Papa Francesco racconta in questa intervista esclusiva alla RSI i suoi dieci anni di pontificato. Svela cosa lo porterebbe alle dimissioni. Parla della “terza guerra mondiale il cui campo di battaglia è l’Ucraina” ed elogia la neutralità della Svizzera: “Non è acqua distillata, non è lavarsi le mani, è una vocazione di equilibrio, di unità”. E ancora i rapporti con Ratzinger, i ricordi del giorno dell’elezione, i suoi pensieri sull’aldilà.
Francesco non pensa alle dimissioni, ma spiega cosa eventualmente lo spingerebbe a darle: “Una stanchezza che non ti fa vedere chiaramente le cose. La mancanza di chiarezza, di sapere valutare le situazioni”. Da dieci anni non vive più a Buenos Aires. Di quel tempo gli manca “camminare, andare per la strada”. Ma sta bene a Roma, “una città unica”, seppure le preoccupazioni non mancano. Siamo “in una guerra mondiale”, dice. “È cominciata in pezzetti e adesso nessuno può dire che non è mondiale. Perché le grande potenze sono tutte invischiate. E il campo di battaglia è l’Ucraina. Lì lottano tutti”. Il Papa racconta che Putin sa che lui vorrebbe incontrarlo, “sa che io sono a disposizione, ma lì ci sono tutti interessi imperiali, non solo dell’impero russo che è imperiale dal tempo di Pietro II, Caterina II, ma degli imperi di altre parti”.
Santo Padre, iniziamo con quel saluto con cui Lei si presentò la sera del 13 marzo 2013 dopo l’elezione. Che cosa ricorda di quel momento, la folla, Lei vestito di bianco per la prima volta, quel “Buonasera”...?
“Ricordo che nella penultima votazione – prima erano state fatte due votazioni – ero già molto in alto, salivo – saliva il suo nome, ndr – ed ero tranquillo. Non so perché, inconsciamente forse, si è avvicinato un cardinale bravo, a cui voglio molto bene, morto adesso, Claudio Hummes, che mi ha detto: “Stai tranquillo, così fa lo Spirito Santo”. E poi, quando ho raggiunto il numero, si è avvicinato, mi ha abbracciato: “Non dimenticarti dei poveri”. E da lì è venuto il nome, Francesco. Questo lo ricordo benissimo”.
Prima non aveva pensato a questo nome? Gli è venuto in mente lì?
“Lì è il momento… come ha detto dei poveri: Francesco, va bene, avanti!”.
L’ha vissuto normalmente, insomma, quel momento?
“Sì, davvero, una cosa… Poi dal balcone, la gente che pregava. Abbiamo pregato insieme per Benedetto, per il futuro, ma una cosa tranquilla”.
Non ha sentito il peso della responsabilità?
“No, sono “incosciente”. Delle volte non me ne accorgo”.
Quando è stato eletto il cardinale Hummes le ha detto si ricordi dei poveri…
“Subito, al momento, mentre continuava lo scrutinio e ho raggiunto il numero. Lo scrutinio continuava e lui lì si è avvicinato”.
Eravate vicini, seduti vicini?
“Lui era dietro. Mentre nell’altra votazione mi ha detto: “Non avere paura, così fa lo Spirito Santo”.
È vero che quando è venuto a Roma aveva pronta la valigia per tornare, che non immaginava di essere eletto?
“Mai, perché quando sono stato fatto cardinale mi hanno regalato due talari, quella nera filettata e quella rossa. A Buenos Aires avevo sistemato quelle di Quarracino – il cardinale Antonio Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires dal 1990 al 1998, ndr – e ho lasciato le altre due talari qui, perché ero membro di cinque o sei Congregazioni e delle volte dovevo venire. Erano qui dalle Suore Povere Bonaerensi. E adesso le due talari le hanno ancora loro. Per questo avevo una valigetta piccola perché ho pensato questo: nessun Papa prenderà possesso la Settimana Santa. Domenica della Palme voglio essere a Buenos Aires. Così ho preso il biglietto il sabato. Ero sicuro che il Papa sarebbe stato già in possesso. Questo è il calcolo che ho fatto”.
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E invece poi una volta che è stato eletto non è più tornato. In questi dieci anno come uomo, come persona, è cambiata? Si sente che è cambiata Lei come persona?
“Sono vecchio… È difficile fare il calcolo dei cambiamenti, ma adesso so cose che non sapevo prima, ho meno resistenza fisica, quella del ginocchio è stata un’umiliazione fisica, anche se adesso sta guarendo bene, sì il cambio normale di questa età…
Dice che è stata un’umiliazione perché andare in carrozzina le è pesato?
