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“L’egemonia di Israele può mettere a rischio la stabilità regionale”

Mario del Pero, professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all’Institut d’études politiques SciencesPo di Parigi, analizza le sfide dietro la collaborazione tra Washington e Tel Aviv

  • Ieri, 15:59
  • Ieri, 16:07
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Netanyahu e Trump, qui in un'immagine risalente al 2020

  • archivio keystone
Di: RG/sdr 

L’egemonia armata di Israele nella regione - e rifornita dalla Casa Bianca di armi e tecnologia - porta a insidie e scenari che ben conosce lo stesso presidente statunitense Donald Trump, il quale ha lasciato che Tel Aviv agisse in modo autonomo, per poi tornare a mettere pressione sull’Iran chiedendogli di tornare al tavolo dei negoziati. Abbiamo chiesto a Mario Del Pero, professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all’Institut d’études politiques SciencesPo di Parigi, in che modo è possibile leggere questa strategia.

“Credo ci siano diverse chiavi di lettura. La prima - spiega del Pero alla RSI - è che Trump è volubile e cambia idea rapidamente. Questo si lega al fatto che dentro l’amministrazione sappiamo essersi voci influenti, a partire dal Segretario di Stato Rubio che sostengono Netanyahu e che hanno posizioni molto dure nei confronti dell’Iran. Quindi appoggiano questa azione. La terza chiave di lettura e che forse Trump pensa, e spera, che la pressione dell’azione militare israeliana possa essere utile nel negoziato, indurre l’Iran a capitolare e accettare le condizioni poste dagli Stati Uniti”.

Venerdì gli Stati Uniti hanno definito l’azione di Israele unilaterale, Trump ha poi comunicato che l’Iran aveva la possibilità di concludere un accordo ma non lo ha fatto. Israele ha quindi davvero agito in modo autonomo?

“No, chiosa il professore. Il livello di integrazione militare dell’intelligence tra Stati Uniti e Israele è talmente profondo, e talmente organico, che è inimmaginabile che un’azione di questo tipo non abbia avuto una qualche un qualche tipo di approvazione da parte degli Stati Uniti o di aiuto americano. Poi sappiamo, lo abbiamo visto bene in quasi un anno e mezzo successivo al 7 ottobre, che Israele ha la capacità di forzare la mano, di obbligare in una certa misura gli Stati Uniti a seguirlo o di non seguire e rispettare le indicazioni le sollecitazioni che vengono da Washington. E forse ciò è accaduto anche in questa occasione”.

A inizio mandato Trump aveva promesso di porre fine alle guerre. Ora non si trova in una situazione che sembra essere esattamente l’opposto?

“Sì, Trump già nove anni fa - quando fu eletto la prima volta - si presentava come un presidente contrario a una presenza attiva degli Stati Uniti, una presenza militare, anti-interventista, anti-internazionalista, impropriamente definito isolazionista. Questa seconda amministrazione statunitense sembra avere una linea diversa. Ha abbracciato, almeno a livello retorico, un atteggiamento quasi neo imperiale. E in fondo lo schema di pacificazione israeliano per il Medio Oriente ha caratteristiche neo imperiali in cui Israele è egemone, dominante: si espande presumibilmente a Gaza, nel sud del Libano, in Cisgiordania e Trump sembra assecondare questa posizione. Il rischio è, appunto, di un’instabilità regionale e globale che si fa ancora più elevata con altri fronti di guerra terribili che si aprono in aggiunta a quelli che già esistono”.

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Scambio di attacchi fra Israele e Iran

Telegiornale 14.06.2025, 12:30

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