ANALISI

Incontro Putin-Trump, una tappa di riavvicinamento

Sintomatica la frase pronunciata del presidente statunitense ad Anchorage: “Non c’è accordo sino a che non c’è accordo”. Sottolinea il fatto che il processo di negoziazione sarà ancora lungo

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Vladimir Putin e Donald Trump in Alaska

  • AP Photo/Julia Demaree Nikhinson
Di: Stefano Grazioli 

Il vertice di Anchorage e il suo esito possono essere letti in vari modi: l’approccio forse più realistico, che va oltre quelli della propaganda russa secondo cui Kiev ha già capitolato e la visione occidentalista per cui la priorità di Vladimir Putin è stata quella di percorrere il tappeto rosso insieme con Donald Trump, è quello che contestualizza l’incontro fra i due presidenti nella cornice sia della guerra in Ucraina, sia nel quadro più ampio di ridefinizione dei rapporti bilaterali tra Russia e Stati Uniti. È evidente, ora come in precedenza, che dopo tre anni e mezzo di guerra su larga scala, più di undici se si conta l’avvio delle ostilità nel Donbass nel 2014, non può essere sufficiente un singolo summit per risolvere dossier complicati che hanno la loro genesi negli anni Novanta del secolo scorso. Se sul tavolo delle trattative tra il Cremlino e la Casa Bianca ci sono oggi la pacificazione nell’ex repubblica sovietica e la ridefinizione dell’architettura di sicurezza in Europa, con garanzie per tutti gli attori in campo, significa che i problemi di fondo sono quelli sorti progressivamente dalla fine della Guerra fredda e dal crollo dell’Unione Sovietica.

Solo una tappa di riavvicinamento

Da questo punto di vista l’incontro fra Putin e Trump ha segnato la prima tappa di un riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti, potenze in competizione diretta per l’influenza nello spazio postsovietico almeno dai primi anni del Duemila, ai tempi della Rivoluzione arancione in Ucraina. Dopo le presidenze di Barack Obama e Joe Biden, il ritorno di Trump alla Casa Bianca quest’anno ha rappresentato un’inversione rispetto alla strategia delle amministrazioni precedenti e Washington, nel momento di più aspro scontro con Mosca, ha cambiato rotta: il fatto che i colloqui in Alaska siano stati definiti costruttivi da entrambe le parti e abbiano aperto la strada a nuovi possibili incontri diretti, anche con il coinvolgimento del presidente ucraino Voldodymyr Zelensky, è in ogni caso un segnale da giudicare positivamente. È palese però che la diplomazia ha necessità di tempi proporzionali alla gravità dei problemi da risolvere: più profonde e intricate le radici di un conflitto, più lungo è il periodo necessario per arrivare a una soluzione e a un compromesso. Putin e Trump devono trovare la via per mettere termine alla guerra in Ucraina e ricostruire le simmetrie sulle varie scacchiere, non solo quella europea.

Tempi lunghi della diplomazia

Banale, ma vera, quindi, la frase pronunciata del presidente statunitense ad Anchorage (“non c’è accordo sino a che non c’è accordo”), volta a sottolineare come il processo di negoziazione sia ancora lungo. Se dal vertice è trapelato poco, l’impressione è che i due binari su cui viaggiano le trattative tra Russia e USA, da una parte i rapporti bilaterali, dall’altra il conflitto ucraino, non siano proprio paralleli e la pratica ucraina abbia bisogno di molto più approfondimento. Per Putin, in posizione di forza davanti a un quadro militare che sul terreno per Kiev si sta sempre più deteriorando, le richieste di Zelensky e dei volenterosi europei di colloqui di pace da iniziare solo dopo una tregua non sono accettabili e il Cremlino punta a un accordo complessivo che comprenda aspetti geopolitici fondamentali come lo status dell’Ucraina nel futuro postbellico, fuori dalla Nato. Sembra essere questo il maggiore ostacolo al concretizzarsi del processo negoziale, con il tema dal quale non possono essere esclusi né Kiev, né gli alleati europei. Benché Washington abbia in sostanza tutti gli strumenti necessari per imporre la propria linea sia a Kiev che Bruxelles, il coinvolgimento formale di questi ultimi non può essere eluso.

I prossimi passi

E ora? Se il primo passo è stato compiuto, i prossimi arriveranno, ma a dettarne la lunghezza e la frequenza sarà probabilmente ancora il Cremlino, che ha dalla sua il fatto di star vincendo la guerra. Ci sono pochi dubbi su come Putin, per il cui sistema il successo in Ucraina, pieno o mezzo, è esistenziale, proseguirà nel conflitto di logoramento nella convinzione di poter raggiungere gli obbiettivi definiti; Trump per ora, nonostante le minacce, non pare né di essere in grado né di voler acuire lo scontro con Mosca; Zelensky e gli europei non possono che stare alla finestra, ma dovranno in qualche modo reagire: nei giorni e nelle settimane a venire la diplomazia tra Kiev e Bruxelles avrà molto da fare per tentare di trovare una tattica praticabile verso una linea di compromesso, imposto, ma che potrà avviare il comunque lungo processo di pacificazione.

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