“Quello sì. Mi vergognavo un po’. Adesso la uso per i viaggi lunghi, per venire qui non l’ho usata. Uso un po’ il carrello o il bastone…”.
Le fa meno male il ginocchio?
“Sì, meno male”.
Lei è stato il primo Papa che ha scelto il nome di Francesco, il primo Papa latino americano. In molti l’hanno descritta come il Papa degli ultimi. La sente come sua questa descrizione o no?
“In senso complessivo è vero che ho una preferenza per gli scartati, i bisognosi, ma questo non vuole dire che io scarti gli altri. È una preferenza anche per la gente che è più in difficoltà, per la gente che a volte sente che la vita non le ha dato nulla e deve fare tante cose per sopravvivere… i poveri. I poveri sono i prediletti di Gesù. Questo lo ha detto Gesù. Non che Gesù manda via i ricchi,no, no. Manda via la ricchezza che è un’altra cosa”.
Gesù chiede di uscire e di portare alla sua tavola chiunque. Cosa significa questo?
“Significa che nessuno è escluso. Quando non sono venuti quelli alla festa ha detto andate agli incroci delle strade e chiamate tutti, ammalati, buoni e cattivi, piccoli e grandi, ricchi e poveri, tutti. Noi non dobbiamo dimenticare questo: la Chiesa non è una casa per alcuni, non è selettiva. Il santo popolo fedele di Dio è questo: tutti. Questo è bello, la Chiesa è per tutti. E se qualcuno dice: “Io sono tanto peccatore…”. La Chiesa è casa tua, vieni, vieni, vieni”.
Perché secondo lei però alcune persone per le loro condizione di vita si sentono escluse… C’è qualcuno però che ancora nella Chiesa qualche muro lo alza.
“Il peccato c’è sempre. Ci sono uomini di Chiesa, donne di Chiesa che fanno differenza, la distanza. E questo è un po’ la vanità del mondo, sentirsi più giusti degli altri, questo non è giusto. Perché tutti siamo peccatori, tutti. All’ora della verità metti sul tavolo la tua verità e vedrai che sei peccatore”.A proposito dell’ora della verità. È una domanda che volevo farle dopo ma gliela faccio adesso. Lei si immagina l’aldilà, l’ora della verità?”Non posso immaginarlo, non posso. Non so cosa sarà. Soltanto chiedo alla Madonna che mi stia accanto. E penso all’agonia di Santa Teresina di Lisieux quando ha lottato col diavolo… L’ultima lotta la lascio alla Madonna. Che lei mi aiuti. E La Madonna c’è sempre”.
Anche la Madonna che scioglie i nodi - Maria che scioglie i nodi, Virgen Maria Knotenlöserin,è un dipinto a olio su tela realizzato intorno al 1700 dal pittore tedesco Johann Georg Melchior Schmidtner una cui copia il Papa ha portato a Santa Marta-. Perché è affezionato a questo quadro?
“Non so perché, è una cosa interiore, la Knotenlöserin. Tutto viene da una frase di Ireneo di Lione presa dal Concilio: i nodi che ha fatto la nostra madre Eva col suo peccato li ha sciolti la nostra madre Maria con la sua vicinanza e la sua tenerezza. Questo pittore del 1700 andava male con la moglie e ha detto alla Madonna: “Ti farò un dipinto perché tu sciolga i nodi che io ho con mia moglie”. Ha fatto il dipinto e poi il miracolo è stato fatto. Per questo lui dipinge sotto Tobia con l’angelo Raffaele che vanno in viaggio a cercare la moglie. È una storia matrimoniale. Eva ha fatto i nodi e Maria li scioglie”.
Torniamo un attimo all’inizio del pontificato. Qualche mese dopo lei annuncia che la prima uscita dalle mura vaticane sarebbe stata Lampedusa, un viaggio che io ricordo come penitenziale, non so se è il termine giusto. Perché ha scelto Lampedusa?
