Israele si trova coinvolto in diversi fronti di guerra con Gaza, Libano, Yemen e appunto ora con l’Iran. Un conflitto per molti analisti potenzialmente di breve durata che potrebbe nascondere delle insidie proprio nel fattore tempo. Il Radiogiornale ne ha discusso con l’esperto di sicurezza Pietro Batacchi, direttore della rivista italiana “Difesa”, per capire dapprima se le capacità militari di Tel Aviv sono limitate.
“Le capacità militari israeliane - spiega Batacchi - non sono assolutamente limitate: Israele ha una superiorità tecnologica e convenzionale, rispetto a tutti i suoi vicini enorme. Il problema di Israele è la lunga durata di eventuali conflitti, che mette a dura prova il sistema della mobilitazione. Ricordiamoci che quando parliamo di riservisti parliamo di persone che comunque per lunghi periodi poi vengono sottratti alle normali attività economiche, e Israele è un Paese molto piccolo. È chiaro che tutto questo in qualche modo può essere attutito con il supporto americano che dal 7 ottobre non è mai mancato. È stato costante da un punto di vista militare, ma anche da un punto di vista economico e finanziario. Dal 7 ottobre 2023 al maggio di quest’anno si calcola che gli americani abbiano trasferito circa 90’000 tonnellate di equipaggiamento militare e attrezzature militare a Israele. Ecco, Israele può fare questo, può far sì che la sua superiorità tecnologica e convenzionale sia durevole e sostenibile perché dietro di sé ha ovviamente l’America, altrimenti non si spiegherebbe”.
L’Iran nella notte ha risposto con missili balistici ma la portata degli attacchi è stata apparentemente ridotta. In che modo e fino a che punto l’Iran parte svantaggiato in questa guerra?
“Parte svantaggiato - risponde l’esperto - per una serie di motivi. Il primo è che ha perso buona parte della leva che era rappresentata dai suoi cosiddetti “proxies” regionali. Hezbollah è stato pesantemente indebolito nella guerra con Israele. La Siria di fatto non esiste più, oggi è un Paese che non costituisce una minaccia perché è sostanzialmente disarmato e questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto è che anni e anni di embarghi ed isolamento non hanno consentito all’Iran di avere accesso a certe tecnologie. Ha cercato di fare da solo e ha ottenuto una serie di risultati nella missilistica, nella balistica, però ci sono lacune enormi nelle capacità militari iraniane e poi lo stesso regime non è quel monolite che vorrebbe sembrare. Ci sono degli spifferi, delle crepe evidenti e questo è un altro elemento di debolezza”.
In un video che è stato rilasciato dal Mossad si vede come gli attacchi israeliani siano stati condotti dall’interno dell’Iran, con sistemi d’attacco di precisione progettati per distruggere appunto le difese aeree iraniane. Cosa racconta questa strategia?
“Il regime non è un monolite, conclude il direttore, Israele può contare su corruttele interne, su dissidenze interne allo stesso regime ma anche su vasti appoggi e ramificazioni nel paese, nella dissidenza, nell’opposizione, nei gruppi separatisti. E poi soprattutto, Israele può contare su appoggi nei Paesi vicini significativi. Insomma, gli israeliani, lo sappiamo, sono di casa nel Kurdistan iracheno, sono di casa in Azerbaigian e questo consente di avere logistica, di infiltrare “commandos” e comunque sul terreno gli israeliani nel corso di questi anni hanno dimostrato di avere libertà di azione. Quel video è anche un segnale agli stessi cittadini iraniani: guardate, noi possiamo disporre al vostro interno come e quando vogliamo”.