A Las Vegas ci sono i matrimoni lampo. A Dubai, i divorzi lampo. Marina* non lo sapeva quando ha lasciato il lavoro per seguire il marito, trasferito dalla sua azienda prima in Sudafrica e poi a Dubai, dove hanno cresciuto il figlio.
Nel 2023, il marito vuole divorziare subito e direttamente sul posto. Marina insiste per rimandare il divorzio al loro ritorno in Svizzera, ma lui si oppone. Un giorno, riceve una convocazione, tramite un semplice SMS in arabo, per un’udienza online davanti a un tribunale locale.
La sua esperienza da espatriata si trasforma in un incubo, una situazione comune a molte donne costrette a divorziare fuori dal quadro giuridico del loro Paese d’origine. Marina racconta al microfono della RTS di aver avuto l’impressione di essere “in un brutto film”.
“Non sapevo nemmeno che avesse avviato la procedura a Dubai. Sono stata convocata via SMS, l’udienza era online. Tutto era in arabo, il traduttore traduceva solo le domande del giudice”. Aggiunge che la videocamera del magistrato era spenta e il marito assente. “Online non si capisce nulla, e tac, è fatto”. Il divorzio è stato pronunciato in un mese e mezzo.
Dubai, la “Las Vegas del divorzio” ( Tout un monde, RTS, 19.09.2025)
Questi divorzi rapidi sono presentati come un progresso dagli Emirati Arabi Uniti, che nel 2022 hanno adottato una nuova legge sullo statuto civile personale, pensata per gli stranieri non musulmani in materia di matrimonio, divorzio ed eredità, in modo che gli espatriati non siano più soggetti alla legge islamica, alla sharia.
Si tratta di una riforma volta a sedurre i lavoratori occidentali, rileva Karim el Chazli, esperto di diritto dei Paesi arabi presso l’Istituto svizzero di diritto comparato. “L’obiettivo è attrarre talenti stranieri”, sottolinea. Nella logica degli Emirati, un divorzio semplice, rapido e online rappresenta la modernità e rafforza la loro attrattiva. La legge consente così di divorziare senza dover dimostrare un danno o le colpe del coniuge.
Influenza della sharia
Anche se la legge, in teoria, si presenta come meno conservatrice rispetto al diritto islamico, che fino al 2022 si applicava a tutti, musulmani e non, nella pratica gli uomini continuano ad essere avvantaggiati, poiché la sharia continua a influenzare le sentenze emesse.
Marina ha così perso l’autorità parentale, con il padre che detiene il passaporto del figlio, racconta. Molte donne si ritrovano quindi intrappolate: partire senza i figli è impensabile, ma portarli via senza il consenso del padre equivale a un rapimento. “I padri possono anche imporre un travel ban, cioè una restrizione all’uscita dal Paese. I bambini restano bloccati”.
La legge del 2022 prometteva parità tra i coniugi, ma nei fatti il diritto islamico talvolta prevale, osserva Karim el Chazli: “Il testo non è esaustivo. E in caso di lacune, i giudici applicano le regole locali favorevoli al padre”.
La condivisione dei beni, un concetto inesistente
Una cittadina svizzera potrebbe chiedere l’applicazione del diritto svizzero, ma solo traducendo a proprie spese l’intero Codice civile, un’operazione costosa. Senza alcuna garanzia che il giudice ne tenga conto. Per lui è molto più semplice applicare il diritto locale, che conosce, piuttosto che un diritto straniero che non padroneggia. Ad esempio, la condivisione dei beni tra coniugi è un concetto che non esiste nel diritto islamico.
Un altro ostacolo è che molte donne espatriate dipendono finanziariamente e amministrativamente dal marito, poiché il loro visto è legato al suo. In mancanza di risorse, molte rinunciano a intraprendere procedure separate, necessarie per ottenere la custodia dei figli, gli alimenti o la divisione dei beni.
Un gruppo di sostegno
Nel 2016 Isabelle Tiné ha creato un gruppo su Facebook che raccoglie numerose testimonianze di donne cadute in situazioni di precarietà dopo separazioni difficili vissute all’estero. Secondo lei, prima di partire, ogni donna espatriata dovrebbe consultare un avvocato esperto in diritto internazionale privato per prevenire questo tipo di problemi. Le coppie dovrebbero firmare un contratto che stabilisca il diritto applicabile in caso di divorzio, l’affidamento dei figli, la divisione dei beni comuni e del secondo pilastro.
Tiné ritiene inoltre che le aziende abbiano una parte di responsabilità e dovrebbero informare le coppie espatriate sulle conseguenze di un eventuale divorzio.
Dopo il suo ritorno da Dubai, Marina ha dovuto tornare a vivere, a 49 anni, dai genitori in Ticino per ricominciare da capo. “Le prospettive, alla mia età, di trovare un lavoro non sono molto incoraggianti, soprattutto perché non lavoro da 12 anni”. Sostenuta dal figlio, che ha lasciato Dubai per studiare in Svizzera, ora vuole combattere davanti alla giustizia elvetica per ottenere la non riconoscibilità della sentenza di divorzio emessa negli Emirati e avviare una procedura più equa in Svizzera.
* nome fittizzio
Una questione identitaria
Alice 20.09.2025, 14:35
Contenuto audio