“Non so. Io ho sentito qualcosa sui migranti. E un giorno dopo la preghiera, al mattino: “Devo andare a Lampedusa”. Ho preso la decisione e siamo andati a Lampedusa. Ero deciso ad andare. Poiquando ho visto tutta quella gente ho preso coscienza del dramma del Mediterraneo. Lì. Tutto il problema della migrazione, i lager dell’altra parte. Quando li mandiamo indietro li mettono nei lager. È uscito un anno fa un bel libro, piccolino, “Fratellino” si chiama, in spagnolo “Hermanito” – di Amets Arzallus Antia e Ibrahima Balde (Feltrinelli), ndr -. È un ragazzo che ha fatto un viaggio didue o tre anni… Le cose che deve soffrire per arrivare in Europa. Quel libro mi ha fatto vedere le brutalità di quei lager. Sono lì, sfruttati”.
La sua è una famiglia di migranti. Quand’era piccolo le hanno parlato di questo viaggio che hanno fatto?
“Sì, ma era un’altra epoca. Partire per l’Argentina era andare a fare fortuna. Nel ’29 sono andati papà e i nonni. Nel ’27 dovevano prendere il Principessa Mafalda ed è per questo che sono qui: è affondato davanti al Brasile. Hanno preso il Giulio Cesare nel gennaio del 1929. C’erano gli zii già a Buenos Aires, i fratelli del nonno. Ci hanno insegnato ad amare l’Italia a distanza, loro soffrivano tanto. Imparare cosa è essere migrante”.
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Volevo tornare un po’ qui a Santa Marta. All’inizio del pontificato lei sceglie di abitare qui e rinuncia al palazzo apostolico. Come le è venuta questa intuizione?
“Due giorni dopo l’elezione sono andato a prendere possesso del palazzo. Non è tanto lussuoso. È bello, ben fatto, ma è enorme. Dodici camere, un dormitorio quasi come questo: ma non è per dormire, ma per morire, lì ti vedono tutti. La sensazione che ho avuto era come di un imbuto al rovescio. Per entrare è così e tutto grande dopo. Psicologicamente questo non lo tollero. Quando mi hanno domandato per quale motivo ho scelto così ho detto: “Per motivi psichiatrici, per la mia salute, per non finire male”. Per caso sono passato davanti a dove abito, davanti alla stanza degli ospiti. C’è una camera da letto col bagno, un piccolo salottino per ricevere e poi lo studio. Una cosa piccolina, non so quanti metri, ho visto e ho detto: “Rimango qui”. Per caso. E qui è un albergo, qui abitano quaranta che lavorano in curia. E viene gente da tutte le parti. Vedo gente, salutare, per me èstare con la gente. Solo in quel… non me la sentivo, psicologicamente mi avrebbe fatto male”.In questi anni a volte è uscito di qui per andare dall’ottico, una volta da Edith Bruck. Le è capitato anche altre volte un po’ in incognito di uscire?”Vado una volta all’anno all’Accademia Pontificia in piazza della Minerva. Vado in macchina. Una volta sono andato vicino al Pantheon a benedire un negozio di dischi, sono amico della gente lì, e poi all’ospedale”.
Però quando era cardinale camminava per Roma. Le piace Roma?
“Sì, è bella. È unica. E voi non sapete il tesoro che è. Ogni dieci metri trovi qualcosa...”.
Della sua vita precedente, le manca qualcosa?
“Camminare, andare per la strada. Io camminavo tanto. In periferia andavo col bus. Usavo la metro,il bus, sempre con la gente”.
Lei incontra tante gente ed anche i potenti della terra. Che effetto le fa parlare con queste persone, come si rapporta?
“Il tu a tu. Tu sei un uomo, sei una donna, io sono un uomo. Parliamo da uguale a uguale: come sta? Com’è la famiglia? Mi dicono le cose che mi vogliono dire, rispondo. Ma cerco di essere normale, non fare del rendez-vous. E stimo loro come sono. C’è gente intelligentissima che viene… e questo è bello”.
Con loro parla anche di questioni politiche o più sul personale?
“Delle cose più politiche ne parlano in Segreteria di Stato. A me raccontano dei loro Paesi, i problemi che hanno… Io imparo tanto, del modo di governare che hanno. Una cosa importante: l’Europa in questo momento ha tanti politici, capi di governo o ministri, giovani. Io dico loro sempre: parlate fra voi. Che quello è di sinistra tu sei di destra, ma siete giovani ambedue, parlate, parlate. È il momento del dialogo fra i giovani, prendendo la saggezza dei vecchi ma voi parlate. Non perdete tempo litigando a distanza. Parlate ognuno con la propria visione, il dialogo è necessario”.
Lei è influenzato dalla provenienza di queste persone, se sono di destra o di sinistra?
