A una manciata di chilometri dal confine con l’Egitto, in una zona remota, poco abitata, a un paio d’ore d’auto da Tel Aviv, non facilmente raggiungibile nemmeno per le delegazioni consolari delle ambasciate, sorge la gigantesca struttura all’interno della quale c’è anche un carcere di massima sicurezza, Ktzi’ot.
Gli oltre 470 attivisti della Global Sumut Flotilla, intercettati l’altra notte dalla marina israeliana, dal porto di Ashdod sono stati portati in questo penitenziario. Le loro condizioni in generale sono buone, lo spirito è elevato, ma ci sono delle difficoltà soprattutto sull’acqua, il cibo e qualcuno di loro denuncia anche di avere subito violenzea psicologiche, non maltrattamenti fisici, riferisce l’inviato della RSI Emiliano Bos che ha raccolto queste informazioni dagli avvocati di Adalah, un gruppo che ha assunto il patrocinio legale per tutti.
“Ci sono due persone che necessitano di cure mediche, ma non possono portare all’interno del carcere i loro medicamenti”, ha affermato l’avvocata Suhad Bishara, ai microfoni del Telegionale. “Le persone sono stanche, soffrono la fame, hanno poca acqua, ma in generale l’atmosfera è buona, anche perché sanno che presto saranno rimpatriati. Ma insistono che la loro situazione non è il problema principale, bensì la situazione drammatica che c’è in questo momento a Gaza. Questa, dicono, è la loro missione per cui sono venuti qui”.
Tra gli attivisti detenuti, ci sono anche 19 svizzeri, di cui tre ticinesi. A proposito delle loro condizioni, il delegato del team dell’ambasciata svizzera, che oggi è rimasto per circa 8 ore nella struttura, non era autorizzato a parlare ai media, si è limitato a confermare che le condizioni dei connazionali possono essere definite generalmente buone: ”Sì, per quanto ho potuto vedere”. Riferendo della visita, in un comunicato, il Dipartimento federale degli affari esteri ha fatto riferimento ad alcuni non meglio precisati incidenti che avrebbero spinto le autorità del carcere israeliano a interrompere la visita della delegazione svizzera composta da due persone.
Fonti, raccolte da Bos, dicono che questi incidenti, che il DFAE non precisa, sarebbero dei canti “Free Palestine” Palestina libera. Evidentemente le autorità israeliane li hanno considerati un’offesa o qualcosa che loro non tollerano. Le autorità consolari non torneranno nel carcere domani, sabato, come invece faranno gli avvocati con le loro “udienze”. Secondo Suad Bishara, direttrice legale di questa organizzazione, tra sabato e domenica potrebbero iniziare già i rimpatri. Si tratta anche di organizzare, di trovare i voli e di garantire il rientro