Nelle strade di Caracas, l’atmosfera delle festività convive con una tensione più profonda e meno visibile. La ripresa di alcune attività commerciali in quartieri della capitale, con vetrine più fornite e un movimento leggermente maggiore, non ha cancellato il dato di fondo: per molte famiglie il potere d’acquisto resta fragile, mentre l’ombra dell’iperinflazione e la precarietà dei servizi essenziali — a partire dall’elettricità — continuano a scandire la quotidianità.
Il costo psicologico della “crisi prolungata” e la narrazione politica interna
In questo contesto, il costo psicologico di una crisi che dura da anni sta assumendo contorni sempre più chiari. La psicologa clinica e sociale Yorelis Acosta parla di “crisi prolungata” e descrive un incremento diffuso di ansia, stress, disturbi del sonno e irritabilità. A suo avviso, meccanismi di difesa come la negazione e la rassegnazione possono diventare strumenti di sopravvivenza emotiva: una forma di adattamento che permette di mantenere un equilibrio minimo, anche quando l’orizzonte appare privo di un punto d’arrivo.
Sul piano politico, la leadership venezuelana ha scelto una narrazione che alterna mobilitazione e rassicurazione. Nicolás Maduro ha invitato ripetutamente la popolazione a “festeggiare” e ha rilanciato lo slogan “no war, yes peace”, circolato anche in versioni musicali sui social. La stagione natalizia, per disposizione presidenziale, è stata anticipata a ottobre, con decorazioni e illuminazioni in spazi pubblici, incluso il viale monumentale di Los Próceres. Il messaggio implicito è quello di una normalità difesa a ogni costo; ma il dibattito interno — spesso condotto con cautela — continua a ruotare attorno all’ipotesi di un’ulteriore escalation con Washington e alle conseguenze, anche personali, di dichiarazioni considerate ostili al governo.

Tra Trump e il Venezuela c'è anche Cuba
SEIDISERA 22.12.2025, 18:00
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L’ipotesi della scorta armata sulle petroliere
È su questo sfondo sociale e psicologico che si innesta la dimensione militare della crisi. Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno dispiegato un dispositivo militare rilevante nel bacino dei Caraibi e, secondo la ricostruzione di Caracas e di diversi osservatori, hanno di fatto istituito un blocco navale contro il Venezuela. Washington giustifica le misure come parte di un’azione contro attività che, nella sua valutazione, sarebbero legate al finanziamento del “narcoterrorismo”, e ha proceduto a intercettazioni e sequestri di petroliere ritenute in violazione delle sanzioni.
Di fronte a un perimetro di interdizione sempre più stretto, nelle discussioni a Caracas è emersa l’ipotesi di una contromisura: l’imbarco di personale armato sulle petroliere venezuelane. Se realizzata, la scelta introdurrebbe un elemento di rischio in più lungo rotte già esposte a controlli e incidenti, rendendo più complessa l’attività di interdizione e aumentando la probabilità di contatti ravvicinati, errori di calcolo e incidenti non intenzionali.
La partita diplomatica, intanto, ha raggiunto le Nazioni Unite su due livelli distinti, come raccontato al nostro Telegiornale da Emiliano Guanella, giornalista e collaboratore RSI dal Sud America. Da un lato, un gruppo di esperti nominati dal Consiglio dei diritti umani ha diffuso un comunicato in cui definisce il blocco un’“aggressione armata illegale” e lo considera incompatibile con principi fondamentali del diritto internazionale; gli stessi esperti hanno precisato di agire nel quadro del proprio mandato, non a nome dell’Onu. Nel testo sostengono che non esisterebbe un diritto a imporre unilateralmente sanzioni “attraverso un blocco armato” e richiamano l’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite sul divieto dell’uso della forza, oltre alla definizione di aggressione adottata dall’Assemblea generale nel 1974, osservando che uno “Stato vittima” potrebbe in linea di principio invocare la legittima difesa.
Dall’altro lato, la crisi è approdata formalmente al Consiglio di Sicurezza. In quella sede Cina e Federazione Russa hanno chiesto agli Stati Uniti di interrompere le operazioni militari, avvertendo che le azioni in corso potrebbero alimentare un’ulteriore escalation regionale. La delegazione americana, tuttavia, non ha arretrato: ha ribadito di non riconoscere Maduro e il suo entourage come governo legittimo del Venezuela e ha riaffermato la linea dura contro i cartelli della droga.
La droga? Un pretesto per cambiare il regime
Caracas continua a sostenere che la questione del narcotraffico sia un pretesto per un progetto di cambio di regime e per obiettivi strategici legati alle risorse energetiche, petrolio compreso. In Consiglio di Sicurezza, il rappresentante venezuelano ha parlato della “più grande estorsione” nella storia del Paese. Nel frattempo, mentre la crisi si muove tra mare e palazzi della diplomazia, è nella vita quotidiana che se ne misurano gli effetti più persistenti, con una popolazione chiamata a “festeggiare” e a resistere, con il peso di una lunga instabilità che potrebbe durare ancora molto.

Tensioni tra USA e Venezuela: Mosca accusa Washington
Telegiornale 24.12.2025, 12:30