“No. Di solito non so di quale partito sono, non mi interessa. È il capo di uno Stato, il capo di un governo e parlo delle cose che mi dicono. Domando loro sul Paese, sul folklore, sulla gioventù, sul livello di età. Per esempio qui in Italia, non voglio esagerare, ma credo che la media dell’età è 46 anni. In Spagna credo più alta. L’altro giorno è venuta una donna e le ho detto: qual è la media del suo Paese? Ha iniziato a ridere e mi ha detto: 26 anni. E perché ride? Perché sembra una scuola di bambini, tutti giovani. La preoccupazione di quella donna era educare bene quella gioventù e il lavoro per quella gioventù, che non vadano a cercarlo fuori”. Quando è stato eletto si è affacciato alla loggia centrale della basilica vaticana e ha detto “vengo quasi dalla fine del mondo”.
Che cosa porta un Papa quasi dalla fine del mondo?
“È una tradizione. Mi viene in mente una cosa che una filosofa argentina molto brava, professoressa universitaria, Amelia Podetti, ha scritto quando è stato scoperto lo stretto di Magellano che collega il Pacifico all’Atlantico. Disse che la realtà si vede meglio dagli estremi che dal centro. Questa cosa mi ha aiutato tanto. È vero, la realtà si vede meglio dai confini. Se sei nel centro ti scappa. Se vai sul limite, da fuori, vedi meglio la realtà. Dalla distanza si capisce l’universalità della cosa. La realtàsi vede meglio dai limiti che dal centro. E questo è un principio sociale, filosofico e politico. È molto importante”.
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Pensa che è per questo che l’hanno scelta i cardinali?
“No, no. Sa il Signore perché. Davvero per me è stata una sorpresa. Non so se per questo. Non mi è piaciuto ficcare il naso sui motivi. Mi hanno scelto: andiamo avanti”.
Un momento molto significativo per tutti di questi dieci anni di pontificato è stato quando durante la pandemia, c’era il lockwdown, lei ha fatto questa camminata e questa preghiera in piazza San Pietro. Per lei che momento è stato quello?
“Sono stato per dieci giorni immerso in quel dramma. Alcuni giorni prima sono andato a visitare quel Cristo miracoloso in centro a Roma. Ho fatto a piedi una breve camminata. Poi ho portato il Cristo in piazza San Pietro. Ho detto: “Andiamo a pregare insieme”. C’era la pioggia e non c’era gente. L’importante è pregare, pregare. Ho sentito che il Signore c’era lì. È stata una cosa che ha voluto il Signore per farci capire la tragedia, la solitudine, il buio, la peste… è un riferimento di questo. La gente sempre ricorda quello. Io non l’ho vissuto così drammatico ma la gente sì”.
A proposito del buio, lei più volte fa diversi appelli per la pace nel mondo. Le guerre sono tante. Ma perché si fa così fatica a capire il dramma della guerra? Sennò ci si fermerebbe, no?
“Per me la guerra è un crimine, è una cosa che non va. Pensa che in poco di più di cent’anni ci sono state tre guerre mondiali: ’14-’18, ’39-’45, e questa che è una guerra mondiale. È cominciata in pezzetti e adesso nessuno può dire che non è mondiale. Perché le grandi potenze sono tutte invischiate. E il campo di battaglia è l’Ucraina. Lì lottano tutti. Anche questo fa pensare all’industria delle armi, no? La grande industria. Un tecnico mi diceva: se per un anno non si producessero le armi sarebbe risolto il problema della fame nel mondo. È un mercato. Si fa la guerra, si vendono le armi vecchie, si provano le nuove… Due mesi fa si parlava di qualche drone strano, stavano provando… stavano provando armi nuove. Stanno provando. Le guerre servono per questo, per provare gli armamenti. Se provassero altre cose di promozione umana, sull’educazione e sull’alimentazione sarebbe bello, sulle medicine...”.
A proposito della guerra nei giorni scorsi a Sanremo Roberto Benigni ha citato un articolo della Costituzione italiana che dice che l’Italia ripudia la guerra. E ha detto che se tutti avessero questo articolo nella loro Costituzione non ci sarebbe più la guerra. Però è difficile…
“È difficile, ci sono gli interessi. Il peggiore nemico dell’uomo, le tasche. Il diavolo entra dalle tasche. A me ha sempre colpito quando Gesù dice che non si può servire due Signori. O tu servi Dio.., mi aspettavo che dicesse o servi il diavolo, non dice il diavolo. Dice o tu servi Dio o servi il denaro. È curioso. Gesù demonizza l’uso sbagliato del denaro. Quando una persona non sa usare bene il denaro per l’educazione, per la famiglia, per aiutare gli altri, e lo usa egoisticamente finisce male, finisce senza Dio, lontano da Dio, con un Dio che sono le tasche”.
