Reportage

Creta e la nuova rotta dei migranti

Gli sbarchi sono in aumento sulla più grande isola greca, finora poco interessata dai flussi stabiliti dei trafficanti, ma mancano le strutture adeguate

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RG 12.30 del 02.05.2025 - Il servizio di Elena Kaniadakis

RSI New Articles 02.05.2025, 12:53

  • Keystone
Di: Elena Kaniadakis 

In un capannone fuori Canea – seconda città dell’isola greca di Creta – un gruppo di uomini siede per terra, il personale medico gli si affolla intorno per verificare le condizioni di salute.

“Non si può passare, né parlare con loro”, avverte il custode del capannone, immerso tra gli ulivi della campagna.

È qui che vengono portati molti dei migranti approdati a Creta. L’isola più grande della Grecia, affacciata sul mare libico, si trova dall’anno scorso al centro di un’inedita rotta migratoria. Nei primi mesi di quest’anno circa 2’500 persone sono sbarcate nell’isola ellenica, dopo avere viaggiato su pescherecci o gommoni salpati dalla Libia. L’anno scorso sono state in tutto 4’500.

Sbarchi che aumentano a ritmo sostenuto: basti pensare che nel 2023 meno di 800 migranti sono arrivati nell’isola, fino ad allora poco interessata dalle rotte stabilite dai trafficanti.

Il mare libico è tempestoso e la traversata piena di insidie: 48 persone risultano morte o disperse nei naufragi a largo di Creta dell’anno scorso. Per questo a rischiare il viaggio sono principalmente uomini: egiziani, pachistani e bangladesi, soprattutto, ma anche sudanesi.

“Arrivano con piccole barche di legno, non adatte a traversate così grandi, su cui le persone sono ammassate senza giubbotti di salvataggio”, spiega Emmanouil Athousakis, presidente dell’Unione della guardia costiera cretese.

“In alcuni casi possono avvenire anche tre sbarchi nel giro di ventiquattro ore. E con l’arrivo dell’estate, e il miglioramento delle condizioni meteorologiche, siamo preoccupati che il numero continui ad aumentare”, spiega.

Molti barconi si arenano nel punto più a sud d’Europa, l’isolotto di Gavdos, che dipende amministrativamente da Creta. Da lì i migranti soccorsi dalla guardia costiera vengono trasferiti in strutture temporanee nei pressi delle città di Canea o Candia.

Al contrario delle isole greche dell’Egeo – dove si trovano gli hotspot finanzianti dall’Unione europea per i richiedenti asilo partiti dalle coste turche – Creta non dispone di strutture di accoglienza. Per questo i migranti vengono trattenuti lo stretto indispensabile, pochi giorni, e poi inviati con i traghetti nella Grecia continentale.

“Le domande di asilo vengono registrate direttamente lì, nei campi vicino Atene o Salonicco”, spiega Maria Sidera Maraka , avvocata cretese che assiste alcuni migranti. “A Creta le persone vengono alloggiate in strutture inadeguate, parliamo di edifici abbandonati: i richiedenti asilo dormono per terra, ci sono pochi bagni, e spesso i vestiti sono offerti dai cittadini solidali”.

Il 14 giugno di due anni fa, un barcone partito dalla Libia con 700 persone si è ribaltato a largo del Peloponneso, a sud della città di Pylos. I superstiti, solo 104, hanno accusato la Guardia costiera ellenica di avere fatto ribaltare il peschereccio, nel tentativo di trainarlo verso l’area di soccorso di competenza dell’Italia.

“Dopo Pylos, penso che molti migranti in partenza dall’Africa scelgano la strada più veloce per raggiungere l’Europa e quindi quella che dalle coste libiche porta a Creta”, commenta l’avvocata Maraka.

Christina Iannari, traduttrice, offre supporto ad alcune delle persone sbarcate nell’isola ellenica. Alla RSI spiega che: “La maggior parte sono egiziani che dicono di volere rimanere a lavorare in Grecia perché i salari nel loro paese sono da fame”.

Tra gli egiziani è raro che venga concesso l’asilo, per questo in molti finiscono per rimanere in Grecia senza documenti, dopo che la loro richiesta è stata respinta. “Lavorano in nero, soprattutto nell’edilizia, sostenuti da una speranza: quella, dopo anni, di essere regolarizzati”, racconta Iannari.

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