione».

A livello tecnico, lo scoglio più alto da superare da parte dello chef è rendere un piatto conservabile per 24 mesi a temperatura ambiente, ma che nel momento in cui viene riscaldato e reidratato nello spazio, i sensi possano fare tornare l’astronauta con i piedi per terra per qualche istante. Per rendere possibile tutto questo, Polato ci racconta i passaggi che portano al “cibo dello spazio”: «Iniziamo a fare la ricetta e ne facciamo diverse tipologie (con più spezie, meno spezie, etc.), la bilanciamo sotto il profilo nutrizionale in condivisione con i nutrizionisti ESA e da questo punto si fanno dei test di assaggio e l’astronauta ci dice come modificarla». È in questo momento che si decide che tipo di trattamento far subire alla ricetta per renderla stabile per 24 mesi ed entra in scena la parte più tecnologica del processo produttivo. Come sottolinea Polato, nello spazio non ci sono congelatori o frigoriferi, quindi tutto deve essere stoccabile a temperatura ambiente per lungo tempo. Per farlo ci sono due strade: o si disidrata il prodotto, oppure lo si stabilizza attraverso un trattamento termico. «Diciamo che inizialmente è una cucina quasi tradizionale - aggiunge lo chef - solo a questo punto iniziano a vedersi i sistemi più tecnologici che ci permettono di avere un cibo che possa viaggiare nello spazio».

Il cibo per un astronauta significa ricordarsi un po’ casa sua e aiutarlo anche a migliorare l’umore durante una missione.

La percezione del sapore nello spazio è diversa

In mancanza di gravità, la percezione dei sapori è diversa: alcuni possono risultare più intensi e altri meno.
Gli astronauti, infatti, riferiscono spesso che nello spazio si perde l’appetito. Una parte del perché, come ci ha spiegato bene Polato, è sicuramente psicologica, ma il cambiamento del senso del gusto ha anche cause fisiche.

Un gruppo di scienziati della Royal Melbourne Institute of Technology, in Australia, ricreando le condizioni dello spazio sulla Terra, ha condotto esperimenti per indagare su come il viaggio spaziale possa influenzare il gusto e l’approccio al cibo.
La scienza dice che senza gravità i fluidi corporei non vengono attirati verso i piedi, bensì si spostano verso la testa, provocando una sensazione simile a quella del naso chiuso da raffreddore che limita molto il piacere di assaporare un cibo. Questo studio, però, mette in evidenza come alcune molecole, in realtà, tendono a essere percepite in modo più intenso.

I ricercatori hanno testato in che modo cambia la percezione di tre aromi – vanigliamandorla e limone – facendoli annusare prima in normale ambiente terrestre, poi in ambienti creati in condizioni di microgravità.
I partecipanti, in assenza di gravità, riportano che l’aroma di vaniglia e quello di mandorla risultano più intensi; quello di limone, invece, non verrebbe percepito in modo diverso.
Gli studiosi ipotizzando che i profumi dolciastri tendono a risultare più intensi quando ci si trova in un ambiente isolato.

Di esperimenti e studi relativi a come cambia la percezione del cibo e degli aromi ce ne sono numerosi, basti pensare a quelle prove che vengono fatte - banalmente - anche solo sugli aerei affinché un menù proposto a bordo possa essere gradevole per i passeggeri. Stefano Polato, a conclusione della nostra intervista, a tal proposito ci riporta la sua esperienza: «C’è un episodio che ricordo con piacere durante la prima missione di Samantha Cristoforetti: un sabato pomeriggio mi arriva una telefonata dal Texas ed era proprio Samantha che mi telefonava dalla Stazione Spaziale Internazionale. Oltre a chiedermi come stavo, mi disse che purtroppo la salsa guacamole che avevo preparato per lei era troppo piccante. In realtà non avevo modificato la ricetta di base e questo mi ha fatto pensare che probabilmente il piccante nello spazio può essere percepito in maniera maggiore».

Gli studi in questo ambito sono in continua evoluzione e sono importanti per la definizione del “cibo del futuro” sulla Terra: approfondire le conoscenze sui cambiamenti del nostro senso del gusto in relazione all’ambiente in cui viviamo potrebbe aiutare non solo astronauti, ma ad esempio pazienti ricoverati in ospedale, disabili, militari in missione in ambienti estremi, o anziani. Le ricerche potrebbero portare ad alimenti personalizzati, pensati per migliorare l’apporto nutritivo e, al contempo, l’appetito.

Voglio dare un consiglio a chi sta finendo gli studi per approdare al mondo della cucina o al mondo del food in generale: mai chiudere porte. Se alla telefonata di Samantha Cristoforetti avessi detto no - per paura di non essere in grado di affrontare un nuovo lavoro così fuori dalla mia quotidianità - non saremmo qui oggi a raccontarci queste belle cose.
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