Anche il conflitto mondiale in corso adesso viene da quello secondo lei?
“Sì guarda, sempre c’è qualcosa per mettere dentro”.
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Lei prima del conflitto ha incontrato più volte Vladimir Putin. Se lo incontrasse oggi cosa gli direbbe?
“Gli parlerei chiaramente come parlo in pubblico. È un uomo colto. Mi sono offerto di andare da lui. Il secondo giorno della guerra sono stato all’ambasciata di Russia presso la Santa Sede a dire che sono disposto di andare a Mosca a patto che Putin mi lasciasse una finestrina per negoziare. Mi scrisse Lavrov dicendo bene, grazie tante, ma non è il momento. So che Putin ha sentito questo, sa che io sono a disposizione, ma lì ci sono tutti interessi imperiali, non solo dell’impero russo che è imperiale dal tempo di Pietro II, Caterina II, ma degli imperi di altre parti. Ci sono degli imperi. E proprio dell’impero è mettere al secondo posto le nazioni. E invece la libertà delle nazioni fanno la cosmovisione – visione del mondo, ndr – delle nazioni, cosa che dovrebbero essere le Nazioni Unite”.
Quali altre guerre lei sente più vicine a lei?
“Il conflitto dello Yemen, da più di dieci anni. La Siria, da più di dieci anni. I poveri Rohingya del Myanmar che soffrono. Perché queste sofferenze, quando la pace è così bella e ti fa andare avanti bene, no? Le guerre fanno male. Non c’è lo spirito di Dio che guida una guerra. Io non credo nelle guerre sante”.
Anche se in passato c’è chi ci ha creduto.
“Sì, ma è un altro tempo storico”.
Volevo tornare a quando lei ha studiato per qualche mese in Germania. Le è capitato di entrare in Svizzera, nella Svizzera tedesca?
“Sì, ricordo un viaggio che ho fatto in macchina, da Francoforte a Stoccarda, poi da Stoccarda a Torino dai parenti. A un certo punto della Svizzera ho perso un po’ l’orientamento. C’era un gruppo di uomini, mi sono fermato ho chiesto ma non ho capito nulla. Non parlavano in tedesco. E ho chiesto per favore parlate tedesco. Molto amabili mi hanno indicato la rotta e poi sono arrivato. Poi sono andato – da Papa, ndr – a Ginevra per l’Incontro Mondiale delle Chiese. Ho un buon rapporto con gli svizzeri per le guardie. L’altro giorno sono stato da un bel gruppo che sta lavorando per vedere di fare un’altra caserma per le guardie in Vaticano. C’erano due ex presidenti svizzeri, uno era Doris Leuthard, bravi, gente buona”.
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Telegiornale 12.03.2023, 20:00
Che idea si è fatto della Svizzera?
“La Svizzera ha personalità propria ma è universale. Quando nelle guerre la Svizzera rimane neutrale non è acqua distillata, non è lavarsi le mani, no, è una vocazione di equilibrio, di unità. Io voglio bene agli svizzeri. È curioso: ogni provincia ha la propria personalità. Lo vedo qui nelle guardie. Quelli che vengono dal Ticino sono più vicini a noi, quelli di Ginevra sono più francesi, e quelli della parte tedesca hanno un’altra personalità, ma sono bravi. Gli svizzeri hanno una umanità bella”.
La Svizzera è stato anche terreno fertile per la riforma. Lutero, Calvino, originariamente volevano riformare la Chiesa, purificarla. Anche oggi il protestantesimo ha nel suo Dna questavocazione. Cosa pensa?
“Credo che la Chiesa sempre vada riformata. Quel detto, Ecclesia sempre reformanda est… I santi fanno lo stesso. Con buona volontà Lutero, Calvino, erano momenti brutti quando hanno fatto questo distacco dalle Chiese e che adesso col dialogo ecumenico stiamo rifacendo come fratelli. Grazie a Dio possiamo pregare insieme, possiamo fare la carità insieme, viaggiare insieme e fare lentamente… E poi i teologi studiano per mettere l’unità. C’è un grande teologo ortodosso morto nei giorni scorsi, Ioannis Zizioulas, che ha presentato la Laudato Si’ qui, specialista in escatologia, che diceva che i teologi studino, noi facciamo il bene, preghiamo e andiamo insieme. Ma che i teologi studino. Davanti alla domanda: quando sarà il momento in cui si metteranno d’accordo? Rispondeva: “Forse nell’escatologia”. Aveva il senso dell’umorismo. Ma l’importante è camminare insieme, come fratelli insieme. Non lottiamo ma per favore facciamo del bene insieme e preghiamo insieme”.
