
Egitto: il rischio di essere gay
Laser 11.06.2013, 02:00
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In Egitto la scorsa estate ha aperto il primo giornale gay online, “Ehna”, che significa “noi”. Qualche settimana dopo la pagina è sparita dal web per decisione degli stessi autori. Un secco comunicato: “Siamo stati costretti a chiudere per motivi di sicurezza”. La comunità gay in Egitto si sente ancora a rischio. Gli attivisti non usano il loro vero nome per paura di essere arrestati. Khaled racconta dei gruppi di supporto segreti che organizza al Cairo e della fatica di raccontarsi e di aiutarsi l'un l'altro. Khouloud, egiziana 33enne, racconta dei problemi causati dai suoi capelli corti e dal suo aspetto che diventa ogni giorno più mascolino. Racconta dello scherno per strada: “Cosa sei, un uomo o una donna?” Racconta dei poliziotti che l'hanno picchiata con il calcio dei fucili dicendo “Voi froci siete dappertutto, vogliamo liberarci di voi”. Azza, di origine sudanese, fa il confronto fra la situazione nel suo paese e in Egitto: “A Khartoum davvero rischiavo la vita. Qui al Cairo invece un certo attivismo è possibile. Io avevo la prospettiva di una vita tranquilla negli Stati Uniti: la mia famiglia è emigrata lì. Ma ho deciso di stabilirmi in Egitto perché qui posso essere molto più utile”. Come? Fondando Bidaya, l'unica organizzazione LGBT egiziana, che non ha una sede ma ha solo una pagina Facebook e un'e-mail. Ci si incontra nelle case e nei caffè. “Io devo sempre stare attenta a come mi comporto, come cammino, come parlo. Se non voglio essere aggredita, devo controllarmi. Essere un attivista è pericoloso in sé. Essere un'attivista e contemporaneamente lesbica, è due volte più pericoloso. Perché la polizia vuole colpirti per la tua attività politica e quando scopre che sei gay, ha più pretesti per arrestarti”.
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