Ci troviamo in quella che è stata soprannominata “La valle dei dinosauri”, stiamo parlando della Valle di Fraele, situata in alta Valtellina – si tratta di una sua laterale - ubicata orograficamente nelle Alpi Retiche occidentali, fra Livigno e Bormio.

Cime di Plator: sui loro versanti sono state scoperte le lastre rocciose affioranti con le orme fossili (Valle di Fraele, Parco dello Stelvio)
Proprio in questa valle Elio Della Ferrera, fotografo naturalista professionista, il 14 settembre scorso era impegnato in un’escursione a caccia, fotografica, di cervi e gipeti. Nello scandagliare la montagna alla ricerca delle sue “prede”, il fotografo nota, con il binocolo, un versante roccioso che espone strati quasi verticali: lo incuriosiscono le numerose depressioni che punteggiano quegli strati in lungo e in largo. Alcune sono veramente grandi, fino a 40 centimetri di diametro, altre sono allineate in file parallele.

Camminate lunghe decine di metri sono ben visibili su diverse superfici. Nel sito delle Cime di Plator le orme fossili sono impresse con evidente profondità, il che indica che i dinosauri camminarono su fanghi calcarei resi molto plastici da abbondante presenza di acqua
Per confermare una convinzione che si faceva largo nella sua mente, Elio decide di avvicinare a piedi il lastrone di roccia così curiosamente inciso. Risale faticosamente un ripido pendio e, raggiunta la base di uno degli affioramenti, si ritrova al cospetto di centinaia di orme fossili. Alcune mostrano chiare tracce di dita e di artigli: sono certamente impronte lasciate da grandi animali del passato.

Lo strato di fango calcareo più chiaro, dopo che camminarono i dinosauri, si riempì di altri sedimenti più scuri. Sono le "controimpronte" che hanno protetto le orme fino a poche migliaia di anni fa, poi hanno iniziato a frammentarsi
Potremmo pesare che si tratti di un enorme colpo di fortuna che ha portato il fotografo a scoprire uno straordinario sito di tracce fossili. Ma, non si tratta solo di fortuna, perché l’occhio del fotografo professionista è di quelli educati e allenati a scovare la vita e le sue tracce nelle manifestazioni più disparate. Già un anno fa, nelle vicine Alpi Orobie Valtellinesi, in Val d’Ambria per la precisione, lo stesso Della Ferrera, inserito in un gruppo di ricerca paleontologica, aveva documentato un altro importante ritrovamento di impronte fossili, più piccole e più vecchie di quelle dell’Alta Valtellina.
Colpo di fortuna o meno, il fotografo ha avuto la prontezza di allertare Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano, per confermare la sua ipotesi che potesse trattarsi di orme fossili. Quest’ultimo, viste comparire le prime foto sul cellulare, quasi non crede ai propri occhi: si tratta certamente di orme di dinosauro, in un sito mai segnalato in precedenza.
Immediatamente, si costituisce un gruppo di lavoro che, oltre i rappresentanti degli enti di competenza territoriale, delle belle arti e del paesaggio, dal lato scientifico comprende Fabio Massimo Petti, icnologo, esperto di orme di dinosauro, del MUSE di Trento e il geologo dell’Università degli Studi di Milano Fabrizio Berra. L’obiettivo è di inquadrare subito l’estensione, l’importanza della scoperta e fornire le basi per una rapida protezione legale del sito.

