Il fuoco che divampa in un appartamento del quindicesimo piano, probabilmente per un cortocircuito all'interno o per il malfunzionamento di un impianto sul balcone. Le fiamme che per un "effetto camino", a causa dello spazio di 15 centimetri che si trova tra il rivestimento esterno della struttura, il cappotto termico fatto di materiale non ignifugo (in Svizzera ciò non sarebbe possibile come spiega Claudio Mainini, presidente dell'Associazione dei tecnici antincendio del Canton Ticino, al microfono di Chiara Savi), e la struttura portante, si propagano intaccando in un quarto d'ora tutta la facciata del palazzo, trasformato in una "torcia". Sono queste le prime certezze nell'inchiesta della Procura di Milano sul maxi incendio che ha distrutto la Torre dei Moro di via Antonini, grattacielo di 18 piani, senza per fortuna causare né vittime né feriti gravi.
"Poteva andare molto peggio", ripetono gli inquirenti, facendo riferimento al fatto che in quella torre, nella zona sud est della città, in molti non erano ancora rientrati dalle ferie. Ci vivono una sessantina di famiglie e solo una trentina di persone sono dovute scappare. Se fosse accaduto di notte forse non ce l'avrebbero fatta.
Altro dato certo è che, a detta degli stessi inquirenti, i pannelli del “cappotto” esterno erano costituiti da un materiale di lamiere di alluminio e polistirene e sono “bruciati come se fossero di cartone. E quindi le analisi sulle falle nella sicurezza del grattacielo e del sistema antincendio del palazzo che avrebbe presentato “varie criticità” sono uno dei punti centrali delle indagini per disastro colposo che potrebbero portare verosimilmente a iscrizioni nel registro degli indagati di costruttori, responsabili dei lavori e progettisti.
ANSA/RG/Swing




