La xenofobia è in aumento non solo in Europa. In Turchia per esempio cresce un sentimento antiarabo. Il fenomeno ha radici storiche, legate alle rivolte, animate da Faysal I re dell’Iraq, contro l’impero Ottomano, tra il 1916 e il 1918; nella contemporaneità, si sta rinvigorendo.

Un giostra tra le rovine nel quartiere di Tarlabaşı, uno dei tanti quartieri di Istanbul dove i siriani hanno trovato dimora.
Da un lato, in ragione dell’enorme numero di rifugiati siriani (4 milioni) arrivati a seguito della guerra civile in Siria a partire dal 2011, dall’altro per una avversione diffusa nei confronti dei cittadini arabi della classe medio-alta che, per facilità di accesso, prossimità culturale con il mondo turco conservatore e religioso, nonché possibilità di investimento, specie nel settore immobiliare, affluiscono sempre più numerosi, prediligendo Istanbul e le altre località turistiche della costa egea.
La società civile turca, polarizzata tra secolari e conservatori, si divide anche su questo tema; mentre i primi avversano sia i rifugiati che gli arabi ricchi, i secondi sono favorevoli all’ingresso di capitale straniero e, pertanto, tolleranti verso coloro con cui possono fare affari. Anche a livello politico, dopo una crisi decennale, il Governo turco ha ricucito importanti relazioni commerciali coi Paesi del Golfo Persico. Di fronte a un’Europa malata che, sopraffatta dalla paura, chiude le proprie frontiere, la Turchia rivolge il proprio sguardo verso La Mecca, non solo per rispondere alla chiamata della fede ma anche per attrarre il denaro necessario ad arginare la grave crisi economica che l’attanaglia.
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