Raccolta di campioni di roccia dello “strato 0”, ovvero quello più ricco di orme. Tagliati in fette sottilissime e osservati al microscopio, questi campioni servono per comprendere l’ambiente in cui camminarono i dinosauri
Questa, sommariamente raccontata, è la cronaca dei fatti succedutisi dopo quel “fortunato” 14 settembre. Ora è il momento di raccogliere le prime valutazioni scientifiche. Le analisi preliminari fatte indicano che le orme sono conservate in rocce dolomitiche del Triassico superiore, risalenti a circa 210 milioni di anni fa. Le orme più numerose hanno una forma allungata e sono state impresse da animali ad andatura bipede. In quelle meglio conservate si riconoscono le tracce di almeno quattro dita. In alcuni casi, davanti alle orme dei piedi si trovano quelle delle mani, che sono più larghe che lunghe e più piccole. In quei punti gli animali si erano probabilmente fermati, appoggiando a terra gli arti anteriori. Queste camminate sono attribuibili a dinosauri prosauropodi: erbivori dal collo lungo e testa piccola, considerati gli antenati dei grandi sauropodi del Giurassico (i brontosauri, per esempio). Di corporatura robusta, i prosauropodi possedevano artigli appuntiti sia sulle mani che sui piedi. In alcune specie, gli adulti potevano raggiungere una lunghezza di 10 metri.

Alcune orme di prosauropode raggiungono i 40 cm di diametro.
Allargando lo sguardo, il ritrovamento di orme di dinosauro non è nuovo nella regione. Al di là del confine, a una quindicina di chilometri, nel Parco nazionale svizzero , già nel 1961 e negli anni a seguire furono scoperte lastre di roccia sedimentaria con tracce di prosauropodi risalenti a 200 milioni di anni fa. Le rocce che oggi costituiscono i versanti molto ripidi delle Alpi orientali al di qua e al di là della frontiera si sono formate fra 227 e 205 milioni di anni fa a partire dall’accumulo di sedimenti calcarei in ambienti simili a quelli delle aree tropicali attuali, con piane di marea che si perdevano all’orizzonte, per centinaia di chilometri. Su queste rive lambite dalle calde acque dell’Oceano Tetide camminarono i dinosauri, imprimendo le loro orme nei fanghi calcarei. Un tempo protette da uno strato di altri sedimenti, oggi le orme si svelano grazie all’erosione.

Ricostruzione paleoartistica di come poteva apparire l’ambiente di circa 210 milioni di anni fa, oggi conservato nelle rocce della Valle di Fraele. Lungo la riva dell’Oceano di Tetide, un branco di dinosauri prosauropodi cammina su una estesa piana carbonatica fangosa, durante la bassa marea
Il ritrovamento del Parco nazionale dello Stelvio è straordinario per tutta una serie di motivi, fra i quali, per esempio, annoveriamo l’altissima densità delle tracce (fino a 4-6 orme per metro quadrato) che non è cosa comune e che mostra che i dinosauri camminarono in branchi composti da molti individui. Anche l’elevata varietà dimensionale delle orme è notevole e indica una grande diversità di taglia dei dinosauri. Inoltre, le lastre di roccia sedimentaria segnate dalle tracce di dinosauri affiorano su almeno sette crinali diversi, con decine di strati sovrapposti che emergono dai detriti di frana lungo la Valle di Fraele sulla sponda meridionale dei Laghi di Cancano. Gli strati sovrapposti, impressi di orme fossili, costituiscono anche l’occasione per studiare l’evoluzione delle specie di prosauropodi che si sono succedute sulle spiagge durante alcune decine di milioni di anni. Ad oggi si contano circa trenta punti di affioramento, distribuiti su una distanza di quasi cinque chilometri. Tutti questi affioramenti formano uno dei siti a orme di dinosauro più ricchi ed estesi del mondo, almeno per il Triassico, che potenzialmente potrà alimentare per anni la ricerca scientifica mirata a conoscere meglio gli abitanti e le abitudini di vita di questo periodo.

Dettaglio di uno strato di dolomia con le camminate di diversi dinosauri evidenziate da falsi colori. I passi lenti e cadenzati indicano una andatura tranquilla da sinistra verso destra
L’eccezionale scoperta di tracce fossili nel Parco nazionale dello Stelvio si affianca al ben noto sito UNESCO transnazionale del Monte San Giorgio, ciò disegna un’area allargata di importanza mondiale a cavallo della linea Insubrica e del confine italo-svizzero per lo studio e la descrizione della vita nel periodo Triassico.
https://rsi.cue.rsi.ch/info/ambiente/Dai-fossili-alla-realt%C3%A0-aumentata--2914203.html