Anche con il patriarca di Mosca Kirill ha questo rapporto?
“Beh sì, ho parlato al telefono con lui… Avevo pianificato un anno fa un secondo incontro con lui. Ma con la guerra abbiamo sospeso e lo abbiamo rimandato a dopo la guerra. L’altro giorno è venutoil metropolita Antonij, che è il secondo di Kirill, un bravo ragazzo, è stato parroco a Roma, è venutocon una lettera di Kirill. Sempre teniamo il contatto con loro, con i patriarchi ortodossi. Con Bartolomeo siamo fratelli. Uno bravo è quello dei copti Teodoro II, un uomo di Dio. Ma io ho un buon contatto con tutti”.
Se lei dovesse usare una parola per descrivere questi dieci anni, quale userebbe?
“Mi viene in mente: grazia. La grazia di Dio che fa tutto. Io non pensavo di fare questo. Sento ogni giorno che il Signore mi aiuta se io sono aperto. Se io mi chiudo lui non mi aiuta”.
Lo sente vicino?
“Sì vicino sì”.
Forse una parola importante per lei è anche misericordia?
“Sono i tre attributi di Dio: vicinanza, misericordia e tenerezza. Non possiamo capire Dio senza questi tre atteggiamenti. Dio sempre ci è vicino, sempre. Anche vicino ai peggiori peccatori e delinquenti: è accanto, aspettando. È misericordioso. Dio perdona tutti. Io lo dico sempre: non abbiate paura, Dio ti perdona. Quante volte della gente di nascosto mi dice qualche cosa brutta che ha fatto perché io le dia il perdono durante le udienze. Io perdono tutto. Sempre ho perdonato. E Dio è tenero. La tenerezza di Dio è una cosa bella. Pensa al figliol prodigo. Dio è padre abbondantemente”.
Anche verso tanti esclusi?
“È più vicino agli esclusi”.
Dieci anni con Francesco
Cultura 13.03.2023, 14:40
Abbiamo ascoltato le sue parole recentemente anche sulle persone omosessuali, che spesso si sentono escluse dalla Chiesa…
“Io ho parlato sulle persone omosessuali la prima volta sul viaggio di ritorno da Rio de Janeiro: “Se una persona è omosessuale e cerca Dio chi sono io per giudicarla?”. Primo. La seconda volta nel viaggio dall’Irlanda, che si è mischiato con la lettera di Viganò, ho detto lì ai genitori di non cacciarli via di casa. Perché c’è la tentazione: tu sei omosessuale vattene via. No. Il tuo figlio, la tuafiglia. Sta loro accanto. La terza volta sulla criminalizzazione dell’omosessualità ho parlato in una intervista all’Associated Press. E la quarta volta sul volo dall’Africa ancora della criminalizzazione perché l’Africa è una delle parti del mondo che criminalizza tanto. Sono una cinquantina i Paesi nel mondo che criminalizzano. E circa dieci hanno anche la pena di morte. No, non dobbiamo criminalizzare”.
A volte anche qualche gruppo con qualche sacerdote viene da lei…
“Oggi c’erano. Io saluto tutti perché tutti siamo figli di Dio”.
In questi anni ha parlato molto dell’ecologia e del creato ed anche del tema importante dei cambiamenti climatici. Perché lei sente questo tema così importante?
“È un dramma! Uno dei principali scienziati italiani ha detto: “Io lotto per questo perché non voglio che mia nipote che è nata settimana scorsa entro trent’anni viva in un mondo invivibile. Dobbiamo difendere i due polmoni, il Congo e l’Amazzonia. La deforestazione è un crimine. Poi il Pacifico sta crescendo. Ci sono Paesi che stanno spostando la capitale. C’è un’isola nel Pacifico il cui governatore è venuto da me a dirmi che si stanno spostando da un’altra parte perché fra venti anni l’isola non ci sarà più. Ma si vedono le cose, si vedono. E noi non sappiamo custodire il creato. I pescatori trovano metà pesce e metà plastica. Questo è un crimine. Non siamo educati a custodire il creato. E dobbiamo imparare a fare questo. Non è facile ma dobbiamo avere tenerezza col creato, la madre terra come la chiamano gli aborigeni”.
