ANALISI

Alaska: un vertice per il disgelo

L’incontro tra Trump e Putin permetterà di capire se inizierà una nuova fase nei rapporti tra USA e Russia - Il percorso appare comunque ancora lungo e irto di ostacoli

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Il vertice di Anchorage sarà utile per comprendere quanto approfonditamente hanno lavorato gli sherpa nel corso della primavera e dell’estate

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli 

L’incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump in Alaska arriva sei mesi dopo l’insediamento di quest’ultimo alla Casa Bianca e il suo esito farà capire se si sarà trattato della prima tappa concreta per la rimodulazione dei rapporti tra Russia e Stati Uniti e se avrà potuto fornire le basi per l’avvio del processo di pacificazione in Ucraina. Se le guerre non possono finire certo nel giro di ventiquattro ore, non basterà nemmeno un faccia a faccia tra due presidenti e altrettante illustri delegazioni per definire i dettagli di un percorso che appare comunque ancora lungo e irto di ostacoli. Il vertice di Anchorage sarà comunque utile per comprendere quanto approfonditamente hanno lavorato gli sherpa nel corso della primavera e dell’estate, dopo che a febbraio vi era stato il primo contatto telefonico fra i due capi di Stato.

Le tele della diplomazia

Ai noti incontri fra i due inviati speciali, Kirill Dimtriev e Steven Witkoff, si deve presumere che dietro le quinte la diplomazia abbia tessuto le tele meno visibili, ma più concrete, proprio per spianare la strada a un risultato positivo del summit, almeno per quanto riguarda il nodo delle relazioni bilaterali; altra questione quella del conflitto ucraino, i cui principi di risoluzione saranno concordati progressivamente tra Mosca e Washington e dovranno essere discussi poi con Kiev: tenendo ben presente il debole potere contrattuale di Volodymr Zelensky, supportato sì dall’Unione Europea e dai paesi volenterosi, ma impossibilitato nel dettare qualsiasi condizione. Storicamente i conflitti possono terminare in vari modi e con varie tempistiche, ma è chi vince sul campo che in definitiva disegna sempre la cornice postbellica in cui il perdente potrà muoversi.

I rapporti su due binari

Due sono appunto i binari in cui sono incanalate le relazioni tra il Cremlino e la Casa Bianca: quello più ampio e generale del superamento dello scontro avviato già con la presidenza di George Bush all’inizio degli anni Duemila, tra allargamento della Nato ad est e rivoluzioni colorate nello spazio postsovietico, e quello del duello in Ucraina, proseguito con Barack Obama e Joe Biden, dalla defenestrazione di Victor Yanukovich a Kiev alla prima guerra nel Donbass nel 2014 e all’invasione russa su larga scala nel 2022. La presidenza di Trump, in evidente antitesi con le precedenti, si è distinta dal 2025 per un netto cambiamento di rotta e il vertice in Alaska rappresenta una sorta di spartiacque: un successo, anche parziale, consentirà il proseguimento della revisione dei rapporti tra Russia e USA in chiave costruttiva, mentre il fallimento potrà ricondurre a un rinnovo della polarizzazione e a un prolungamento della guerra in Ucraina.

Le priorità del Cremlino

I segnali della vigilia sono stati tutto sommato positivi, almeno per quel che riguarda i diversi dossier di collaborazione bilaterale futura possibile, con in primo piano i vari aspetti di quella economica; su quello ucraino rimangono invece molte incognite, a dispetto della chiarezza delle posizioni del Cremlino e del fatto che la Casa Bianca ha assunto il chiaro ruolo di mediazione, abbandonando quello di primo supporter militare e finanziario di Kiev. La disponibilità di Putin a fare concessioni è limitata, considerando il fatto che la Russia sta vincendo la guerra; è l’Ucraina quindi che per questo sarà costretta a compromessi al ribasso, nel caso di un accordo di massima tra Mosca e Washington. Per la Russia secondari sono i temi territoriali, primari quelli politici, con il futuro neutrale dell’Ucraina, fuori dalla Nato. In questo senso la linea del Cremlino è netta, partendo anche dalle ragioni profonde che hanno innescato sia la prima guerra nel 2014 che la prosecuzione iniziata tre anni fa.

L’irrilevanza dell’Europa

Irrilevante in questo contesto il posizionamento dell’Unione Europea e dei paesi volenterosi, sempre a fianco di Zelensky, con Bruxelles e buona parte delle cancellerie europee imprigionate in una visione del conflitto spesso lontana dalla realtà, fatta di molta propaganda e tante promesse mancate che stanno pesando in primo luogo su Kiev e sulla popolazione ucraina, stremata e, come dicono i sondaggi, favorevole in parte a un’intesa anche con concessioni alla Russia. L’aggressione continua, non è stata fermata, sempre più territori sono passati sotto il controllo di Mosca, le speranze di una controffensiva sono ormai state abbandonate di fatto da due anni, il sostegno occidentale militare si è ridotto drasticamente e non è mai stato sufficiente se non per difendersi, al di là delle retorica della riconquista delle regioni occupate e dalla sconfitta sul campo della Russia che avrebbe dovuto disintegrare il sistema putiniano. La narrazione occidentalista dei leader europei è stata superata quest’anno dall’effervescente Realpolitik del presidente statunitense, ma soprattutto dai fatti. Resta da vedere quanto sarà veramente decisivo il faccia a faccia tra Putin e Trump e che opzioni aprirà davvero per la risoluzione del conflitto.

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