Gli Stati Uniti hanno compiuto una svolta significativa nella politica di vaccinazione dei neonati contro l’epatite B. Venerdì, il comitato consultivo sui vaccini ha votato 8 a 3 per revocare la raccomandazione di somministrare la prima dose del vaccino entro 24 ore dalla nascita. La nuova linea guida prevede che le donne risultate negative al test per l’epatite B possano decidere, in consultazione con il proprio medico, se vaccinare o meno il neonato alla nascita.
Questa decisione ha scatenato reazioni forti da parte di molti specialisti delle malattie infettive. Demetre Daskalakis, ex direttore del Centro per la prevenzione delle malattie infettive, ha definito la giornata come “un giorno triste per la scienza, le vaccinazioni e l’immunologia”. Daskalakis ha espresso preoccupazione non solo per il risultato del voto, ma anche per la natura della discussione che lo ha preceduto, durante la quale sono emersi argomenti - abitudini sessuali, presenza di immigrati, omosessualità - che riportavano alla luce vecchi stigmi legati alla diffusione dell’epatite B.
La votazione è giunta al termine di un confronto durato un giorno e mezzo, caratterizzato da confusione e litigi inusuali per quel contesto. Nonostante gli appelli degli esperti di sanità pubblica per mantenere la raccomandazione alla vaccinazione obbligatoria, la Commissione - composta prevalentemente da membri “no-vax” scelti personalmente da Robert Kennedy dopo il licenziamento dei precedenti 17 membri - ha optato per questa svolta. La raccomandazione passerà ora al vaglio del direttore pro tempore del Centro per la prevenzione delle malattie infettive per l’approvazione definitiva. Nel frattempo, l’Associazione americana dei pediatri ha ribadito che continuerà a raccomandare la vaccinazione entro le 24 ore dalla nascita.
In Svizzera screening su tutte le donne in gravidanza
Per comprendere meglio le implicazioni di questa decisione e confrontarla con la prassi in altri Paesi, SEIDISERA ha intervistato Lisa Kottanattu, caposervizio dell’Istituto pediatrico della Svizzera Italiana dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC).
La dottoressa ha spiegato che in Svizzera “andiamo a vaccinare in modo mirato nelle prime 24 ore di vita i bambini che nascono da mamme che sono positive all’epatite B”. Questo è possibile grazie allo screening effettuato su tutte le donne in gravidanza. Per i neonati di madri negative, la vaccinazione è raccomandata entro i due mesi di vita, come parte del vaccino esavalente. Confrontando la situazione svizzera con quella americana, Kottanattu ha osservato che le differenze non sono così marcate. Ha ipotizzato che la precedente politica di vaccinazione universale negli Stati Uniti potesse essere legata a una minore garanzia di screening durante la gravidanza. In Svizzera, grazie a controlli accurati, “di casi di bambini che sono risultati essere positivi in seguito a un’epatite B non diagnosticata in gravidanza, di fatto non ce ne sono stati”. Riguardo alle preoccupazioni espresse da Daskalakis sul “tornare indietro di 50 anni”, la responsabile del servizio pediatrico dell’EOC ritiene importante “andare a studiare veramente la situazione nel suo complesso”. Ha sottolineato che una modifica così drastica delle raccomandazioni vaccinali da parte di un paese grande come gli Stati Uniti può avere un’ampia risonanza. La preoccupazione principale, secondo la dottoressa, è se gli Stati Uniti saranno in grado di offrire uno screening adeguato a tutte le donne in gravidanza, in assenza del quale “ci potranno essere più bambini che nasceranno con un’epatite B”.
Infine, interrogata sullo scetticismo crescente verso i vaccini, la dottoressa Kottanattu ha espresso la sua preoccupazione: “Stanno cercando di mettere in discussione delle vaccinazioni che facciamo da decenni, che sono estremamente sicure e che non hanno veramente motivo di destare preoccupazioni”. Tuttavia, ha pure sottolineato ai microfoni della RSI che, al momento, l’impatto di questo cambio di direzione negli Stati Uniti non sembra essere così forte a livello europeo o svizzero.