Chi dovrebbe iniziare la transizione ecologica, forse i Paesi più sviluppati?
“Sì, ma loro hanno la tentazione dell’industrialismo. E non è facile. Pensa che quando è stato fatto l’incontro a Parigi il livello è stato altissimo. C’era Marie-Ségolène Royal che ha fatto un bel discorso. Ma dopo Parigi in tutti gli altri incontri il livello si è abbassato”.
Qui a Santa Marta, fuori dalla sua stanza, c’è il cartello “Vietato lamentarsi”. Lei spesso parla anche del chiacchiericcio, perché è così sensibile a questo tema?
“Distrugge. Il chiacchiericcio distrugge la convivenza, la famiglia. Quando un fratello o una sorella parla male dell’altro, i figli con i parenti o con gli zii, con la suocera, ma la suocera è un classico, ma tutto questo distrugge perché toglie la confidenza. Se tu hai qualcosa contro di lui dillo in faccia. Si arrabbierà ma non distruggerà. È una malattia nascosta. Negli ambienti clericali è più difficile perché è quello che fa di una comunità una somma di isolati. Ma questi isolati sono tutti zitelloni, incapaci di rapporti, tutti chiusi. Il chiacchiericcio è per difendere la chiusura. Per favore è la peste. Dire le cose in faccia, in famiglia, i genitori con i figli, in faccia. Ed anche il marito e la moglie: dire in faccia. Litigate quanto volete ma fate la pace prima che finisca la giornata. Perché la guerra fredda del giorno dopo è terribile. E il chiacchiericcio favorisce la guerra fredda. Tutti sorridenti, ma sotto no. Per favore togliere il chiacchiericcio. Essere coraggiosi e dirle in faccia le cose”. Spesso i media descrivono la Chiesa come due fronti, i conservatori contro i progressisti. Questa lettura è vera? “Sono semplificazioni. È un modo di ridurre la realtà. La realtà è troppo più ricca di questo. Dirò esagerando che il colore della quotidianità è il grigio, ma un grigio luminoso e non triste. La luminosità è bella mentre il grigio distrugge la luminosità”.
I dieci anni di Benedetto XVI al Mater Ecclesiae sono stati luminosi?
“Bravo, è un uomo di Dio, gli voglio tanto bene. Andavo a visitarlo. I primi tempi lui veniva ai concistori. Poi quando si è ammalato non poteva uscire. E io andavo da lui sempre. L’ultima volta che l’ho visto è stato per Natale. Quasi non poteva parlare. Parlava basso, basso, basso. C’era bisogno che monsignor Gänswein o la segretaria Birgit traducessero le sue parole. Parlava in italiano, ma molto basso. Era lucido. Faceva domande: come va questo? E quel problema là? Era aggiornato su tutto. E quella università là? Era un piacere parlare con lui, sempre positivo. Io gli chiedevo pareri. Lui dava il suo parere, ma sempre equilibrato, positivo, un saggio. L’ultima volta però si vedeva che era alla fine”.
Le esequie funebri sono state sobrie. Perché?
“I cerimonieri si erano “rotti la testa” per fare le esequie di un Papa non regnante. Era la prima volta di un Papa non regnante, che muore a Roma in Vaticano, e in piazza San Pietro. Era difficile fare la differenza. E adesso ho detto di studiare la cerimonia per i funerali dei Papi futuri, di tutti i Papi. Stanno studiando ed anche semplificando un po’ le cose, togliere le cose che liturgicamente non vanno, cose antiche. Ma è stato semplice quello di Benedetto”.
Papa Benedetto ha aperto questa strada delle dimissioni. Lei più volte ha detto che è una possibilità ma che al momento non la contempla. Che cosa potrebbe portarla in futuro eventualmente a dimettersi?
“Una stanchezza che non ti fa vedere chiaramente le cose. La mancanza di chiarezza, di sapere valutare le situazioni. Anche il problema fisico, può darsi. Io su questo domando sempre e seguo i consigli. Come vanno le cose? Ti sembra che devo… alle persone che mi conoscono, anche ad alcuni cardinali intelligenti. E mi dicono la verità: continua va bene. Ma per favore: gridare a tempo”.
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Telegiornale 12.03.2023, 20:00
Benedetto ha iniziato e lei ha continuato questo percorso rispetto agli abusi sessuali commessi dai preti sui minori. Tanti passi in avanti ma perché il problema comunque rimane?
