Analisi

Tra Russia e Occidente una escalation che dura da vent’anni

All’inizio degli anni Duemila le relazioni tra Mosca e Washington sono state buone ma si sono man mano degradate - Minacce, Putin sta bleffando?

  • 22 novembre, 12:00
  • 22 novembre, 12:12
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Le bandiere di USA e Russia nel gennaio del 2022 a Ginevra

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Di: Stefano Grazioli 

Il discorso di Vladimir Putin, in cui il presidente ha avvertito che Mosca risponderà in modo deciso e simmetrico a qualsiasi nuova escalation, prendendo eventualmente in considerazione obbiettivi militari nei paesi che hanno fornito all’Ucraina missili a lungo raggio utilizzati per colpire la Russia, è stato chiaro. Per il Cremlino il conflitto ha raggiunto ormai una dimensione globale, dopo appunto che l’Occidente ha dato il via libera ufficiale all’impiego da parte ucraina degli ATACMS e degli Storm Shadow-SCALP e la Russia stessa ha usato per la prima volta l’Oreshnik, missile balistico ipersonico a medio raggio di nuova generazione.

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Russia, lanciato il primo missile balistico a lungo raggio

Telegiornale 21.11.2024, 20:00

Deterrenza e degenerazione

I lanci, pur limitati, degli ultimi giorni e la retorica da entrambi i lati, hanno accresciuto il livello della tensione, con il rischio, annunciato e minacciato, di un ulteriore peggioramento del quadro, nella prospettiva di un allargamento, quantitativo e qualitativo, del conflitto. La correzione della dottrina nucleare del Cremlino e la mosse di USA e NATO di intervenire appunto con nuovi armamenti fanno parte sì della stessa strategia della deterrenza, ma contengono il rischio della degenerazione. Non si tratta della questione nucleare, dato che le opzioni militari prima dell’utilizzo di armi tattiche atomiche contemplano altri livelli, ma della pericolosa convinzione reciproca che l’avversario a un certo punto si fermerà.

Costante escalation

La storia degli ultimi vent’anni nei rapporti tra Russia e Occidente è quella però di una costante escalation, con lo scontro annunciato su più teatri che nessuna delle parti ha voluto evitare, nonostante gli avvertimenti. Se all’inizio degli anni Duemila, dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, le relazioni tra Mosca e Washington sono state buone, con l’obbiettivo comune della lotta al terrorismo, già dal 2003-2004 hanno iniziato a peggiorare, con le cosiddette rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina, dove a presidenti filorussi sono succeduti presidenti filoccidentali. La guerra in Iraq del 2003 è stata considerata in Russia parte della strategia statunitense che insieme all’allargamento della NATO a est ha accentuato i problemi; il famoso di discorso di Monaco del 2007, in cui Putin si è espresso chiaramente contro l’unipolarismo che andava a cozzare contro gli interessi russi, non è stato preso in considerazione né alla Casa Bianca né nelle cancellerie europee.

Dalla Georgia all’Ucraina

La guerra in Georgia del 2008, scatenata dal presidente Mikhail Saakashvili nel tentativo di recuperare le regioni separatiste di Abcasia e Ossezia del sud, è stata così la prima conseguenza del posizionamento del Cremlino con mezzi militari a difesa dei propri interessi, contro le ingerenze statunitensi e favore di un nuovo ordine multipolare. Largamente prevedibile. Se poi il naufragio della rivoluzione arancione in Ucraina nel 2010 aveva condotto democraticamente al potere Victor Yanukovich, il sanguinoso cambio di governo a Kiev tra il 2013 e 2014, considerato un colpo di stato a Mosca, ha dato il via, come da copione, agli eventi che hanno portato all’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022. Appoggiando apertamente Euromaidan, USA e Unione europea sapevano che avrebbero provocato una reazione russa, puntualmente arrivata con l’annessione della Crimea. Quando successivamente il governo filoccidentale di Kiev ha mandato l’esercito nel Donbass per riportare sotto controllo i territori separatisti di Lugansk e Donetsk, metteva in conto che la Russia sarebbe intervenuta, secondo il modello georgiano.

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Texas: Putin in visita negli Stati Uniti, nel novembre del 2001

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Il bluff di Putin?

Le vicende degli ultimi dieci anni in Ucraina, con la mancata implementazione degli accordi di Minsk del 2015, dovuta da una parte sì alla continua destabilizzazione voluta dalla Russia, ma anche mancanza di volontà occidentale di raggiungere un accordo che comunque non poteva che favorire Mosca dopo l’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbass, hanno a loro volta portato alla decisione di Putin dell’invasione su larga scala. Anche in questo caso gli Stati Uniti, pur al corrente dei piani, hanno scelto la via del confronto: forse inevitabile, forse no. In ogni caso mille giorni di guerra hanno dimostrato che la Russia non è disposta a fare passi indietro e per raggiungere i propri obbiettivi è pronta a rispondere in qualsiasi maniera, come affermato appunto da Putin. Qualcuno in Occidente è convinto che il Cremlino stia bluffando, nonostante negli ultimi vent’anni non lo abbia mai fatto e abbia regolarmente risposto in maniera sempre più chiara e dura a ogni mossa avversaria: resta da vedere a questo punto, data la cornice in cui si sta muovendo il conflitto e i margini militari di soluzione, se non sia arrivato il momento di cercare un altro tipo di soluzione.

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Mille giorni di guerra in Ucraina

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