Lo scorso 22 aprile un sanguinoso attacco terroristico a Pahalgam ha sconvolto la regione montana del Kashmir, ma non è la prima volta che questa terra contesa tra India e Pakistan è teatro di violente tensioni. Ecco quello che c’è da sapere per capire cosa sta succedendo e perché oggi la situazione potrebbe essere più grave del passato.
Le origini del conflitto

Soldati indiani durante la guerra del 1947-1948
La tensione dei due Paesi ha le proprie origini nella mancata risoluzioni di alcuni nodi che accompagnano la nascita dei due Stati
Diego Abenante, professore di Storia ed istituzioni dell’Asia all’Università di Trieste
Il conflitto tra India e Pakistan affonda le sue radici nella spartizione dell’India britannica del 1947, che portò alla nascita di due Stati: uno a maggioranza indù (l’India) e uno a maggioranza musulmana (il Pakistan). Il Kashmir, situato lungo il confine tra i due Paesi, aveva una popolazione in prevalenza musulmana, ma era governato da un maharaja indù.
Quello stesso anno, il monarca kashmiro decise di aderire all’India, provocando la risposta armata del Pakistan, che rivendicò il territorio.
Da allora, la regione è stata teatro di tre guerre tra India e Pakistan: nel 1947–48, nel 1965 e nel 1971. Quest’ultimo conflitto ha portato alla definizione dell’attuale Linea di Controllo, che divide ancora oggi il territorio conteso tra le due potenze e sancisce una spartizione di fatto del Kashmir: due terzi della regione all’India, un terzo al Pakistan.
Dall’insurrezione interna al sostegno esterno
Negli anni ’80, il malcontento nella parte indiana del Kashmir sfociò in un’insurrezione armata. La miccia fu l’elezione del 1987, percepita come truccata, che alimentò la sfiducia nelle vie politiche. L’insurrezione nacque come movimento locale, con richieste che spaziavano dall’indipendenza all’annessione con il Pakistan.
Col tempo, però, gruppi militanti basati in Pakistan cooptarono la rivolta e negli anni 90 – come riconosciuto da diversi funzionari pakistani - Islamabad fornì addestramento e risorse a diverse formazioni militanti, coinvolte in attacchi in Kashmir.
La situazione si raffreddò notevolmente nei primi del 2000, con il bando, da parte pakistana, di due importanti gruppi militanti, Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Muhammad. Nel 2002 fu dichiarato un cessate il fuoco e avviato un processo di pace. Secondo molti osservatori, la presenza americana in Afghanistan dopo l’11 settembre contribuì ad attenuare il conflitto.
Una pace che non regge
Nel novembre del 2008 i terroristi colpirono diverse zone di Mumbai con attacchi coordinati
Malgrado i tentativi di rappacificazione tra le due parti, nuovi episodi di violenza sconvolgono nuovamente il fragile equilibrio venutosi a creare. Il più grave furono gli attacchi di Mumbai del 2008, quando dieci membri di Lashkar-e-Taiba seminarono morte e terrore per le strade della megalopoli causando la morte di oltre 160 persone. L’India attribuì la responsabilità a Lashkar-e-Taiba, fornendo prove del loro addestramento in Pakistan.
Nel corso degli anni, seguirono ancora diversi momenti di tensione, tra attacchi militanti in Kashmir e violazioni (da parte di entrambe le parti) della Linea di Controllo. L’ultimo, il più importante, è stato l’attentato di Pulwama.
L’autobomba che fece saltare l’autonomia
Nel 2019 le tensioni tra i due Paesi si intensificarono dopo che un attentato suicida con autobomba uccise 40 paramilitari a Pulwama, in Kashmir. L’attacco fu rivendicato dal gruppo islamista pakistano Jaish-e-Mohammad.
L’India rispose il 26 febbraio con un raid aereo in territorio pakistano, dichiarando di aver colpito un campo di addestramento del gruppo e ucciso numerosi militanti. Il Pakistan ammise l’incursione, ma sostenne che le bombe avevano colpito una collina disabitata. Il giorno dopo, le forze aeree dei due Paesi si scontrarono brevemente: un jet indiano fu abbattuto e il pilota catturato, poi rilasciato nel giro di pochi giorni in segno di distensione.
Soldati indiani sul luogo dell'esplosione a Lethpora, nel distretto di Pulwama
A sgonfiare la crisi fu anche il tono più prudente dello stato maggiore pakistano, allora guidato dal generale Qamar Javed Bajwa, considerato più conciliante rispetto ai suoi predecessori. Fu inoltre determinante il lavoro diplomatico di alcune potenze straniere, in particolare degli Stati Uniti, che mantenendo ancora una presenza militare in Afghanistan, aiutarono a favorire una de-escalation nella regione.
Ma la tensione non si era esaurita. Nel mese di agosto, pochi mesi dopo l’attacco il governo Modi revocò l’autonomia costituzionale del Jammu e Kashmir, ponendo la regione sotto il controllo diretto di Nuova Delhi.
Perché ora la situazione è cambiata?

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Oggi il contesto regionale è più instabile rispetto al 2019. In India, il primo ministro Narendra Modi ha rafforzato una linea politica fortemente nazionalista. Dopo l’attentato del 22 aprile il premier ha promesso pubblicamente che “il terrorismo non resterà impunito”.
Anche in Pakistan la situazione è cambiata. Nel 2019 il capo dell’esercito, Qamar Javed Bajwa, aveva assunto una posizione moderata e cercato un dialogo con l’India. Il suo successore, Asim Munir, è oggi in una posizione politica più fragile e ha mostrato un atteggiamento molto più aggressivo. L’esercito pakistano, storicamente il vero centro di potere nel Paese, è sotto pressione per riaffermare la propria autorità in un momento di crisi economica e instabilità interna.
A questo si aggiunge un contesto internazionale più debole. Gli Stati Uniti, che nel 2019 avevano svolto un ruolo chiave nella de-escalation, oggi non hanno più truppe in Afghanistan e non hanno ancora nominato ambasciatori né in India né in Pakistan dopo l’inizio dell’amministrazione Trump. Tuttavia, nelle ultime ore Washington ha avviato i primi contatti diplomatici, esortando entrambi i governi a evitare un’escalation e a mantenere aperti i canali di comunicazione.
Infine, la presenza cinese sui confini occidentali del Kashmir alimenta l’incertezza generale. Pechino ha rafforzato i legami con il Pakistan, anche per proteggere i propri interessi infrastrutturali in Kashmir. Dal 2020, le truppe cinesi sono presenti in aree contese del Ladakh, aprendo un secondo fronte di tensione con l’India.
Intanto, negli ultimi giorni sono aumentati gli scontri a fuoco lungo la Linea di Controllo: da una settimana si registrano scambi di colpi tra eserciti, senza vittime civili ma con la tensione in costante crescita.
Eserciti a confronto
In caso di conflitto aperto, il confronto tra i due eserciti sarebbe sbilanciato. L’India dispone di un numero doppio di effettivi e mezzi rispetto al Pakistan, dagli aerei da combattimento ai mezzi blindati. Ma entrambi i Paesi possiedono arsenali nucleari di dimensioni simili: 172 testate l’India, 170 il Pakistan.

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