“Siamo umani. Tu conosci le statistiche? Sono terribili. Il quaranta per cento degli abusi si danno nella famiglia e nei quartieri. E questo ancora oggi. Poi il mondo dello sport, poi le scuole… Il 3 percento degli abusi è commesso da preti cattolici. Ah, è poco. No, è troppo. Se fosse uno sarebbe una brutalità perché il prete è per far crescere, per santificare e non per rovinare una vita con l’abuso. E per questo Benedetto ha avuto il coraggio di dire: No, avanti. Non è facile. A volte ti vengono false accuse e devi discernere. Delle volte sono vere le accuse e devono andare avanti. Abbiamo preso decisioni anche con qualche vescovo. Quando un abuso va avanti si fa l’indagine. Su questo dallo scandalo si Boston, dove è iniziato tutto, ad adesso la Chiesa è andata avanti. Tre mesi fa ho avuto una riunione con un gruppo che lavora in Brasile. Hanno detto: nel mondo della famiglia è il 46 per cento. Si copre. Oggi e nel mondo delle famiglie o nei quartieri fanno lo stesso che noi facevamo prima. Adesso noi non copriamo, ma ci sono accuse e miserie umane, tante, dei peccati dei preti e dei vescovi, ma dobbiamo andare avanti, Dio è più grande di questo. Dio non ci perdonerà se noi non andiamo avanti”.
Lei ha ricevuto più volte anche le vittime. Cosa dice loro?
“Io le ascolto. Una volta è stato bello, in Irlanda. Erano sei o sette adulti ognuno con la sua storia. Da ragazzi sono stati abusati. Dovevo chiedere perdono nell’omelia del giorno dopo. E ho detto: perché non facciamo insieme l’omelia del giorno dopo? È stato bellissimo quell’incontro perché mi hanno aiutato a capire il mistero di questo. Sono bravi con la sofferenza che portano avanti. Anche un’altra volta sono venuti un gruppo di uomini inglesi abusati in un collegio. Adesso sono vecchi, vennero abusati da bambini. A quel tempo si copriva tutto. È una miseria umana. Ma una delle cose che mi viene il dubbio è la pedopornografia virtuale. Si filmano dal vivo. Sai in quale Paese si fa, inquale città? Nessuno sa. I servizi segreti non possono capire dove si fa? Dal tuo cellulare puoi guardarlo e ti semina il male dentro. Tu vedi come è abusato un bambino, con le cose più sporche. Questa è una chiamata a tutti: quando voi sapete che si fa questo fate la denuncia. È importante”.
Quali sono stati i momenti più belli e più difficili del suo pontificato?
“Non saprei dirlo. Tutto è mischiato. Quando sono andato a visitare il sacrario militare di Redipuglia e ho visto lo strazio della guerra del ’14. Mio nonno ha fatto il Piave… E ho visto quelle tombe e l’età, ho pianto. Un momento brutto. Lo stesso mi è successo ad Anzio quando sono andato un due novembre per la Messa e ho visto l’età dei ragazzi e ho pianto. E quando nel sessantesimo dello sbarco di Normandia… è vero è stato l’inizio della salvezza dell’Europa da Hitler… ma sulla spiaggia sono rimasti trentamila ragazzi. La guerra è una pazzia e io ho pianto lì. Non tollero questo. E penso alla mamma che riceve una lettera dal governo: signora lei ha l’onore di avere un figlio eroe e le danno la medaglia. Sì, ha una medaglia ma le hanno tolto il figlio. In uno di questi Paesi del centro Europa che ho visitato ho dovuto viaggiare in macchina per parecchi chilometri e passavo per i piccoli villaggi e la gente usciva per vedere il Papa che passava. Sempre vedevo la stessa cosa: tante donne anziane, uomini giovani, bambini ma uomini anziani pochissimi. È la guerra. Che aveva ammazzato tutti. Le donne anziane sole”.
Lei quando saluta o riceve delle persone chiede di pregare per lei, ma anche ai non credenti perché?
“Perché sono sicuro che tutti pregano. Ai non credenti dico: pregate per me e se non pregate tiratemi buone ondate. Un ateo amico mi scrive: “… e ti mando buone ondate”. È un modo di pregare pagano, ma è un volersi bene. Anche questa è una preghiera. volere bene a un altro è una preghiera”.
Lei sente il bisogno di ricevere preghiere?
“Sì, per favore. Perché da solo non ce la faccio”.
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Informazione 12.03.2023, 20:40