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Clima: inondazioni in Messico, polemiche sulla presidente Sheinbaum

Una catastrofe naturale si è trasformata in un problema politico per la presidente

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Messico: polemiche dopo le alluvioni

Telegiornale 19.10.2025, 12:30

Di: Laura Daverio, da Città del Messico

Dal 6 al 9 ottobre, cinque giorni di piogge torrenziali hanno colpito il Messico con una violenza eccezionale, provocando frane e inondazioni. Il bilancio è di almeno 78 morti, 48 dispersi e oltre 100’000 abitazioni danneggiate o distrutte. Ma alla tragedia umana si affianca ora un altro fronte: quello delle responsabilità politiche legate alla gestione dell’emergenza.

La presidente Claudia Sheinbaum, che ha appena concluso il primo anno del suo mandato con un ampio consenso popolare, si trova ad affrontare la prima emergenza nazionale della sua amministrazione. Le critiche si concentrano soprattutto sulla gestione dell’allerta meteo e sulla preparazione dei soccorsi.

Secondo la presidente, le autorità locali erano state informate per tempo del rischio ma nessuno avrebbe potuto prevedere una tale intensità delle precipitazioni. Tuttavia, nei territori colpiti, la narrazione è spesso diversa. Molti residenti raccontano che l’allarme è arrivato troppo tardi, in alcuni casi quando l’acqua aveva già invaso le strade. E anche dove l’avviso è stato ricevuto, mancavano informazioni su cosa fare, dove andare, come mettersi in salvo.

Si è tornati a discutere l’assenza di una struttura nazionale dedicata ai disastri naturali. Il Fondo per i Disastri Naturali (FONDEN) è stato eliminato dal precedente presidente, Andrés Manuel López Obrador, con l’appoggio di Sheinbaum. Il motivo ufficiale era la lotta alla corruzione nelle amministrazioni pubbliche. Ma la riforma non ha portato a un miglioramento della trasparenza: al contrario, ha significato tagli ai bilanci e lo smantellamento di strutture operative essenziali. Le competenze per la gestione dei disastri sono state trasferite all’esercito, che durante la sua presidenza ha assunto un gran numero di incarichi civili.

Il contesto globale complica ulteriormente la situazione. Il Messico è uno dei Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico, soggetto a fenomeni estremi sempre più frequenti: siccità, uragani, ondate di calore e, come in questo caso, piogge torrenziali.

Claudia Sheinbaum ha un profilo tecnico che farebbe pensare a un forte impegno su questi temi: è laureata in fisica, ha un master e un dottorato in ingegneria energetica, e ha partecipato ai lavori dell’IPCC, il comitato delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, premiato con il Nobel per la Pace nel 2007. Ma in politica ha seguito la linea del suo predecessore, favorevole all’espansione delle fonti fossili e alla costruzione di grandi opere ad alto impatto ambientale.

Il paragone con il passato recente è inevitabile. Due anni fa, quando l’uragano Otis colpì duramente Acapulco — un evento raro per quella regione — l’allora presidente López Obrador scelse di non visitare subito le aree devastate, delegando l’intervento allo Stato federale. Solo dopo le forti critiche decise di recarsi sul posto. La sua risposta all’emergenza si limitò in gran parte a trasferimenti diretti di denaro ai cittadini, una misura che in molti giudicarono una soluzione rapida per contenere il malcontento, senza però affrontare le cause profonde e le vulnerabilità strutturali del territorio.

Sheinbaum ha scelto un approccio diverso: ha visitato personalmente le zone più colpite, ascoltato la popolazione e promesso ordine, pulizia e ricostruzione. Ha dichiarato che i fondi ci sono e che lo Stato farà la sua parte. Una scommessa politica importante, che potrebbe rafforzare o indebolire la sua leadership a seconda della capacità di mantenere le promesse.

Rimane però un nodo irrisolto: la reticenza della presidente a collegare esplicitamente eventi estremi come questo ai cambiamenti climatici. Ammettere tale legame significherebbe aprire un confronto scomodo all’interno del suo partito, avviare riforme complesse, definire nuovi protocolli di emergenza e pianificare investimenti strutturali a lungo termine. Implicherebbe anche una presa di distanza dalle politiche energetiche adottate negli ultimi anni. È una sfida che, per competenze e formazione, Sheinbaum sarebbe tra le più adatte ad affrontare, ma che finora ha scelto di non intraprendere.

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